guerriglia
Forma particolare di lotta, spiccatamente offensiva, condotta da parte di limitate formazioni, per lo più irregolari, contro le truppe regolari di uno Stato estero o dello stesso Stato per liberare il territorio nazionale occupato dal nemico, ovvero per abbattere o destabilizzare il regime politico costituito. Consiste essenzialmente in imboscate, assalti di sorpresa e conseguenti brevi scontri, con immediato disimpegno. Richiede una perfetta conoscenza dell’ambiente naturale ed è incisiva laddove incontra il favore della popolazione. Le zone di montagna, i boschi, l’ambiente lagunare e di palude sono particolarmente favorevoli alle azioni di guerriglia. La g. è stata impiegata in tutte le epoche passate, ma la frequenza degli episodi è aumentata negli ultimi secoli: nel 18° raggiunse un buon grado di perfezionamento tecnico ma rimase estranea alla generalità della popolazione, che fu attivamente coinvolta solo con la guerra di Indipendenza americana (1775-83) e la rivolta della Vandea (1793-96). Lungo il corso del 19° secolo fu impiegata in modo particolare nella guerra popolare spagnola contro l’esercito napoleonico (1808-13), in seguito alla quale divenne di uso generale il termine guerrilla. Fu altresì adottata nelle guerre di indipendenza in America Latina (1810-21), Grecia (1821-32), Polonia (1831 e 1863) e Italia (1848-49), e praticata in appoggio alle operazioni degli eserciti regolari durante la guerra di Secessione americana (1861-65) e il conflitto franco-prussiano (1870-71). Nel complesso, tuttavia, fino al 1914 ebbe sempre obiettivi in certo modo secondari, incapaci di incidere sulle decisioni strategiche degli ambienti politici e militari ufficiali. Se durante la Prima guerra mondiale la g. rivelò forme e possibilità d’azione determinanti per il suo sviluppo (grazie soprattutto alla notorietà acquistata da T.E. Lawrence, guida della rivolta araba contro i turchi nel 1916-17), tra le due guerre giganteggiò per durata, dimensioni e portata storica quella condotta in Cina dalle forze comuniste (1927-45). Nel corso del secondo conflitto mondiale, combinandosi con le operazioni degli eserciti regolari, questa forma di lotta assunse ovunque importanza strategica e divenne lo strumento della resistenza totale della popolazione civile. In questo senso ebbe un ruolo decisivo in Unione Sovietica; in Iugoslavia sviluppò forze e capacità insospettate. Dopo la Seconda guerra mondiale numerosi movimenti di liberazione hanno utilizzato la g. nella lotta per l’indipendenza (da quella indonesiana, ottenuta nel 1949, a quella della Namibia nel 1990). Al di là del processo di decolonizzazione, la g. ha conosciuto nel dopoguerra una notevole diffusione nei paesi del Terzo mondo, sia ad opera di movimenti rivoluzionari (come quello castrista, vittorioso a Cuba nel 1959) o controrivoluzionari (come quello antisandinista in Nicaragua negli anni Ottanta), sia nel corso dei numerosi conflitti a carattere nazionale o etnico, spesso lasciati in eredità dalle arbitrarie frontiere coloniali.
Espressione entrata nell’uso nella seconda metà degli anni Sessanta del 20º sec. per indicare un particolare metodo di lotta affermatosi in vari paesi dell’Europa occidentale e del continente americano; condotta da gruppi di oppositori, consiste in attacchi, generalmente improvvisi e rapidi, alle forze di polizia per le strade dei centri abitati, o anche in attentati dinamitardi a sedi di partiti, enti ecc.