DELLA SCALA, Guglielmo
Figlio illegittimo di Cangrande (II), signore di Verona e Vicenza - che non ebbe discendenti dalla moglie Elisabetta di Baviera -, nacque probabilmente verso il 1350, anno orientativamente indicato dall'età del padre (nato nel 1332) e dalla data del conseguimento di un seggio canonicale nel capitolo della cattedrale di Verona (il 1356, secondo il Verci), per ottenere il quale occorrevano almeno cinque-sei anni di età. Con i fratelli o fratellastri Tebaldo (canonico pure lui, dal 1358) e Fregnano (o Fregnanino, talvolta confuso con l'omonimo, e più noto figlio di Mastino [II]), il D. è ricordato nel testamento del padre. Quest'ultimo sin dal 1355 - stando alle cronache - si era preoccupato della sorte dei tre figli, facendo giurare loro fedeltà dagli stipendiarii e imponendo un gravoso campatico sia nel distretto veronese sia in quello vicentino allo scopo di rastrellare denaro in loro favore. Di questo denaro è menzione nel citato testamento: Cangrande, pur privilegiando Tebaldo e Fregnanino, ai quali lasciò oltre 190.000 ducati in titoli di debito pubblico veneziano, destinò una somma cospicua anche al D., 60.000 ducati conservati nel castello di Peschiera. Tutori del D. e dei fratelli furono nominati due autorevolissimi uomini di corte: Reguccio Pegolotti, un immigrato fiorentino, e il factor Iacopo a Leone. Pochi giorni prima dell'assassinio del padre, il D. si vide assegnare anche un canonicato a Vicenza (3 dic. 1359).
Forse imprigionato da Cansignorio dopo l'uccisione di Cangrande (13 dic. 1359) per ovvi motivi di sicurezza dinastica, il D. scompare poi dalla scena veronese; e per un lungo periodo della sua vita ci mancano notizie documentate.
Il Da Re e il Cipolla hanno dimostrato che il Guglielmo Della Scala menzionato in una lapide reperita a Salizzole, nel Veronese, e forse effigiato in un affresco della chiesa di S. Anastasia di Verona, non è il D., ma un illegittimo di Mastino (II).
Praticamente certa, anche se non documentabile con assoluta ed esplicita sicurezza, è comunque l'adesione del D. ad un tentativo, compiuto nel 1381 da Fregnanino Della Scala "et fratres sui" in accordo con Nicolò (II) d'Este, d'impadronirsi per tradimento dell'importante castello di Villimpenta, nella bassa pianura veronese al confine con il Mantovano. All'epoca il D. si trovava forse già a Venezia, ove si era recato - sembra - sin dal 1360. Nella città lagunare visse, probabilmente a lungo, anche il citato Fregnanino, il quale godette di prestigio presso il governo veneto, certo in considerazione delle fortissime somme che erano state a suo tempo depositate in suo favore.
Caduta la signoria scaligera, i Della Scala esuli iniziarono maneggi e trattative per una problematica restaurazione. Non del tutto certo è un soggiorno del D. in Baviera nel 1389, asserito da alcuni: si trattò del resto, se vi fu, di un'iniziativa del tutto inconcludente, dato che poco dopo, nel 1390, a Padova, Stefano III di Wittelsbach non strinse accordi col D., ma con Samaritana, vedova di Antonio e madre di Canfrancesco Della Scala. È sicuro comunque che il D. si trovava nel 1391 a Venezia, ove il 14 gennaio il Senato concedeva a lui - non senza motivo identificato nell'occasione come "frater quondam ser Fregnani" - una provvisione di 40 ducati mensili in luogo dei precedenti 30. Tale provvisione era stata assegnata al D. dopo la morte di Fregnanino per "benignitas", quando egli aveva tre figli soltanto, divenuti sei nel 1391. Nel marzo del 1392 il D., che nel documento relativo viene definito "egregius vir dominus Guillielmus de la Scala civis et habitator Veneciarum", presenziò ad un atto nel monastero di S. Mattia di Murano. Si trovava a Venezia pure nel 1393-94, quando rogò un'ampia procura per due veronesi - forse fuorusciti "scaligeri" residenti a Venezia -, Nicola Malerbi e Pietro De Broylo.
