BEVILACQUA, Guglielmo
Nacque nel 1334 a Verona da Francesco e da Anna di Florimondo Zavarise. Seguendo la tradizione familiare, già in giovane età si distinse per la sua fedeltà verso i signori di Verona, partecipando insieme col padre alla lotta contro Frignano della Scala, che nel 1354 tentò di strappare la signoria al fratello Cangrande II. Il valore dimostrato in quest'occasione gli valse l'elevazione al cavalierato. Dopo la morte di Cangrande (13 dic. 1359), il suo successore Cansignorio si servì del B. come consigliere, lo pose a capo dell'esercito e delle fortezze del suo Stato, poi, nel 1368, dopo la morte di Francesco Bevilacqua, gli confermò il possesso dei feudi tenuti dal padre, cioè di Bevilacqua e di Minerbe.
Negli anni seguenti il B. conservò la fiducia di Cansignorio, che nel suo testamento, rogato il 17 ott. 1375 a Verona, poco prima della morte, lo nominò, insieme con Tonunaso Pellegrini, reggente e consigliere dei propri figli naturali, ambedue ancora minorenni, Antonio e Bartolorneo, e gli assegnò la cospicua sonuna di 2000 ducati d'oro. Così il B. si trovò alla testa dello Stato scaligero che governò con saggezza, cercando di evitare ogni scossa che poteva riuscire fatale. Fu proprio per la sua prudenza che nel 1378 poté essere respinto l'attacco di Bernabò Visconti, il quale, come marito di Regina della Scala, sorella di Cansignorio, vantava pretese alla signoria di Verona. La contesa poté essere appianata con un accordo stipulato a Milano il 26 febbr. 1379.
Nonostante queste benemerenze, l'uccisione di Bartolomeo della Scala da parte del fratello Antonio (12 luglio 1381) portò a una completa rottura con il giovane signore di Verona, che, avido di potenza, non intendeva dare più conto delle proprie azioni a nessuno. Il B., che si era ritirato nei suoi feudi, fu colpito nel 1383 dal bando e dalla confisca dei beni. Si rifugiò a Venezia, poi a Ravenna presso Galeotto Malatesta suo parente; infine decise di recarsi alla corte di Giangaleazzo Visconti, conte di Virtù, dove avevano trovato ospitalità altri áuli veronesi. Arrestato in viaggío per ordine di Guido da Polenta (settembre 1383), poté riscattarsi solamente mediante l'esborso della forte somma di 5000 ducati.
Liberatosi, si rifugiò a Pavia, dove fu accolto amichevolmente dal Visconti, che lo chiamò a far parte del suo Consiglio e lo investì il 22 luglio 1385 del feudo di Maccastorna nel Cremonese. Gli procurò inoltre la cittadinanza di Cremona (30 nov. 1385) e quella di Milano (15 febbr. 1386). Il B. seppe meritarsi assai presto la fiducia di Giangaleazzo, tanto da partecipare alla cattura di Bernabò Visconti (6 maggio 1385), al quale, secondo il racconto della Cronaca carrarese, tolse la spada dal fianco.
Particolare importanza ebbe l'azione svolta dal B. nella lotta del Visconti contro Antonio della Scala, cui non aveva perdonato la protezione offerta ai figli di Bernabò Visconti. Nell'estate del 1386 il B. si recò a Padova, ufficialmente per congratularsi in nome del conte di Virtù con il signore Francesco il Vecchio da Carrara per la vittoria riportata sulle truppe scafigere nella battaglia delle Brentelle (25 giugno 1386), ma con il segreto proposito di preparare un'allenza contro Antonio della Scala, conclusa il 19 apr. 1387 a Pavia: Verona sarebbe dovuta toccare al Visconti, Vicenza al Carrarese.
