DELLA TORRE, Guglielmo
Nacque a Mendrisio nell'odierno Canton Ticino nella prima metà del sec. XII dai nobili Rogerio e Adilia.
Sembra certo che la sua famiglia, originaria del luogo e chiamatasi de Laturre de Mendrixio dalla torre di uno dei tre castelli che sovrastavano il borgo, non avesse nulla in comune con la più famosa casata dei Della Torre di Milano. Le fonti ricordano un fratello del D., Bregonzio, e tre sue sorelle: Barigia, Emilia e Giuliana. È altresì accertata l'esistenza di uno zio paterno del D., pure di nome Bregonzio, che fu canonico della cattedrale di Como e prevosto di Uggiate.
Anche il D., prima di accedere alla sede episcopale di Como, fu con ogni probabilità canonico di quella stessa cattedrale. Troverebbe così spiegazione il fatto che, nel 1217, egli abbia stabilito un anniversario, da celebrarsi nella chiesa di S. Maria di Torello, in suffragio del vescovo Anselmo "benefactoris nostri singulariter" e suo predecessore sulla cattedra di Como (1162-1193).
Ignoriamo in quale anno il D. sia divenuto vescovo di Como. Ad ogni modo, contro il parere di alcuni studiosi, i quali ne fissano l'avvento al 1204 (così, ad es., ancora in C. Eubel, Hierarchia catholica), è certo che egli era già al governo della Chiesa lariana il 25 luglio 1197, quando compare citato appunto come vescovo di Como in un documento relativo ad una donazione fatta dagli abati dei monasteri di S. Abbondio e di S. Cristoforo in favore dell'ospedale di S. Lazzaro (Rovelli, II, p. 321). In un atto del 14 apr. 1203 viene definito "Cumane Ecclesie venerabilis episcopus".
Nel medesimo anno ebbe inizio tra il D. e il Comune di Chiavenna una causa relativa ai diritti feudali che il D., in quanto vescovo di Como, pretendeva di esercitare sui Chiavennaschi: la causa si protrasse per molti anni, come dimostrano documenti del 1205, 1212, 1213. Ancora nel 1220 il Comune di Chiavenna e i rustici di Mese e di Valle presentarono contro il D. allegazioni e difese. Questa controversia non fu comunque la sola che egli dovette affrontare durante il suo episcopato. Oltre a quella con gli ospedalieri gerosolimitani a proposito della Chiesa e dell'ospedale di Monteceneri, che durò dal 1198 al 1209, ebbe una causa anche con gli uomini di Teglio, come sappiamo da un documento del 27 genn. 1219 col quale il papa Onorio III affidò la questione all'arcidiacono di Novara perché la risolvesse o la rimettesse all'autorità papale.
Con ogni probabilità, grazie al D. venne superato l'attrito creatosi in passato tra la Chiesa di Como e la Sede apostolica. Il 14 giugno 1206 Innocenzo III concesse infatti al D. la potestà di assolvere il capitolo della sua cattedrale dalla scomunica in cui esso era precedentemente incorso per non aver voluto cooptare nel suo seno un suddiacono indicato dal pontefice. L'11 luglio successivo il D. ottenne dallo stesso pontefice facoltà di rivendicare quei beni della Chiesa comense che fossero stati illegittimamente alienati dai suoi predecessori. Il D. si sforzò altresì di porre fine ai numerosi contrasti che da tempo si trascinavano tra il capitolo della cattedrale e il monastero di S. Abbondio, sia a proposito della precedenza da accordarsi nell'accompagnamento del vescovo, sia a causa di alcune proprietà.
