BEROARDI, Guglielmo (Berovardi, Berrovardi)
Nacque a Firenze, probabilmente intorno al 1220: tra gli ufficiali ad cavallatas eletti il 6 febbr. 1260 è nominato, infatti, suo figlio Ruggero che doveva allora contare diciotto-venti anni.
La famiglia dei B. - venuta, secondo il D'Ancona, "da Arezzo o da Castiglione Aretino": ma non sappiamo da quali elementi l'illustre studioso lo argomentasse - abitava già in Firenze almeno dalla fine del sec. XII: un Guido Beroardi, quasi certamente nonno di Guglielmo, è citato il 13 e 15 nov. 1197 nell'elenco dei consoli e consiglieri fiorentini che giurarono la lega di San Genesio. Qualora si giungesse a dimostrare con certezza che il Liber extimationum del 1269è veramente l'autografo stilato da Ruggero, notaio, figlio del B. (come crede il Brattö), la forma legittima del cognome dovrà essere "Berovardi", che nei Documenti dell'Antica Costituzione e nelle Consulte si alterna con "Beroardi".
Intensissima ful'attività del B., come giudice e notaio, sindaco e procuratore del Comune, tra l'agosto 1254 e il giugno del 1258, come può esser desunto dai Documenti dell'antica costituzione. Assai probabilmente dopo il tentativo fallito di giungere a un accordo con Manfredi (luglio-agosto 1259), o immediatamente dopo la sconfitta subita dai Fiorentini a Santa Petronilla (18 maggio 1260), i maggiorenti di parte guelfa lo scelsero per inviare un'ambasceria a Corradino di Svevia: a lui affidarono l'importante e delicata missione di convincere il legittimo erede degli Hohenstaufen - o meglio, il suo tutore, il duca Ludovico di Baviera - a scendere in Italia per ristabilirvi l'autorità imperiale.
Con un atto di incongruenza politica giustificabile soltanto col timore di un'imminente catastrofe, il Comune inviava contemporaneamente in Spagna Brunetto Latini a chiedere aiuti ad Alfonso X di Castiglia. In effetti la situazione politica di Firenze guelfa si presentava oltremodo critica: si temeva seriamente da un momento all'altro un'azione decisiva da parte di Manfredi, né si poteva sperare su un immediato intervento dell'esercito imperiale. Il Comune pensò quindi che fosse opportuno chiedere aiuti anche a un terzo signore, già da tempo candidato alla corona imperiale: Riccardo di Cornovaglia, fratello di Enrico III d'Inghilterra. Trovandosi egli nell'agosto 1260 a Worms, il B. non fece che allungare di poco il suo viaggio alla volta della Baviera fino alla città francone, dove s'incontrò col principe e ne ebbe promessa d'aiuto.
èperciò erronea la notizia riportata dal Torraca e ripetuta dallo Zaccagnini, secondo la quale il B., per incontrare Riccardo, viaggiasse "dall'Italia all'Inghilterra"; ed è da segnalare un altro grave errore in cui incorse il Bertoni, per il quale il B. nel 1260 fu "ambasciatore ghibellino a re Manfredi"; la notizia è ripetuta tal quale nella Crestomazia del Monaci.
Attardatosi alcuni giorni a Worms per cause di forza maggiore, il B. aveva finalmente ripreso da poco il viaggio verso la Baviera quando venne raggiunto dalla notizia della terribile sconfitta toccata ai suoi concittadini il 4 settembre a Montaperti. La notizia della disfatta lo disorientò tanto più ch'essa era stata esagerata; sicché egli decise di tornare in Italia, cosa che dovette essergli aspramente rimproverata allorché a Lucca raggiunse i fuorusciti di parte guelfa, che inviarono a Corradino un altro ambasciatore.
Nella lettera di risposta, datata 8 maggio 1261, Corradino dichiara di essere disposto a intervenire prontamente, ma di dovere riunire prima una dieta "principum Alamanie et aliorum subditorum" per averne gli aiuti necessari; dichiarazione con la quale il sovrano intendeva chiaramente prender tempo. Intanto a Firenze l'odio di parte si scatenava contro i beni e le case dei Guelfi esuli. Una casa e una torre di proprietà del B., poste presso la chiesa di S. Tommaso ("S. Famé") in Mercato Vecchio, vennero distrutte. Ne verrà presa nota nove anni dopo nel Liber extimationum dei danni subiti da proprietà guelfe tra il 1260 e il 1266; compilatore del Liber, su incarico del giudice e degli ufficiali del Comune, sarà il figlio del B., Ruggero.