Quando, nell'autunno del 1387, iniziarono le ostilità contro Verona, il B. fu investito della carica di commissario e provveditore dell'esercito visconteo, e fu proprio lui che, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre, a capo di trecento annati, entrò per primo in Verona per la porta di S. Massimo, apertagli dai partigiani viscontei. Vista l'inutilità di ogni resistenza, Antonio della Scala si arrese, chiedendo però al suo vecchio avversario una tregua per trattare con il Visconti. Il B. gliela negò, e Antonio fu costretto a lasciare Verona per rifugiarsi a Venezia. La conquista di Verona rappresentò per il B., oltre alla rivincita sullo Scaligero, la reintegrazione nel possesso dei beni che gli erano stati confiscati.
Nel corso del conflitto insorto con Francesco da Carrara, in conseguenza dell'occupazione viscontea di Vicenza, il B. svolse varie ambascerie tutte intese a isolare il Carrarese, che dopo lo Scaligero doveva essere la prossima vittima del Visconti. Così, per impedire un'alleanza di Francesco da Carrara con Venezia, fu mandato nel gennaio del 1388 a Ferraray dove Niccolò d'Este aveva riunito gli ambasciatori veneziani e padovani per un tentativo di mediazione. Il B. non solo riuscì a far naufragare le trattative, ma poté anche gettare le basi per una lega anticarrarese, stipulata il 29 maggio seguente a Venezia in nome del Visconti da Niccolò Spinelli e Iacopo Del Verme. Nel frattempo si era recato, insieme con Inghiramo Bracchi, a Firenze (aprile 1388) per impedire un intervento di questo governo nella vertenza. Quando verso la fine di giugno scoppiarono le ostilità, Francesco da Carrara si trovò completamente isolato. Dopo la conquista viscontea di Padova nel novembre dei 1388, alla quale aveva partecipato personalmente il B. (la Cronaca carrarese riferisce delle sue trattative con il comandante carrarese Albertino da Peraga nel tentativo di avere la città per tradimento), questi si recò nuovamente a Firenze a difendere l'operato del Visconti e proporre una lega generale con lo scopo di paralizzare i preparativi militari dei Fiorentini contro il signore di Milano.
La guerra che minacciava di esplodere da un giorno all'altro fu evitata ancora una volta per la mediazione del signore di Pisa, Pietro Gambacorta, che aveva riunito nella sua città un congresso, dove il B. insieme con Andreasio Cavalcabò rappresentò gli interessi del conte di Virtù. Sebbene gli ambasciatori milanesi ancora il 29 sett. 1389 avessero concluso un'alleanza con Siena contro Firenze, il 9 ottobre si venne alla costituzione di una lega generale, della quale, oltre a Firenze e al Visconti facevano parte numerosi comuni e signori dell'Italia settentrionale e centrale. La pace fu garantita, però, solo per pochi mesi.
Nella primavera del 1390, nell'imminenza della guerra, il B. fu inviato di nuovo a Pisa con il duplice incarico di impedire il passaggio del Gambacorta alla parte fiorentina e di procurare basi strategiche all'esercito visconteo. Infine, dal settembre del 1391 fino all'inizio del 1392, rappresentò insieme con Niccolò Spinelli gli interessi del conte di Virtù nelle trattative per la pace che fu conclusa il 20 genn. 1392 a Genova. Durante il soggiorno a Genova stipulò anche una lega con il doge Antoniotto Adorno (nov. 1391).
Instancabile collaboratore del Visconti, il B. concluse il 3 maggio 1394 un'allenza con il marchese Teodoro di Monferrato e fu presente alla stipula del contratto di nozze di Elisabetta figlia di Bernabò Visconti con Ernesto duca di Baviera (dicembre 1393), dell'accordo con il duca di Baviera (30 nov. 1394) e della lega con il duca di Orléans (27 dic. 1395).
Il B. morì il 28 nov. 1397.
Aveva sposato Francesca di Castelbarco e, dopo la sua morte nel 1372, Taddea di Maso Tarlati da Pietramala. Una delle figlie, Caterina, sposò Giovanni Pico della Afirandola signore di Carpi; un'altra, Elisabetta, Gentile da Varano signore di Camerino.
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