Guglielmo Borsiere
Personaggio fiorentino della Commedia, dannato da D. nel terzo girone dei violenti, tra i sodomiti; nominato (If XVI 70) dal concittadino e compagno di schiera Iacopo Rusticucci, il quale chiede a D. se cortesia e valor... dimora / ne la nostra città sì come suole, o se, come invece ha raccontato G. raggiungendo l'Inferno, del tutto se n'è gita fora (vv. 67-69). Mancano di lui precise notizie storiche; controversa fra gli antichi commentatori l'origine stessa del cognome: secondo Benvenuto esso venne all'uomo dalla professione che per anni esercitò (" fuit quidam civis fiorentinus, faciens bursas, vir, secundum facultatem suam, placibilis et liberalis "); ma il Buti intende Borsiere come vero e proprio patronimico (" Questi [Guiglielmo] fu... valoroso cittadino di Fiorenza, e fu del casato de' Borsieri "); il Landino finisce con l'accogliere entrambe le ipotesi (" Alquanti dicono Borsieri perché da prima faceva le borse; alquanti affermano... essere nome di famiglia non ignobile "). Comunque sia, il personaggio dantesco " fu cavalier di corte - come scrive il Boccaccio nelle sue Esposizioni -, uomo costumato molto e di laudevol maniera; ed era il suo esercizio, e degli altri suoi pari, il trattar paci tra grandi e gentili uomini, trattar matrimoni e parentadi, e talora con piacevoli novelle recreare gli animi de' faticati e confortargli alle cose onorevoli "; e lo definisce " valente uomo e costumato e ben parlante " anche in una novella (Dec. I 8), in cui G. punge con un'arguta risposta l'avarizia di Erminio Grimaldi. La novella resta sicura spia per valutare la fama di G., viva ancora a mezzo secolo dalla morte di lui, avvenuta, da quanto D. lascia intendere, poco prima del 1300 (Rusticucci infatti dice che G. si duole con noi per poco, cioè " da poco " nell'inferno); e doveva essere piuttosto vecchio, se si tien conto che il poeta lo presenta in gran dimestichezza con gli altri tre fiorentini, di lui peraltro più famosi (sempre mai / l'ovra di voi e li onorati nomi / con affezion ritrassi e ascoltai, vv. 58-60), e morti tutti prima del 1272. Poco attendibile sembra la notizia che egli fosse " un maestro fiorentino che dimorava a Ravenna " (Chiose Selmi); né s'intona col tono generale di elogio presente nei versi danteschi l'altra, offerta da Guido da Pisa, che lo qualifica " optimus ioculator sive hystrio ", aggiungendo che " Iacobus Rusticuccii, loquens de eo, ironice dicit "; interpretazione quest'ultima errata, e dovuta certo al ristretto concetto che il commentatore doveva avere degli uomini di corte, ai quali, come ben valutano il Colagrosso e lo Scherillo, D. dovette forse sentirsi spiritualmente affine nei lunghi anni dell'esilio.
Bibl. - E. Colagrosso, Gli uomini di corte nella D.C., in Studi di letteratura Italiana, II, Napoli 1900, 24 ss.; M. Scherillo, D. uomo di corte, in " Rendiconti Ist. Lombardo " s. 2, XXXIV (1901) 390-393.