FOGLIANO (de Foliano), Guglielmo da
Di nobile famiglia di Reggio Emilia, secondo di questo nome, figlio probabilmente di Ugolino (morto nel 1226), fratello di Ugolino (II) e di Bonifacio, nacque intorno al secondo decennio del Duecento.
Nelle vicende storiche della città emiliana, il F. compare una prima volta nel 1243, quando venne eletto vescovo di Reggio, in seguito alla morte di Niccolò Maltraversi.
Con la scomparsa del Maltraversi si era incrinato il delicato equilibrio politico-sociale tra le diverse fazioni e consorterie familiari, faticosamente raggiunto nella città grazie alla sapiente mediazione del defunto presule. In occasione dell'elezione del nuovo vescovo - avocata a sé nell'agosto 1243 da papa Innocenzo IV e nel successivo settembre sollecitata al capitolo della cattedrale - si fronteggiarono infatti due candidati: Guido Albriconi e il Fogliano. Il primo, che era anche prevosto della canonica di San Prospero di Castello e apparteneva a famiglia di antica nobiltà, godeva dell'appoggio dei ghibellini reggiani, con a capo i da Sesso; il secondo, imparentato con Innocenzo IV, era appoggiato dai guelfi, con a capo i da Fogliano e i Roberti.
Ai primi del 1244, dopo aver accertato la regolarità dell'elezione, il pontefice confermò vescovo il Fogliano. La conferma - avvenuta, secondo Salimbene de Adam, in forza dei legami di parentela - suscitò l'immediata reazione della parte imperiale: re Enzo occupò il palazzo vescovile di Reggio e costrinse l'eletto a lasciare la città e a rifugiarsi a Mantova.
Anche Reggio divenne in quel periodo teatro dello scontro che opponeva Papato e Impero; dopo alterne vicende, nel luglio 1245, la fazione ghibellina ebbe il sopravvento sulla parte guelfa: i da Fogliano, i Roberti e i Luvisini furono esiliati o tenuti come ostaggi, mentre i ghibellini nominarono podestà Oberto Pelavicino nel 1246 e Buoso da Dovara nel 1247. Per parte sua Innocenzo IV nel 1246, da Lione, ordinò al F. di scomunicare coloro che avevano occupato con la forza il castello di Suzzara (di proprietà della Chiesa reggiana) e di privare i vassalli aderenti al deposto imperatore Federico II dei beni ottenuti in feudo dalla Chiesa reggiana, o da altre istituzioni ecclesiastiche presenti nella diocesi. Morto Federico II, gli equilibri nella città e nella diocesi si evolsero a favore dei Fogliano, grazie all'appoggio aperto di Innocenzo IV. Nello stesso 1250 i da Fogliano, come ricompensa all'azione da loro svolta contro gli avversari della Sede apostolica, furono investiti dal pontefice del diritto di esercitare piena giurisdizione sui loro feudi, rispondendo di essa soltanto all'autorità della Chiesa. Successivamente, nel 1252 e 1254, furono investiti e confermati dal pontefice nel possesso dei castelli di Querciola e Carpineti e negli altri territori reggiani annessi.
Anche per interessamento del F., il 17 ag. 1252 venne siglata la pace tra i da Sesso, i Roberti e i da Fogliano e Così, il 28 ott. 1253, egli compì il solenne ingresso in città. Fino a quasi tutto il 1255 egli compare nella documentazione soltanto come eletto e non ancora consacrato, pur avendogli il pontefice concesso l'uso della mitria e dell'anello episcopale. Solo nel 1256 iniziò a pieno titolo la sua attività pastorale nella diocesi di Reggio anche se la forzata assenza dalla città non gli aveva impedito di compiere alcuni atti di giurisdizione: nel 1249, infatti, il F. aveva ottenuto dal papa la conferma del numero dei componenti il capitolo della pieve di Pegognaga e nell'anno seguente, da Mantova, aveva stabilito il numero dei chierici spettanti alla pieve di Suzzara. Il 1256 fu un anno molto delicato per il F. - riaffiorarono tensioni non del tutto sopite, se ne crearono altre e contemporaneamente emersero nuovi fermenti nella vita religiosa locale. Innanzitutto egli dovette ricostruire - intorno al proprio vescovo e in una diocesi colpita per lunghi anni da interdetto papale - l'unità di un clero che si era apertamente diviso nelle lotte tra Papato e Impero. È probabile che in direzione della pacificazione si muova la conferma delle decime della pieve di Fabbrico decisa dal vescovo il 17 giugno in favore dell'arciprete Guidotto Albriconi, già schierato con la parte imperiale e nipote di quel Guizolo Albriconi che, rivale del F. nell'elezione episcopale del 1243, ancora nel 1256 era prevosto di S. Prospero di Castello e canonico della cattedrale.