Nulla ci è noto dell'attìvità e dei movimenti del B. esule tra il 1261 e il 1265. è infine a Bologna il 16 marzo 1266, testimone di un atto di quietanza sottoscritto da Ricco di Cambio Fitrosi e Iacopo Bellondi, detto Puccio, a beneficio dei fratelli Ricco e Bartolo di Iacopo. Con ogni probabilità il B. si trovava alla vigilia del rientro a Firenze, riapertasi ai fuorusciti con la battaglia di Benevento.
Il B. è comunque presente in Firenze il 15 ott. 1267, "rogatus de sindacatu", perciò reintegrato nelle sue funzioni, per un atto di quietanza stipulato dal Comune e dai procuratori di Carlo d'Angiò. (Nelle Delizie…, VIII, p. 219, si legge: "ser Guilielmus Ruggerini Guidi Ber[n]ardi notarius"; ma si tratta certamente di errore). Il 12 dicembre dell'anno successivo è citato come testimone dell'atto di riordinamento dall'istituto del confino per i Ghibellini redatto dalla parte guelfa.
Un altro vuoto di documenti impedisce di conoscere l'attività del B. negli anni 1269-76. Sembra tuttavia che, almeno nell'ultimo periodo di questo intervallo di tempo, egli abbia rivestito l'incarico di dettatore del Comune: una copia notarile d'una lettera del 5 luglio 1277, tratta da un registro - non pervenutoci - in cui venne trascritta la corrispondenza del Comune di quell'anno, reca la notizia che il registro stesso fu "scriptum per Guillielmum Beroaldi notarium". Il Davidsohn aggiunge (Forschungen…, IV, pp. 148 s.) che il B. potrebbe essere l'autore, non semplicemente lo scriba, della corrispondenza.
Nel 1280 il B. è membro del Consiglio, e frequenti sono i suoi interventi: il 10 genn. è testimonio nel Consiglio dei Savi riunito per la pace detta "del cardinal Latino"; il 18 successivo è proposto come notaio a registrare gli atti di tale pace; e interviene inoltre attivamente in altre sedute.
Della sua morte conosciamo soltanto il giorno e il mese, registrati nel Necrologio di S. Reparata: il 9 giugno.
Poiché il 29 ag. 1282 tra i cittadini che dovevano procedere alla nomina dei quattordici "boni homines" è citato "ser Ginus olim ser Guillelmi Beroardi", si può soltanto affermare che il B. morì tra gli inizi dell'aprile 1280 e la fine dell'agosto 1282. Non si è potuto rintracciare donde il Davidsohn abbia tratto la notizia secondo la quale egli era già morto il 2 genn. 1282; notizia che avvicinerebbe di un'anno i due termini ante e post quem. L'improvviso e definitivo cessare dei suoi interventi nei Consigli farebbe propqndere per il giugno 1280.
La produzione poetica del B. giunta sino a noi è assai esigua: due canzoni e un sonetto. Le due canzoni, tra l'altro, sono a lui assegnate soltanto in uno dei tre codici che ce le hanno tramandate, il Vat. lat.3793; nel Laur. Red.9, c. 74 r, "Gravosa dimoranza" è adespota, e a "notar Iacomo" da Lentini è attribuita "Membrando ciò ch'amore" (c. 63 r); la quale per l'amanuense del codice Palatino 418 (c. 38 r) è invece di "messer Piero da le Vigne".
"Gravosa dimoranza", cinque stanze a coblas capfinidas, è una canzone di pretto stampo provenzale, nella quale il poeta lamenta la lontananza della donna amata ricorrendo a espressioni e immagini spesso abusate. Non ci sembra di poter concludere che la canzone sia stata scritta al tempo dell'esilio, 1260-66: la "donna lontana" è infatti un topos anche troppo frequente nella letteratura trobadorica. Simile per argomento e ispirazione è l'altra canzone, pure di cinque strofe "Membrando ciò ch'amore", anch'essa fortemente provenzaleggiante nella topica e nel linguaggio.