La controversia relativa al diritto di stare alla destra del vescovo durante le processioni e le cerimonie solenni (ius addextrationis), iniziata con ogni probabilità negli ultimi anni del sec. XII, si protrasse per parecchio tempo. Ancora nel 1205 il D., temendo il verificarsi di tumulti popolari che avrebbero disturbato la processione pasquale, stabilì che in quella circostanza l'avrebbe assistito l'arcidiacono o un'altra persona di sua nomina. La decisione non parve equa all'abate di S. Abbondio, che interpellò il pontefice Innocenzo III affinché ponesse fine alla controversia. Il papa non prese chiaramente posizione e si ignora come abbia avuto termine la questione.
Il D. subordinò sempre i suoi rapporti con l'autorità imperiale alla volontà di mantenersi fedele alla Chiesa di Roma. Tra il 1209 e il 1210 fu infatti presente a fianco dell'imperatore Ottone IV o dei rappresentanti di quest'ultimo in diverse circostanze: il 2 apr. 1209 presenziò, a Pavia, alla cerimonia con cui il patriarca di Aquileia e legato imperiale Volfgero confermò i privilegi della Chiesa pavese; l'anno seguente, a Lodi, sottoscrisse un diploma imperiale a favore dell'abbazia di Morimondo (23 febbraio); fu presente all'emanazione di altri due diplomi per il monastero di Chiaravalle (2 aprile, Milano) e di un diploma per Lodi (1º maggio, Lodi). Nell'agosto dello stesso anno fu infine a S. Leonardo in occasione di un diploma concesso dall'imperatore per Rovechiara. Guadagnatosi la benevolenza di Ottone IV, nel marzo del 1210 ricevette da lui, in Augusta, un privilegio, col quale veniva accordata la protezione imperiale al vescovo di Como e venivano confermati alla sua Chiesa tutti i possessi in precedenza ottenuti ed il particolare diritto che contro di essa non potessero valere prescrizioni, se non centenarie. I suoi rapporti con Ottone IV, tuttavia, si incrinarono allorché, l'anno seguente, l'imperatore ricevette la scomunica dal papa, che gli oppose Federico II. Convocato da Ottone IV per la soluzione di una controversia, che durava ormai da tempo, tra la Chiesa di Como e i capitani d'Arzago, il D., in obbedienza al pontefice, si rifiutò di comparire al cospetto del sovrano. L'imperatore accordò quindi il proprio favore ai capitani d'Arzago, rimastigli fedeli, pronunziandosi contro il vescovo contumace. L'ingiusta sentenza venne in seguito riformata dal pontefice, che con un breve del 5 apr. 1213 la dichiarò non valida e intimò ai capitani d'Arzago di non molestare o danneggiare il vescovo e la Chiesa di Como. Il D. cercò di mantenere buoni rapporti con Federico II; nel 1212 si recò infatti a Roma per assistere alla sua incoronazione; nell'agosto del 1219 compare in qualità di testimone nel diploma rilasciato a Hagenau da Federico II a Gaffo e a Giacomo di Locarno, e fu presente ai diplomi emanati, sempre a Hagenau, dall'imperatore per Pavia e per Alba.
Il D. intervenne, inoltre, in una causa tra l'arcivescovo di Milano e il monastero di S. Faustino di Isola Comacina (1204); nel 1211 raggiunse un accordo con la badessa rinunciando ad alcuni diritti giurisdizionali sui possessi di detto monastero in cambio di una vigna posta a Sorico. Sempre nel 1204 il D. approvò una permuta tra i canonici e i ministri della chiesa di S. Vittore e la Comunità di Balerna. Negli anni seguenti è documentata la sua presenza in alcuni atti di ordinaria amministrazione - come investiture relative a beni, pagamenti, acquisti, concessioni di decime - ed a sentenze pronunciate per definire alcune controversie come, ad esempio, quella tra i frati di S. Remigio e gli uomini di Tirano (1212 e 1216); o l'altra, relativa alla soluzione della contesa tra il monastero di S. Carpoforo e i monaci di S. Lorenzo di Lugano (1219), e tra l'arciprete di Chiavenna e il Comune di Piuro (1222).