Il F. tentò, poi, di risolvere il problema dell'interdetto sulla città, originato dalla contrastata elezione di Gregorio Bonici ad abate del monastero reggiano di S. Prospero: al Bonici (eletto nel 1253 in seguito alla morte dell'abate Gherardo da Sesso) si contrapponeva Pietro da Sesso, sostenuto dalla sua famiglia - ghibellina - e dall'azione di Iacopo da Sesso, podestà di Reggio dal marzo 1255 a tutto il 1256. Il tentativo del F. di risolvere la vertenza non ebbe successo e nell'agosto 1256 egli, dietro esplicita disposizione del vescovo di Modena (incaricato dal pontefice di dirimere la controversia), dovette confermare l'interdetto sulla città, estendendolo nominativamente anche al podestà e al Consiglio degli anziani. Solo nel 1260, in concomitanza con il moto dei flagellanti che investì anche Reggio, la questione venne risolta e tolto l'interdetto.
Sempre nel 1256, intrecciato con la vicenda del monastero di S. Prospero, prese corpo il dissidio con il potere politico cittadino, in relazione alle pretese del Comune di Reggio di nominare proprii podestà o rettori nelle terre la cui giurisdizione spettava al vescovo o alla Chiesa di Reggio; dissidio collegato indirettamente al problema delle decime spettanti agli ecclesiastici. L'approvazione, probabilmente alla fine del 1255, di uno statuto con il quale veniva sancito tale diritto in favore del Comune suscitò nel gennaio 1256 la minaccia di scomunica da parte del F. nei confronti degli interessati, nel caso lo statuto non fosse stato revocato. Il Comune rimase fermo sulle proprie posizioni e avviò anzi ritorsioni (probabilmente in relazione al pagamento delle decime) contro il vescovo e il clero, in particolare dopo che gli abitanti di Massenzatico, di giurisdizione vescovile, ebbero giurato fedeltà al vescovo. Il F. ricorse allora al papa che, nel dicembre dello stesso anno, delegò il vescovo di Modena alla risoluzione della controversia. La documentazione non ci informa ulteriormente sull'esito del dissidio: è lecito supporre, però, che a lungo andare si sia giunti a un accomodamento e che le mutate condizioni politiche, determinate dalla cacciata dei ghibellini da Reggio nel 1265, abbiano favorito il rispetto di una tradizione favorevole all'episcopato.
Il F. svolse anche un ruolo di primo piano nella venuta a Reggio delle domenicane del convento di S. Pietro Martire e nell'attribuzione della nuova sede al convento dei francescani (1256). Ai francescani era stato assegnato come convento il palazzo dell'imperatore che era di proprietà del vescovo di Reggio in quanto donato nel 1195 all'episcopio da Enrico VI, che aveva riservato per sé e i suoi successori soltanto il diritto di esservi ospitato. Il F. però tergiversava nel compiere il definitivo passaggio di proprietà, e ancora nel giugno 1256 il canonico modenese Matteo Pio, delegato papale, gli ingiungeva di far rispettare quanto disposto dal pontefice. Zelante invece il F. si era dimostrato nei confronti delle suore dell'Ordine domenicano: il 12 marzo 1256, infatti, assistito dai canonici della cattedrale, aveva posto la prima pietra dell'erigendo monastero femminile di S. Pietro Martire, situato vicino al palazzo dell'imperatore. Proprio in seguito a questo avvenimento i francescani ricorsero al papa il quale, nel luglio 1256, confermò loro il possesso del palazzo dell'imperatore: dal dettato della bolla pontificia si apprende che il vescovo aveva provveduto alla collazione canonica del palazzo ai francescani e in conseguenza di ciò aveva provveduto a concedeme il possesso materiale, senza però consultare preventivamente, né avere il consenso dal capitolo della cattedrale, impedimento giuridico che venne sanato, d'autorità, con l'intervento dei pontefice. Probabilmente il capitolo della cattedrale, presente alla posa della prima pietra del monastero femminile, aveva frapposto ostacoli all'assegnazione della nuova residenza ai francescani, perché l'ubicazione del loro convento nel centro cittadino metteva questi in posizione privilegiata rispetto ai domenicani. Con tutta probabilità la somma di denaro che i francescani versarono al F. (denaro ricavato dalla vendita alle clarisse del loro primitivo convento posto tra le porte di S. Stefano e di S. Nazario) sbloccò la situazione, anche se essi dovettero attendere il 1260 per vedere trasferite definitivamente le monache del convento di S. Pietro Martire, le quali, sostenute dall'Ordine domenicano, non volevano abbandonare l'originaria sede. È innegabile che da tutta questa vicenda l'Ordine francescano ne uscì economicamente penalizzato, e si comprende perché Salimbene de Adam abbia attribuito al F. anche la qualifica di "avaro", all'interno di un giudizio tutt'altro che benevolo nei suoi riguardi.
Nel 1261 il F. partecipò al concilio di Ravenna nel quale i vescovi intervenuti dettero mandato all'arcivescovo Filippo Fontana di procedere con la scomunica contro gli occupanti i beni delle chiese della provincia ravennate.