Se è più che verosimile un qualche diretto precedente coinvolgimento del D. in questioni politiche, sicuramente la sua posizione sotto questo profilo mutò nel 1399 dopo la morte per avvelenamento (compiuto probabilmente da un parente; ma mancano indizi per incolparne il D.) del giovanissimo Canfrancesco Della Scala, figlio di Antonio, per il quale la madre Samaritana aveva ripetutamente brigato a Venezia ed altrove. Subito dopo la scomparsa del giovane, infatti, il D. si accostò, in funzione di una possibile restaurazione, al signore di Padova Francesco Novello da Carrara, allora impegnatissimo sul piano politico-diplomatico contro Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano e signore di Verona. Nello stesso 1399 anche Brunoro, figlio del D., si trovava infatti a Padova; il 14 maggio 1400 Francesco Novello incaricò un suo stretto collaboratore, l'umanista Ognibene Scola, di tenere a battesimo un altro figlio neonato del D.; tra il 1401 e il 1402 il D. fu podestà di Padova, carica nella quale venne per breve tempo riconfermato, con parole forse non solo formali di vivo apprezzamento, il 23 maggio 1402. L'atto più rilevante compiuto dal D. durante la sua podesteria sembra essere stato l'invio di una lettera a Roberto del Palatinato in occasione della discesa di quest'ultimo in Italia (settembre 1401-aprile 1402). La posizione di depositario della tradizione scaligera del D. si dimostrò dunque in quella occasione utile alla politica carrarese, anche se l'esito della spedizione imperiale fu del tutto insoddisfacente.
Il D. era a Padova ancora nell'agosto 1402; ivi del resto risiedeva - come è attestato per il 1403 - anche il figlio Antonio. La morte di Gian Galeazzo Visconti (3 sett. 1402) offrì al D. e al Carrarese un'ulteriore occasione di concretare le loro aspirazioni su Verona. Avuta notizia della morte del duca di Milano, il Novello si rivolse infatti al D. che si trovava allora a Venezia invitandolo ad "attendere" "ad facta sua, que non exigunt moram". Il proposito di "aidar [il D.] entrar in caxa" fu del resto espresso dal signore di Padova nelle lettere ai propri legati presso il governo della Serenissima; ma nell'immediato l'unica conseguenza diretta di questo indirizzo politico fu la partecipazione di Brunoro, figlio del D., all'assedio di Bologna insieme con i Padovani. La crisi definitiva del dominio visconteo d'oltre Mincio maturò poi nella primavera del 1404. Già dal gennaio di quell'anno Padovani ed Estensi alimentavano la guerriglia nel territorio veronese; il D. giunse a Padova, da Venezia, alla fine del marzo 1404, e stipulò con Francesco Novello un accordo in base al quale, se tutto si fosse svolto secondo i loro piani, al D. sarebbe stata assegnata Verona, mentre Vicenza col relativo territorio ed alcune località del Veronese sarebbero andate al signore di Padova. In tutta questa vicenda il D. non fu probabilmente solo un semplice strumento nelle mani di Francesco Novello: secondo l'informato Gatari e l'Anonimo fiorentino (Minerbetti), egli aveva "certo tratado" in Verona. D'altronde, come ricordano le stesse fonti, il D. era totalmente privo di mezzi ("ciò che ò al mondo è 2000 ducati"), ricco soltanto del prestigio del nome scaligero, e in parte forse suo personale.
Rinviata per una malattia del D., l'impresa per l'acquisto di Verona iniziò il 30 marzo 1404; il 6 aprile fu presa Cologna Veneta, e l'8 Verona stessa, ad eccezione dell'area fortificata della cittadella e della zona a sinistra dell'Adige. Il 10 il D. fu proclamato signore della città. Già allora gravemente malato, morì pochi giorni più tardi: il 18 aprile, secondo alcune fonti, che paiono le più accreditate; il 21 o il 28 secondo altre. Le fonti discordano anche sulle cause della morte, che il Marzagaia (in Antiche cronache veronesi)ed altri cronisti contemporanei non solo locali attribuiscono al veleno del Carrarese. Gli succedette - in modo altrettanto precario - il figlio Brunoro, che fu di lì a poco costretto a lasciare anche formalmente il potere a chi lo deteneva di fatto, Francesco Novello da Carrara, appunto.
Il D. fu una pedina certo modesta nel complesso gioco politico in atto nel Veneto fra Tre e Quattrocento; ma, forse anche a causa di un sottinteso paragone con altri esponenti della sua famiglia attivi in quell'area e in quello stesso periodo - come Samaritana Della Scala -, il giudizio dei contemporanei su di lui fu uniformemente positivo. Un cronista veneziano, oltre a ricordarlo come "nobilis Venetus", lo definì "gratus Venetis et vir dignus". Il Gatari lo tratta con molto rispetto. Fra i cronisti veronesi va segnalata soprattutto la partecipe attenzione con cui il Marzagaia - il testimone della decadenza scaligera - seguì la breve restaurazione del 1404, attenzione senza dubbio motivata oltre che dalla nostalgia anche dalle qualità personali del Della Scala. Il D., per Marzagaia, è infatti "religiosissimus spiritus", è addirittura "clarissimus patrie sidus"; la sua presa di potere avviene "subintegra populi alacritate", col pieno favore popolare. Ricorrente è poi l'allusione al suo tratto "mansuetus" e "placidus".
Dalla moglie, di cui ci sono ignoti nome e casato, il D. ebbe nove figli: Brunoro, Antonio, Nicodemo, Paolo, Fregnano, Bartolomeo, Oria, Chiara e Caterina (per gli ultimi sei v. in calce alla voce Della Scala, Antonio, in questo Dizionario).
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