Per quanto concerne i suoi rapporti col papa Onorio III, si sa che ebbe da quest'ultimo molte concessioni. Il 28 ag. 1217, infatti, il D. ottenne da lui il consenso di redimere le decime e i feudi concessi a lui e ai suoi predecessori e nel 1220 il permesso di acquistare beni e decime dati in feudo alla Chiesa di Como per dotare le chiese di S. Maria di Torricelli e di S. Tommaso e S. Antonio (26 novembre). Nello stesso anno, infine, ottenne dal pontefice, oltre all'approvazione dell'osservanza di alcune regole da parte dei canonici, anche la conferma di tutte le libertà e dei privilegi che pontefici e imperatori avevano concesso alla Chiesa di Como (27 novembre). Nel 1225, infine, ricevette l'incarico di decidere, unitamente a due canonici milanesi, riguardo all'elezione dell'abate di S. Dionigi di Milano.
Accertata la sua presenza a Venezia nel 1216, è stata da alcuni studiosi avanzata l'ipotesi che il D. stesse per prendere parte personalmente alla quinta crociata. In realtà tale ipotesi è del tutto improbabile, dal momento che la partenza dei crociati avvenne soltanto l'anno seguente, quando troviamo il D. presente alla consacrazione della chiesa di S. Maria di Torello. La partecipazione del D. alla quinta crociata fu soltanto indiretta: egli si limitò infatti a raccogliere il denaro necessario alla spedizione in qualità di collettore dell'imposta sui beni e sui benefici ecclesiastici richiesta dal pontefice. Nel 1221 il D. fu a Bologna, dove presenziò, nel mese di luglio, alla sentenza pronunciata dal cardinale Ugolino relativamente alle discordie avvenute a Piacenza tra cavalieri e popolo, e, nel settembre dello stesso anno, al decreto emesso da quel cardinale in proposito.
Uomo generoso e ricco di grandi virtù, deve gran parte della sua fama alla fondazione della chiesa di S. Maria di Torello, poco distante da Lugano. Poiché la sua famiglia possedeva beni in tale località, servendosi delle sue rendite vi eresse la suddetta chiesa e un monastero per i canonici che la dovevano officiare ed ai quali dettò particolari costituzioni basate sulla "regola" agostiniana. Egli stesso consacrò la chiesa il 26 ott. 1217.
Altre iniziative a favore dei poveri, che contribuirono ad aumentare la riconoscenza e la venerazione di cui ancora in vita venne fatto oggetto, furono la fondazione dell'ospedale di S. Vitale e di quello di S. Silvestro, chiamato successivamente di S. Antonio e tramutato in un convento per carmelitani. Impegnatosi con ogni energia per mantenere i suoi fedeli nell'integrità dei principi cristiani, pare chiamasse a Como i frati predicatori, cui concesse la chiesa dei Ss. Giovanni Battista ed Evangelista. Sembra anche che nel 1219accogliesse nella sua città lo stesso s. Domenico. Incerta è la concessione della chiesa di S. Martino, eretta in un'isola presso Ascona, agli umiliati, avvenuta secondo alcuni nel 1214.
Ritiratosi nell'ottobre del 1227 a Torello, come era sua abìtudine, per un periodo di riposo, si ammalò gravemente e vi morì il 21 di quello stesso mese (secondo alcuni studiosi, la sua morte sarebbe invece avvenuta nell'ottobre dell'anno precedente).
Lasciò alla chiesa di Torello tutti i suoi beni personali. Secondo la sua volontà, il suo corpo venne sepolto nel mezzo della chiesa da lui fondata, in un umile sepolcro di pietra. Nel 1683 il suo corpo, cui si era deciso di dare una sepoltura più onorevole, venne ritrovato intatto. La venerazione, che già in vita lo aveva circondato per la fama della sua santità, non tardò, subito dopo la morte, a trasformarsi in culto. I canonici di Torello fecero dipingere l'immagine del vescovo col nimbo nella lunetta posta sopra la porta principale della chiesa.
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