Nel 1268, tre anni dopo la sconfitta e l'esilio dei ghibellini da Reggio, il F. ospitò nel palazzo vescovile Beatrice di Provenza, moglie del re di Sicilia, Carlo d'Angiò. Il palazzo vescovile fu ancora residenza nel 1271 di Filippo III di Francia, figlio di Luigi IX (il quale, riportando in patria la salina del defunto padre, sostò una notte a Reggio mentre la salma del padre venne posta nella cattedrale), e del re d'Inghilterra e di sua moglie, ospitati nel maggio 1272. Nel 1274 il F. fu incaricato da Gregorio X di indicare gli appartenenti alla provincia ecclesiastica ravennate che dovevano partecipare al II concilio di Lione; lo stesso pontefice, di ritorno dal concilio, venne anch'egli ospitato nel palazzo vescovile il 6 dic. 1275.
Il F. si interessò anche, intorno agli anni Settanta, di diverse iniziative a carattere architettonico-artistico: meritano innanzitutto di essere segnalati al riguardo i lavori di restauro e di parziale modifica delle strutture architettoniche della cattedrale (il cosiddetto restauro Malaguzzi) e la riedificazione, avvenuta nel 1277, del palazzo vescovile di Albinea (di diretta proprietà dell'episcopio reggiano), con l'aggiunta del dongione e delle mura castellane d'intorno.
Il vescovo di Reggio, rappresentante in loco della suprema autorità, svolse anche le funzioni di cancelliere del locale Studium: è in questa veste che il F. nel 1277 (con un diploma dei primi del genere) concesse la licenza e il dottorato in diritto civile a Pietro Amedeo Higindioli, esaminato pubblicamente alla presenza del Collegio dei dottori, di cui facevano parte stimati giuristi quali Guido da Suzzara e Guido da Baisio. Proprio durante l'episcopato del F. del resto lo Studium reggiano raggiunse il suo massimo splendore, anche se, a partire dal 1278, iniziò il suo declino.
Nel 1278 (anno di carestia, come il precedente, a sua volta gravato anche da inondazioni ed epidemie) ebbe fine il periodo di relativa tranquillità che era iniziato circa una decina d'anni prima con il predominio della parte guelfa. Il "populus", organizzato in arti, conquistò la partecipazione diretta al governo della città; alcuni magnati vennero esiliati e, a sancire il nuovo equilibrio politico, al podestà venne affiancata la magistratura del capitano del Popolo e al F. fu demandato il compito di eleggere il primo capitano del Popolo: Ugolino Rossi di Parma. Un anno dopo, nel dicembre 1279, il F. eresse il beneficio semplice di S. Valentino all'altare del santo, disponendo altresì gli obblighi da eseguirsi dal cappellano all'atto della propria morte, del funerale e dell'anniversario.
Nell'ottobre 1280 tra il capitano del Popolo, Dego dei Cancellieri, e il F. sorse un nuovo contrasto sul pagamento delle decime, giudicate esose dal "populus": in seguito all'approvazione di nuovi statuti comunali che modificavano il regime corrente, il F. scomunicò il capitano e il Consiglio cittadino imponendo l'interdetto sulla città. Il Comune approvò allora disposizioni straordinarie - "statuta prava" per Salimbene de Adam - per le quali nessuno doveva pagare le decime al clero, frequentare gli ecclesiastici, concludere con loro affari o prestare servizi quali il macinare, cuocere pane, radere loro la barba. La vertenza venne composta, nel novembre dello stesso anno, concordando, essenzialmente, che nessuno dovesse essere costretto a pagare le decime se non secondo la propria coscienza. Nell'anno seguente il F. vendette al Comune la parte di terra necessaria per il completamento delle mura cittadine, tra porta S. Croce, porta S. Pietro e porta di ponte Levone.
Vecchio e ormai inabile a compiere con pienezza tutte le funzioni della dignità episcopale, nel novembre 1281 il F. delegò il reggiano Giovanni Fulconi a consacrare taluni altari nelle chiese cittadine di S. Pietro e di S. Francesco.
La morte lo colse il 27 ag. 1281 un mese dopo avere ancora beneficato i membri della propria famiglia investendoli del castello di Gesso, nel Reggiano. Il F. venne sepolto in cattedrale, nella cappella allora dedicata a S. Giorgio, e sulla sua tomba fu apposta un'iscrizione ove egli compare con la semplice indicazione di vescovo e non di principe come, invece, lo qualifica l'Ughelli (e altri dopo di lui), basandosi sul testo di un'epigrafe scritta nel Seicento - all'atto delle trasformazioni interne alla cattedrale - quando quel titolo era già in uso per i vescovi reggiani da tre secoli.
Contrastanti i giudizi sulla personalità del F.: Salimbene, suo contemporaneo, definisce il F. un illetterato, "quasi laico", beone, avaro, sordo alle necessità dei poveri, migliore come "porcarius vel leprosus" che come vescovo; l'abate Della Gazata, vissuto un secolo dopo, lo giudica invece: "homo bonus et honestus quales sui non sunt similes", ma il cronista reggiano aveva in mente, probabilmente, l'operato dei suoi successori, causa della infelice vicenda storica di Reggio nel Trecento. Quello del F. rimane certamente un episcopato difficile da valutare, iniziato in maniera contrastata e seguito da una vacanza di sette anni, a testimonianza della crisi vissuta dalla cattedra della diocesi reggiana, in preda a lotte interne solo parzialmente sopite dall'operato del Fogliano.
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