MARIGNOLLI, Guerriante
– Nacque a Firenze nella prima metà del secolo XIV da Matteo di Guerriante, appartenente a una casata stabilitasi originariamente in una contrada fuori porta a S. Pier Gattolini, denominata Marignolle, da cui derivò il cognome della famiglia.
I Marignolli aderirono al partito guelfo: tra i membri della famiglia è ricordato un Rustico che morì in un combattimento contro i ghibellini e fu sepolto con grandi onori il 1° febbr. 1349 in S. Lorenzo. Il padre del M. fu un personaggio di spicco della vita politica della prima metà del secolo XIV: risulta iscritto nelle liste elettorali del quartiere S. Giovanni per lo scrutinio per il priorato indetto nell’ottobre 1343, dopo la fine della signoria del duca di Atene, Gualtieri di Brienne. Tra il 1344 e il 1346 fu più volte scrutinato per diversi uffici pubblici del Comune. Morì nel 1348.
Anche il M. si dedicò alla vita pubblica: la sua adesione al partito guelfo fu determinante, in quanto avvenne in un periodo in cui la stessa parte – che dal 1356 era entrata nella commissione elettorale per lo svolgimento dello squittinio – raggiunse a Firenze forse la sua massima espressione politica in equilibrio fra le arti e le compagnie del Popolo, a danno dei magnati. La partecipazione in tal senso del M. è documentata a partire dal 3 febbr. 1361, quando risulta iscritto nelle liste del quartiere S. Giovanni predisposte dalla Parte guelfa per lo svolgimento dello scrutinio dei tre maggiori uffici. Fu nuovamente nella recata (lista) Parte per i medesimi uffici il 31 genn. 1364. Nello stesso anno compariva anche nelle liste del quartiere S. Giovanni, «gonfalone» Leone d’oro, compilate dal gonfaloniere di Compagnia per prendere parte al medesimo squittinio. Il 9 febbr. 1367 fu di nuovo inserito negli elenchi del partito guelfo per l’attuazione del nuovo squittinio per le cariche maggiori. L’8 maggio 1369 fu estratto per la prima volta dei Sedici gonfalonieri di Compagnia per quattro mesi e il 1° sett. 1370 conseguì per due mesi il priorato. Il 15 giugno 1373 entrò a far parte per quattro mesi del Collegio dei dodici buonuomini; lo stesso avvenne dal 15 giugno 1377.
Gli eventi che seguirono il tumulto dei ciompi videro il M., che era stato eletto priore il 1° luglio 1378, assumere un ruolo da protagonista.
Infatti i Priori, asserragliati nel palazzo della Signoria senza alcuna difesa, nonostante fossero stati inviati numerosi messi per chiedere soccorso alle compagnie del Popolo, decisero di inviare allo scoperto il M., insieme con Salvestro di Alamanno de’ Medici, Benedetto di Carlone e un certo Calcagnino, taverniere, per conoscere le intenzioni dei rivoltosi. Una volta fuori dall’edificio, visto che l’esecutore degli ordinamenti di giustizia aveva esposto sulla sua residenza il gonfalone, il M. si diresse con i suoi compagni in quella sede e tolse l’insegna allo scopo di sedare la folla: tale gesto causò un momentaneo arresto della battaglia in corso dal momento che i Priori rimasti nel palazzo smisero di gettare pietre contro il popolo minuto per timore di colpire il loro collega.
Il 20 luglio il M. fu nominato cavaliere dal popolo minuto insieme con molti altri cittadini, ma non ebbe un potere effettivo. Gli avvenimenti successivi sono legati alle due petizioni, formulate una dagli artefici e l’altra dal popolo minuto, che vennero presentate ai Priori, ai Collegi e ai Consigli opportuni per la relativa approvazione: la richiesta delle arti era esclusivamente di carattere politico e riguardava la conferma e l’entrata in vigore della precedente deliberazione del 10 luglio contro la Parte guelfa, mentre i popolani aspiravano in particolare a ottenere una rappresentanza politica in seno alle più rilevanti magistrature dello Stato. La mattina del 22 luglio le petizioni ottennero la maggioranza dei voti e pertanto i tumultuanti ne richiesero l’immediata applicazione: in primo luogo che la Signoria in carica lasciasse l’ufficio e consentisse nuove elezioni. A quel punto gli avvenimenti precipitarono: sembra che tale responsabilità sia da attribuirsi al comportamento del M., il quale dopo lo scioglimento della seduta consiliare manifestò il desiderio di controllare che non vi fossero rischi di invasione da parte dei rivoltosi e nello stesso tempo di annunciare alla folla che le petizioni erano state approvate. Ma una volta sceso in piazza decise evidentemente altrimenti: giustificatosi con i popolani per non aver potuto soddisfare le loro richieste ottenne una scorta e se ne tornò rapidamente a casa. Il voltafaccia del M. fece precipitare gli eventi dal momento che gli altri magistrati, sgomenti per tale comportamento che fu loro riferito da Tommaso di Marco Strozzi, dopo convulse consultazioni e dietro l’insistente minaccia della folla, si risolsero anch’essi a lasciare il palazzo aprendo così la strada all’instaurazione del governo dei ciompi.
