GUGLIELMO da Volpiano, Santo
GUGLIELMO da Volpiano, Santo (o di Digione o di Fécamp o di Fruttuaria)
G. nacque nel 962 nel castello dell'isola San Giulio sul lago d'Orta, in Piemonte, da Roberto e Perinza, appartenenti a nobili casate lombarde, ed ebbe come madrina l'imperatrice Adelaide (931-999), sposa di Ottone I. Nel 969, all'età di sette anni, venne mandato nel monastero di S. Michele di Locedio e in seguito proseguì la sua formazione nelle scuole di Vercelli e Pavia, per poi far ritorno a Locedio, ove divenne il secretarius della scuola monastica.Dopo un breve periodo di ritiro sul monte Pircheriano, G. fu al fianco dell'abate Maiolo di Cluny (954-994), riformatore dell'abbazia di Locedio, e lo seguì a Cluny nel 985; nel monastero borgognone, a quell'epoca nel pieno del suo sviluppo spirituale, G. completò la sua formazione tra il 985 e il 989, iniziandosi all'opera di riformatore. La carica di priore gli venne conferita a Saint-Saturnin-sur-Rhône a Pont-Saint-Esprit (dip. Gard).Quando il vescovo di Langres, Bruno di Roucy, volle affidare ai Cluniacensi la restaurazione spirituale e materiale dell'antica fondazione di Saint-Bénigne di Digione, G. ricevette la benedizione abbaziale (7 giugno del 990) e rimase in carica per quarant'anni; egli seppe adoperarsi per stabilire a Digione un'osservanza cluniacense, riuscendo peraltro a far conservare alla sua abbazia la piena indipendenza nei confronti di Cluny.L'opera riformatrice di G. è segnata dalla creazione di una rete di priorati dipendenti da Saint-Bénigne - analoga a quella predisposta nello stesso momento per Cluny da Odilone (994-1049) -, dalla committenza di un eccezionale complesso monumentale a Digione e dall'attenzione verso la liturgia e il canto.G. si interessò molto alla musica, ed è noto che correggeva antifone, responsori e inni: testimonianza di tale interesse è il recente ritrovamento a Montpellier (Bibl. de la Ville et du Mus. Fabre, H 159; Hansen, 1974) di un tonario, ovvero una raccolta di pezzi melodici raggruppati secondo gli otto toni o modi del canto gregoriano. Di G. si conservano inoltre sermoni, lettere e un trattato di contenuto spirituale (De vero bono et contemplatione divina). Stando al suo biografo Rodolfo il Glabro, G. fondò inoltre a Fécamp una scuola monastica aperta ai laici (Vita Willelmi, VII, 14).L'articolata attività di riformatore condusse G. a intervenire in numerose fondazioni abbaziali, senza peraltro cercare di sottometterle a Cluny o a Saint-Bénigne. Egli venne considerato abate di ogni singolo monastero in cui si trovò a intervenire prima che venisse designato un nuovo abate in grado di proseguire la sua opera; lo si ritrova così in Borgogna (Saint-Vivant di Vergy, Saint-Jean di Réome, Saint-Michel di Tonnerre, Saint-Pierre di Béze), in Lorena (Saint-Arnoult di Metz, Saint-Evre di Toul, Moyenmoutiers), in Normandia (Mont-Saint-Michel, La Trinité di Fécamp, Jumièges, Saint-Ouen di Rouen), nell'Ile-de-France (Saint-Germain di Parigi, Saint-Faron di Meaux) e in Italia settentrionale (S. Apollinare in Classe presso Ravenna, S. Ambrogio di Milano).In Italia G. fondò inoltre, su terreni appartenenti alla famiglia paterna, il monastero di S. Benigno di Fruttuaria (diocesi di Ivrea), dove si recò a più riprese, così come fece anche in Normandia, ove si associò ai monasteri da riformare e intervenne nella costruzione di Notre-Dame a Bernay. G. morì il 1° febbraio 1031 a La Trinité di Fécamp, dove venne sepolto dinanzi all'altare dedicato a s. Taurino.L'attività di G. quale committente è legata in particolare alla grande rotonda di Saint-Bénigne, costruita su tre livelli in corrispondenza del capocroce dell'abbaziale tra il 1001 e il 1018 e ancora conservata nel piano inferiore. Questa costruzione, particolare per la sua volumetria, aveva lo scopo di porre in relazione lo spazio privilegiato accordato al martire locale Benigno, di cui G. rinnovò il culto, con un impianto che, richiamandosi a forme diverse, tra le quali forse il Pantheon di Roma, evocava il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Le indagini archeologiche nella chiesa (1976-1978) hanno portato al ritrovamento di parte della disposizione originale del settore occidentale - muro settentrionale, pilastri quadrangolari, un'abside orientata a O - e di alcuni elementi accessori, che permettono di restituire la tipologia della cripta (Malone, 1980); è stata accertata l'esistenza di un accesso occidentale, posto davanti al coro dei monaci, che permetteva di raggiungere il piano inferiore della rotonda senza disturbare gli uffici; le quattro campate ricostruite a O potevano costituire la galilea citata nel Chronicon sancti Benigni Divionensis; le navate laterali erano solo due e non quattro, come si era invece erroneamente supposto sulla base dei pochi dati archeologici desunti dalle ricerche ottocentesche; infine, le recenti indagini autorizzano la restituzione di un transetto continuo coperto semplicemente a tetto. Un riesame approfondito dei resti della rotonda ha d'altro canto rivelato un massiccio restauro, condotto nel sec. 19°, sia sulla muratura sia sulla decorazione. I pochi capitelli conservati nella cripta, in particolare nella parte meridionale, vanno annoverati tra le prime rappresentazioni di figure umane e animali della scultura romanica. I loro caratteri indicano la presenza di botteghe di formazione e origine diversa, alcune delle quali probabilmente chiamate dall'Italia. Il Chronicon attesta che G. fece venire dall'Italia un buon numero di monaci specializzati nelle arti, tra i quali Hunaldus, identificato come un abile scultore benché i testi siano al riguardo poco precisi ("inter monachos in hoc loco degentes fuit quidam iuvenculus vocatus Hunaldus solertis ingenii").Il Chronicon, come del resto la Vita Willelmi di Rodolfo il Glabro insistono sull'estrema attenzione posta dallo stesso G. nell'attività di ricostruzione e decorazione di Saint-Bénigne. Secondo la descrizione lasciata dal Chronicon, la basilica conteneva in totale trecentosettantuno colonne, oltre quelle che si trovavano nelle torri e presso gli altari; essa era rischiarata da centoventi finestre già dotate o da dotare di vetri; aveva otto torri, tre grandi portali e ventiquattro porte minori. Lo stesso testo fornisce numerose informazioni sulla posizione degli altari nella chiesa e nei tre livelli della rotonda; essi dovevano rispondere alle necessità di una liturgia stazionale, quale descritta già nella tradizione carolingia.Questa grande costruzione, assai elaborata, che associava l'impianto cruciforme della basilica alla circolarità della rotonda, deve essere probabilmente ricondotta alle preoccupazioni liturgiche e spirituali di Guglielmo.
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