Un grosso problema suscita il sonetto "D'accorgimento prode siete e saggio", la terza delle diciassette composizioni su diciotto originarie (è perduto l'intervento di Palamidesse di Bellindote) che formano una tenzone d'argomento politico, in cui alcuni rimatori fiorentini (Cione, Federigo Gualterotti, Lambertuccio Frescobaldi, Chiaro Davanzati e il B.) sostengono, contro l'opinione di Monte Andrea, la superiorità di un "segnor" che accampa su stendardo vermiglio un'aquila d'oro, il quale si è messo in viaggio dalla Germania alla volta dell'Italia, "e dicie che verà di qua da Po" (Monaci: Chiaro, Davanzati., V, 9) a sgominare l'esercito francese di Carlo d'Angiò.
Assai dibattuta è la data della tenzone, impossibile com'è identificare con certezza il "segnor… de la Mangna" cui si fa riferimento. Il Massera, il Debenedetti, lo Zingarelli e altri ritengono sia da riconoscere in Rodolfo d'Asburgo, e datano la tenzone al 1274-75, allorché Rodolfo, eletto nel settembre 1273 re dei Romani e accettato come tale da Gregorio X l'anno dopo, si incontrò a Losanna il 20 ott. 1275 col papa per i preliminari dell'incoronazione romana. Il Davidsohn difese più volte energicamente la propria tesi, secondo la quale il signore che "di tramontana viene" è invece Corradino: la tenzone sarebbe pertanto del 1266-67, anni in cui il giovane svevo preparava la sua discesa in Italia. La soluzione dei problema è resa pressoché impossibile dalla difficoltà di cernere tra gli artifici metrici notevolmente astrusi, specie dei componimenti di Monte, e le oscure allusioni a fatti e avvenimenti, a noi male o per nulla noti, qualche elemento che possa costituire una solida base per una conclusione. Noteremo solo, contro il Davidsohn, che se Lambertuccio afferma (Monaci: Lambertuccio, XII, 11) "che il papa… benedicie e sengna" la "tedesca spada", difficilmente potrà trattarsi di Corradino. Contro l'altra tesi c'è da obiettare che Rodolfo d'Asburgo non progettò mai alcun viaggio alla volta dell'Italia nel 1275, mentre invece si afferma nella tenzone che egli lo aveva già intrapreso.
Oltre a quello della datazione, il sonetto implica anche un grosso problema d'attribuzione. Ne è stata negata infatti al B. la paternità per il fatto che in esso si trovano espressi sentimenti ghibellini. Non basta: nel codice Vat. lat.3793, che pure attribuisce le due canzoni a "ser Guglielmo Beroardi", il sonetto è dato a un "ser Beroardo notaio". Non pochi studiosi, tra cui il Davidsohn e il Massera, cercarono una soluzione assegnando il sonetto a un "Bonovardus quondam Rugerini notarius", citato in un documento del 3 apr. 1267. Un "Bonovardus Rugerini notarius", va aggiunto, compare nei Documenti dell'Antica Costituzione altre due volte, il 9 apr. 1242 e il 19 genn. 1247.
Questa identificazione tuttavia non ci sembra risolva la questione: dal documento del 1267 "Bonovardus" appare anche lui guelfò (e sarebbe oltremodo strano trovare un ghibellino eletto notaio per setti anni dal Comune guelfo).
Non sembra invece insuperabile lo scoglio del ghibellinismo che impedisce di riconoscere il ser Beroardo autore del sonetto nel B. dei documenti e delle canzoni; si è già sottolineata la estrema disinvoltura politica del Comune guelfo nei mesi immediatamente precedenti al settembre 1260: esso non aveva esitato a tentare accordi con Manfredi e a inviare ambasciatore a Corradino proprio il Beroardi. È dunque possibile, sia pur con prudenza, l'identificazione di ser Beroardo col B., tanto più che la forma "Beroardus" è la più frequente nelle Consulte.
Maggiore importanza, almeno agli occhi dei suoi contemporanei, dovette rivestire un'opera del B. che non ci è pervenuta: uno scritto - non sappiamo neppure di qual respiro e di che portata - d'argomento etimologico, di cui si trova allusione esplicita nel Tesoro versificato: "El bono Gulielmo Berovaldo ethimologisatore di tutte cose in questo modo il nome di Fiorense puose / et perciò è de' più ethimologisatori de' nomi credensa / ch'ella fue chiamata Fiorensa" (codice Patatino 679, c. 90r); e, più distesamente, nel codice Panciatichiano Palatino 28 (c. 75r, col. 1): "El buono Guglelmo Berrovardo di Fiorenza / che del 'timol(og)izare ebbe vera sentenza / e in più dettati 'themologizò molte cose / A flore florens il nome di Fiorenze spuose: / ancora disse che non fosse dal re Fiorino".
