BASTONI, Guglielmo
Nacque a Milano il 5 dic. 1544; il padre Francesco, originario di Basco (Alessandria), aveva abbracciato il mestiere delle armi ricoprendo vari incarichi militari a Milano, fino a quando non venne chiamato a Roma, come castellano di Castel S. Angelo, carica che tenne poi fino alla morte avvenuta nell'ottobre del 1568 e in cui gli successe il figlio primogenito Alberto.
Il B. si avviò invece alla carriera ecclesiastica, ove ricoprì vari uffici nella curia romana. Pio V lo nominò referendario di ambedue le segnature; Sisto V nel 1585 lo elesse coadiutore della Dataria, e Gregorio XIV lo chiamò a ricoprire la carica di governatore di Roma con breve del 24 apr. 1591; Clemente VIII lo creò prelato domestico e, nel concistoro del 30 apr. 1593, lo elesse vescovo di Pavia.
Alla diocesi pavese era stato destinato, dopo la morte del barnabita Alessandro Sauli, il francescano Francesco Gonzaga, ma, avendo questi accettato di essere nominato piuttosto a Mantova, fu libero il seggio pavese per il Bastoni. Volle Clemente VIII che egli fosse consacrato in Roma, nella basilica di S. Maria degli Angeli, per mano del Cardinale Sforza. La cerimonia fu celebrata il 30 aprile stesso, ma il B. soltanto il 21 dicembre seguente potè prendere possesso della sua sede. Nel frattempo l'arcivescovo di Milano, Gaspare Visconti, aveva promosso contro di lui una lite che, pur senza mancare di pretestuosità, faceva riferimento agli obiettivi diritti della Chiesa metropolitana lombarda, alla quale la consacrazione dell'eletto pavese non avrebbe potuto essere negata. La Curia romana non tornò - naturalmente - sui suoi passi e mantenne ferma la piena validità della consacrazione romana del Bastoni.
Questa circostanza sembra confermare come il B. appartenesse a quel composito mondo ecclesiastico e curiale che a Roma, sotto i pontificati di Clemente VIII e di Paolo V, perseguì, con un equilibrio nel complesso felice, una sapiente opera di sollecitazione della vita religiosa, di accentramento curiale e di tutela del potere temporale del papa: tipica espressione, insonuna, dello spirito della Controriforma giunto a piena maturità e consapevolezza.
Come vescovo di Pavia, il B. lasciò buona memoria di sé, o per la sua opera pastorale che per l'indole e il comportamento. Questi risaltarono in particolare nel 1596 quando, a causa di avversità meteorologiche prolungate e severe, l'agricoltura del Pavese ebbe a subire gravi danni. Il B. seppe allora organizzare una vasta azione di soccorso che fu di grande beneficio alle popolazioni. Quanto all'opera pastorale, essa fu contraddistinta dall'impegno col quale egli perseguì nella sua diocesi la piena applicazione dei decreti tridentini. Meritano di essere ricordati l'impulso dato al culto eucaristico e la venuta dei gesuiti in Pavia da lui promossa nel 1601.
Ma l'aspetto più interessante della sua attività diocesana è certamente legato alle controversie in materia giurisdizionale che egli si trovò via via ad affrontare con l'autorità civile.
Troviamo ad esempio il B., impegnato a risolvere alcune questioni in tema di crimina mixti fori, chiedere alla Sacra Congregazione dei vescovi un parere in merito a una richiesta di estradizione dell'autorità secolare, coll'ìntento di ribadire il principio che il vescovo deve riservarsi la "facoltà di conoscere et chiarirsi della necessità, et qualità del delitto" (mss. Ferrajoli 612, f.69 v; Vat. lat.12285, ff. 167-68).
L'impegno e l'attenzione col quale il B. si dedicava a queste dispute ci fa intendere come egli certamente dovette presto impadronirsi dei complessi problemi giurisdizionali che agitavano da quasi un quarantennio i rapporti tra l'autorità secolare e l'arcivescovo di Milano. Da Pavia egli ebbe modo di formarsi un'esperienza diretta e di acquisire quella pratica in tali materie che negli anni seguenti gli valse la nomina a nunzio pontificio in Spagna e a Napoli.