Nell’aprile 1379 il M. prese parte a una congiura ordita insieme con Leonardo Strozzi, priore di S. Lorenzo, allo scopo di ristabilire il predominio della Parte guelfa: il piano era che i congiurati dovessero entrare armati, la mattina del venerdì santo al momento della predica, nelle principali chiese fiorentine per intimidire la folla dei fedeli e quindi tutta la città. L’immediata reazione dei ciompi fece fallire il piano: il M., insieme con i figli Bartolomeo e Matteo, fu condannato in contumacia come ribelle e i relativi beni incamerati dallo Stato. L’applicazione del decreto di confisca delle proprietà del M. a opera dei capitani di Parte guelfa avvenne il 3 febbr. 1381. Si trattava prevalentemente di beni che il M. possedeva nel contado fiorentino, tra i quali vi erano una casa con bosco situata nel «popolo» di S. Andrea, insieme con un podere con corte e diversi appezzamenti di terra lavorata; un altro terreno sempre nello stesso popolo, in località detta «il campo dell’ulivo»; un’altra porzione di terra nel luogo detto «alla strada» e ancora in un altro detto «alla valle»; vi erano poi un podere nel popolo di S. Marco Vecchio, in località detta S. Marco, e un altro podere nel popolo di S. Gervasio.
Con la ripresa del controllo politico da parte delle arti maggiori nel 1382, il M. riacquistò il proprio ruolo politico all’interno del nuovo schieramento oligarchico: partecipò infatti allo scrutinio per il priorato, tenuto nel gennaio-febbraio di quell’anno, e nell’aprile del 1391 vinse nuovamente la consultazione elettorale per gli uffici maggiori.
Il 30 giugno 1390 assunse la carica di podestà di Calenzano comprendente anche i popoli che facevano parte della lega di quella podesteria; nel 1394 divenne podestà di Certaldo e della relativa lega. Il M. fece testamento nel 1396 presso il notaio Tommaso di Francesco Masi (nel fondo Notarile antecosimiano, conservato presso l’Arch. di Stato di Firenze, manca tuttavia il relativo atto) e morì a Firenze nello stesso anno 1396.
Non è possibile accertare con sicurezza se il M. abbia contratto un primo matrimonio nel 1361 con Piera di Francesco di Cambio delle Panche, morta nel 1363; le fonti indicano pure una seconda unione con Fia di Nello Rinucci, anch’essa morta prematuramente nel 1366. Sicuramente il M. sposò una certa Margherita, dalla quale ebbe una figlia di nome Cella e un maschio chiamato Dingo: quest’ultimo intraprese la carriera politica partecipando fra l’altro agli squittini del 1391 e del 1411, si unì nel 1394 ad Andrea di Gherardo Buondelmonti e morì nel giugno del 1416 mentre era dei Dodici buonuomini lasciando erede dei propri beni il cugino Piero di Zanobi. Nel testamento del 5 ag. 1416, dove nomina la sorella Cella, dispone anche la costruzione di una cappella nella chiesa di S. Lorenzo dedicata a S. Margherita, in ricordo della madre. Il M. ebbe anche Giovanni, che nel 1380 fu bandito dalla città e dichiarato ribelle; Luigi e Daldo morti entrambi nel 1416; Bartolomeo e Matteo, condannati insieme con il padre alla confisca dei beni e a morte nel 1379, parteciparono in seguito allo squittinio del 1382: si sa che morirono prima del 1391. Nel testamento del M. è rammentato, infine, anche un figlio naturale, Michele, detto Girolamo. Del M. risulta anche un altro figlio, di nome Piero, sul quale non si hanno notizie.
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