Nulla di più siamo in grado di precisare in merito a quest'opera, fuorché il notare che l'etimologia attribuita al B. è sicuramente più antica, trovandosi già nell'Elegia di Arrigo da Settimello (ed. A. Marigo, vv. 991-992).
Il figlio del B., Ruggero (Ghino o Gino), fu anch'egli notaio e, come è stato già detto, compilò nel 1269 il Liber extimationum e fu nel 1260 eletto ufficiale ad cavallatas. Il suo nome ricorre inoltre frequentemente in documenti fiorentìni dal 1278 al 1290. Il 4 luglio di questo stesso anno era stato inoltre ufficiale ad cavallatas, come nel '60.
Fonti e Bibl.: La lettera dei fuorusciti guelfi inviata da Lucca a Corradino, e la risposta del sovrano, stanno nel cod. Vat. lat.4957, alle cc. 83v-86r. Sul B. vedi: Delizie degli eruditi toscani, VII, Firenze 1776, pp. 204, 219; VIII, ibid. 1777, pp. 142, 217, 219; IX, ibid. 1777. pp. 38, 62, 296; B. Capasso, Historia dipl. Regni Siciliae ad a. 1250 ad a. 1266, Napoli 1874, pp. 206-207, doc. 347; A. D'Ancona-D. Comparetti, Le antiche rimevolgari…, V, Bologna 1888, p. 884; I. Del Lungo, Una vendetta in Firenze il giorno di San Giovanni del 1295, in Arch. stor. ital., XVIII(1886), pp. 355 ss.; Il Tesoro versificato, a cura di A. D'Ancona, in Mem. della R. Accad. dei Lincei, s. 4, IV (1888), pp. 132-34; T. Casini, G. B., in Il Propugnatore, n.s., I (1888), pp. 118-120; Doc. dell'Antica Costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, Firenze 1895, p. 40; App., Firenze 1952, pp. 65, 76, 86, 91, 94, 95, 115, 118, 123, 126, 130, 141, 143, 144, 189, 228, 242, 253; Le Consulte della Rep. fiorentina…, a cura di A. Gherardi, I, Firenze 1896, pp. 3, 4, 8, 11, 13, 25, 97, 152, 193, 204, 208, 219, 234, 255, 265, 295, 320, 398, 434, 458, 470; II. ibid. 1898, pp. 61, 64; I. Del Lungo, Dal secolo e dal poema di Dante, Bologna 1898, pp. 133 ss.; F. Torraca, Studi sulla lirica ital. del Duecento, Bologna 1902, pp. 156 s.; R. Davidsohn, Forsch. zur Gesch.von Florenz, IV, Berlin 1908, pp. 148 s.; S. Debenedetti, rec. a R. Davidsohn, Forschungen…, e a H. Finke, Acta Aragonensia, in Giorn. stor. d. lett. ital., LVI(1910), pp. 180 s.; E. Werder, Studien zur Gesch. der lyrischen Dichtung im alten Florenz, Zürich 1918, pp. 135, 176 s.; F. Massera, Sonetti burleschi e realistici dei primi due secc., Bari 1920, I, p. 47; II,p. 79; Chartul. Studii Bononiensis, V, Bologna 1921, doc. CCCCIV; G. Zaccagnini, Poeti e prosatori delle origini, in Giorn. dantesco, XXVIII(1925), p. 169; N. Zingarelli, La vita, i tempi, le opere di Dante, Milano 1944, pp. 11 s., 39, 41, 51 n., 48, 109; E. Monaci, Crestomazia ital. dei primi secoli, Roma-Napoli 1955, pp. 267 s.; Liber extimationum…, a cura di O. Brattö, in Göteborgs Universitets Arsskrift, LXII (1956), 2, pp. 4, 18, 81; B. Panvini, La scuola poetica sicil., II, Firenze 1958, pp. 27-33;G. Bertoni, Il Duecento, Milano 1960, PP. 157 S.; R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, Firenze 1996, pp. 686-88, 703; III, ibid. 1957, pp. 42 s., 168; V, ibid. 1962, pp. 183 s.; VI, ibid. 1965, p. 235.