Nel novembre del 1598 il B. raggiungeva la corte pontificia a Ferrara, ove, il 17 dì quel mese, Clemente VIII lo nominava nunzio straordinario in Spagna. La missione del B. era limitata quanto all'oggetto, ma nelle intenzioni di Clemente VIII, come appare dall'"istruzione", non priva di rilievo politico. La morte di Filippo II avvenuta nel settembre del 1598 e la successione di Filippo III lasciavano sperare, assieme a un mutamento nelle gerarchie statuali, in un cambiamento di indirizzo proprio nella politica ecclesiastica. Compito del B. era dunque quello di sondare le intenzioni del nuovo sovrano soprattutto in merito alle controversie giurisdizionali che sia a Napoli sia a Milano continuavano a intralciare i rapporti tra l'autorità secolare e quella ecclesiastica. A Milano soprattutto il conflitto si era riaperto con violenza nel 1596 per alcuni provvedimenti lesivi della giurisdizione ecclesiastica presi dal governatore Velasco, che avevano suscitato le reazioni del cardinale arcivescovo Federico Borromeo.
In una lettera del nunzio ordinario a Madrid mons. Camillo Gaetano al card. Aldobrandini del 27 gennaio, il primo si augurava che la missione del B. non perdesse "così buona congiuntura di cavar risposte non più generali, et senza conclusione, come si faceva al tempo del Re passato, ma alcuna buona promissione massime per le cose dello Stato di Milano" (Nunziat. di Spagna 50, f. 28 r). Abbiamo qui la misura delle difficoltà che il B. si trovava ad affrontare. Lo scoglio che Clemente VIII sperava di superare attraverso l'opera del nunzio consisteva proprio nella tradizionale linea di condotta di Filippo II, che anziché respingere le istanze della diplomazia pontificia, di volta in volta ne aveva sottoposto le proteste al prolisso esame dei suoi ministri, promettendo di troncare gli eventuali abusi. Per questa via si erano affossate le trattative del 1581 e ci si era sempre allontanati da una soluzione conclusiva.
La missione del B. aveva certamente tra i suoi obbiettivi quello di riprendere le trattative interrotte, approfittando della nuova situazione creatasi nella corte spagnola con la morte di Filippo II. Ma egli dovette rendersi presto conto dell'illusorietà di questo progetto e della necessità di limitarsi a un programma più ristretto di rivendicazioni, come appare evidente in una sua lettera al cardinale Aldobrandini del 9 marzo: "non trovo - avvertiva il B. - già alcuno che neghi che bisogni provvedere, e che la Chiesa abbia patito le patisca, ma nel modo pare stia tutta la difficoltà, quanto ai principi generali" (FondoBorghese, s. 1, 682 f. 61).
Il B. si limitò dunque a cercare di superare alcuni punti più salienti di attrito, come "quella grida del Governatore di Milano, fatta l'anno 1596, in materia di giurisdizione, che ha causato tanti danni alla Chiesa et... cause di discordia particolari con l'Arcivescovo" (f. 61). Riguardo a questo problema Filippo III sembrava maggiormente disposto a dare assicurazioni sempre in termini che non ledessero "l'autorità regia nei popoli" (Barb. Lat.5370, f. 48 v). In questa prospettiva il B. intendeva con acutezza la portata dèi mutamenti in corso nell'amministrazione spagnola di Napoli e Milano. A proposito della sostituzione dei Velasco con il conte di Fuentes come governatore di Milano il B. in una lettera del 2 maggio aveva cura di avvertire: "il Velasco è alla Chiesa contrario, duro, ardito, artificioso, vecchio, robusto, letterato, pratico. Per la Chiesa la mutazione è buona" (Fondo Borg., s. 1, 682, f. 98).
Il fallimento della missione del B. sul piano più generale veniva d'altra parte confermata dalla risposta preparata dalla cancelleria spagnola alle, rivendicazioni pontificie (Lo que Su M.d ha mandado al obibspo de Pavia nuncio extraordinario de Su S.d en materia de Jurisdictiones, in Fondo Borghese, s. 1, 682, f. 84v-r): documento non privo di importanza ai fini d'una valutazione della politica regalistica di Filippo III, per l'esplicita volontà in esso espressa di continuare in materia ecclesiastica sulla via tradizionale fino ad allora seguita dalla monarchia spagnola.
Conclusa così la sua missione, il B. s'imbarcava a Barcellona il 7 giugno 1599. Dopo questa parentesi diplomatica tornava alla sua diocesi di Pavia, per rimanervi fino al dicembre del 1605, quando. Paolo V lo chiamava a ricoprire la carica di nunzio permanente a Napoli.
Certamente anche per questa nomina la scelta cadde sul B. proprio in relazione alla sua preparazione in materia giurisdizionale. La peculiare natura delle relazioni tra il Regno di Napoli e la Santa Sede richiedeva infatti una particolare attenzione ad una serie di problemi che, se anche non uscivano dai limiti dell'ordinaria amministrazione, richiedevano una specifica attenzione. Le carte relative alla nunziatura del B. vertono infatti prevalentemente su questioni beneficiarie e su minuti problemi d'ordine giurisdizionale.
Non è tuttavia senza interesse l'atteggiamento preso dal B. di fronte al problema cronico dei banditi che si facevano schermo dell'immunità dei luoghi sacri ("abusando, d'immunità si servono de luoghi sacri per ritirata e asilo, e vi commettono ogni sorta di delitti, e di sporcizie nefande senza rispetto alcuno, e senza timore di Dio... hanno fin ardire d'impadronirsi de monasteri, e conventi, e di cacciare i religiosi, levare loro il vitto, batterli e trattarli male", Borg. Lat. 6, ff. 85r-88r).
Il B. intese risolvere la questione procedendo d'accordo con l'autorità civile e sollecitò presso la Santa Sede un provvedimento che gli consentisse "di dar licenza al magistrato o corte secolare d'estradere dalle chiese e da altri luoghi sacri... senza osservare la forma della costituzione di Gregorio"; procedura poco nota e che offre uno spunto interessante a chi voglia oggi riconsiderare storicamente la tradizionale prassi giudiziaria in tema d'asilo. Tale facoltà infatti, che permetteva la massima segretezza e rapidità nell'esecuzione dei provvedimenti, gli veniva concessa da Paolo V con breve dell'aprile del 1596, accompagnata dalla raccomandazione "che l'estradizioni si faccino con meno irriverenza, e rumore, che sia possibile, e per queste licenze non dovrà lasciare pigliare pagamento alcuno, concedendoli tutti quando occorrerà gratis" (Vat. lat. 10425, ff. 129-132 v).
Durante la lotta, scatenata da Paolo V contro Venezia che fu attivamente appoggiata dalla Spagna, tra l'altro attraverso la pressione politica e militare esercitata da Napoli, il B. poté anche svolgere un'azione diplomatica non difficile, ma certamente utile (e come tale apprezzata a Roma). La tradizione vuole che durante la sua nunziatura egli abbia conosciuto ed assiduamente frequentato suor Orsola Benincasa.
A Napoli, nel gennaio 1609, il B. morì ed ivi ebbe anche sepoltura.
Fonti e Bibl.: Arch. Segreto Vaticano, Vescovi: 44, vol. 39, p. 288b (1595); Cons.157; p. 88 (6 maggio 1593); 44, vol. 42, pp. 250, 252 (1598); 41, p. 1460 (1599); 44, 56, p. 33; Nunziat. Spagna, 50, 52; Nunziat. Napoli, 19, 20; Fondo Borghese: s. 4, 269, ff. 1-7; s. 1, 682, ff. 1-98; Arm. XLIV, 42, f. 247; Bibl. Apostolica Vaticana, mss.: Vat., lat..14121, B. Chioccarello, Archivio della regia giurisdizione, t. III, ff. 27 r, 130 r-135 v; Borg. lat. 67, ff. 81-83 V, 85 v-88 v; Vat. lat.10425, ff. 129-132; Vat. lat. 12285, ff. 167-68; ms. Ferr. 612, ff. 112-112 r; ms. Ferr. 612, f. 69 v; F. Maggio, Vita della venerabile madre Orsola Benincasa, Roma 1655, p. 430; B.Chioccarello, Archivio della regia giurisdizione, Venezia 1721, p. 36; C. Cappelletti, Le Chiese d'Italia..., Venetia 1857, p. 474; P. Pagliucchi, I Castellani del Castel S. Angelo di Roma..., II, Roma 1868, pp. 9 s.; M.Capece Galeota, Cenni storici dei nunzi apostolici residenti nel regno di Napoli, Napoli 1877, pp. 46 s.; L. Amabile, Fra Tommaso Campanella..., Napoli 1882, II, p. 384; R. De Hinojosa, Los despachos de la diplomacia pontificia en España, I, Madrid 1896, pp. 396-405; H. Biaudet, Les Nonciatures apostoliques permanentes iusq'en 1648, Helsinki 1910, pp. 175, 253; B. Katterbach, Referendarii utriusque signaturae a Martino V ad Clementem IX..., Città del Vaticano 1931, pp. 139 s.; P. Gauchat, Hierarchia Catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 273.