GUERRA (XVIII, p. 53; App. I, p. 699; II, 1, p. 1100)
Diritto internazionale. - 1. I recenti progressi dell'organizzazione della comunità internazionale, da un lato, e, dall'altro, le nuove caratteristiche tecniche ed economiche, sociali ed umane che il fenomeno bellico è destinato ad assumere (l'indiscriminata inesorabilità della guerra totale, lo spaventoso costo di un conflitto combattuto con le nuovissime armi, e le apocalittiche possibilità distruttive della guerra atomica) non potevano non influire sulla disciplina giuridica internazionale della g. stessa. Tale influenza si è manifestata sia nell'evoluzione del concetto generale di liceità della guerra, sia nello sviluppo del diritto internazionale bellico, cioè delle norme regolatrici dell'esercizio della violenza bellica.
2. Secondo la più recente dottrina, il diritto internazionale generale, nella presente fase del suo sviluppo, considera il ricorso alla g., salvo determinate eccezioni, come un fatto illecito. La dottrina non è concorde, peraltro, nello stabilire tali eccezioni: secondo la corrente più restrittiva - che è quella divenuta prevalente - l'unica eccezione ammissibile sarebbe costituita dalla g. difensiva contro un'aggressione non provocata. Secondo un'altra corrente dottrinale - informata al cosiddetto realismo giuridico ed intesa a tener conto delle effettive forze politiche che sollecitano, e che sole possono limitare, l'azione degli stati - resterebbero internazionalmente lecite non pure le g. rivolte alla reintegrazione di un diritto soggettivo leso, ma le stesse g. dirette alla tutela degli interessi essenziali.
3. Nel diritto internazionale convenzionale, l'illiceità della guerra - che non sia determinata da ragioni di legittima difesa - e l'assoluto divieto, quindi, del ricorso alla g. stessa sono affermati in una serie di solenni atti internazionali.
Lo Statuto delle N.U. - con una norma giuridica la cui portata non si limita all'ordinamento speciale dell'Organizzazione (art. 2, par. 4) - stabilisce che tutti gli stati membri, nelle loro relazioni internazionali, dovranno astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi stato, e quindi anche di uno stato estraneo all'Organizzazione. L'art. 51 dello Statuto delle N.U. fa salvo, peraltro, il diritto per ogni stato membro all'autotutela contro un attacco armato, sino a quando il Consiglio di sicurezza non abbia prese le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Gli accordi plurilaterali, intesi ad attuare la sicurezza collettiva in determinati continenti o in certe regioni, ribadiscono il divieto del ricorso alla g., onde gli stati partecipi di detti accordi non potrebbero rompere in guerra contro uno stato qualsiasi, senza commettere un illecito internazionale rispetto agli altri stati firmatarî degli accordi medesimi. Sono da ricordarsi, in particolare:1) Il trattato interamericano di reciproca assistenza, sottoscritto in Rio de Janeiro il 2 settembre 1947, a conclusione della conferenza interamericana per il mantenimento della pace e della sicurezza continentale; 2) Il trattato del Nord Atlantico (Patto Atlantico), sottoscritto a Washington il 4 aprile 1949, tra nurnerosi stati europei, gli Stati Uniti ed il Canada; 3) Il trattato di sicurezza tra l'Australia, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti (ANZUS), firmato a San Francisco il 1° settembre 1951; 4) il trattato di difesa collettiva per l'Asia del Sud Est (SEATO), sottoscritto a Manila l'8 settembre 1954. A termini degli stessi atti internazionali, resta, peraltro, pienamente lecita la g. di autodifesa contro un'aggressione non provocata. Secondo altre clausole, corrisponde a un dovere internazionale l'azione armata intrapresa da uno stato per difendere uno stato alleato ingiustamente aggredito (art. 51 dello Statuto delle N.U., art. 5 del Patto Atlantico, e clausole corrispondenti degli analoghi accordi di sicurezza regionale). In base all'art. 44 e seguenti dello Statuto delle N.U., è obbligo di ogni stato membro di contribuire ad attuare le decisioni prese dal Consiglio di sicurezza per reagire all'aggressione e restaurare la pace.
4. Il riflesso di una tendenza evolutiva del diritto internazionale, nel senso di un divieto generale del ricorso alla g. che non sia di legittima difesa, può ritrovarsi nelle disposizioni che espressamente gli stati hanno inserito nelle loro costituzioni.
Esempio particolarmente espressivo è offerto dall'art. II della Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, a termine del quale l'Italia ripudia la g. come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Tale precetto non significa, ovviamente, che lo stato italiano assume costituzionalmente la posizione di potenza neutrale rispetto a qualsiasi conflitto internazionale: esso è diretto soltanto ad escludere che lo stesso stato italiano provochi una g., anche se la g. possa giustificarsi con la tutela di suoi diritti ed interessi offesi.
5. Gli accadimenti politico-militari del decennio 1949-59 - g. di Corea, g. di Indocina, azioni militari a Suez, g. di Algeria, mitragliamento di aeromobili di potenze occidentali, ecc. - hanno posto in particolare rilievo le differenze di natura giuridica che sussistono tra le varie qualificazioni che può assumere il fenomeno bellico: segnatamente, tra g. internazionale, g. civile, g. di esecuzione. E da osservare, in particolare, quanto segue:
La g. internazionale si manifesta all'esterno di uno stato, intercorre tra detto stato ed un altro stato, crea tra essi il rapporto di belligeranza, è retta in ogni manifestazione dal diritto internazionale bellico. La g. internazionale costituisce causa di estinzione dei trattati bilaterali conclusi in vista della persistenza di rapporti di pace (accordi commerciali, di navigazione, convenzioni consolari, ecc.); determina la sospensione, tra gli stati divenuti tra loro belligeranti, dei trattati collettivi; è il fatto estintivo delle rispettive missioni diplomatiche, considerate come organi istituzionali, e dei rapporti di missione relativi ai singoli agenti già preposti a dirigere o comporre le missioni stesse; adempie la condizione affinché incomincino ad avere concreta applicazione, tra gli stati, i trattamenti attinenti ai doveri della potenza belligerante; pone in essere, infine, il fatto giuridico dal quale derivano agli stati estranei al conflitto i doveri di potenze neutrali.
Dalla g. internazionale vera e propria si distinguono nettamente le misure di autotutela che assumono, bensì, la forma di azioni armate (bombardamento di aeromobili, forzato atterraggio di essi, arresto e detenzione degli equipaggi, cattura di navi, ecc.), ma che, per la loro portata rigorosamente circoscritta alla reintegrazione di un diritto subiettivo offeso, e per l'assenza di un animus bellandi, non tendono ad instaurare lo stato di g. tra la potenza che compie le azioni stesse, e quella verso la quale sono poste in essere.
Per contro, la g. civile scoppia nell'interno di uno stato determinato, è combattuta tra le forze insurrezionali da un lato, e quelle fedeli al governo legittimo dall'altro; non instaura il rapporto di belligeranza; pur essendo anch'essa sottoposta ad alcuni principî generali relativi alla cosiddetta "umanizzazione della guerra", non è retta dal diritto internazionale di g.; costituisce una situazione rispetto alla quale gli altri stati hanno un dovere di non interferenza; tende a suggerire, per altro, agli stati stessi comportamenti che lo stato, nel cui territorio la g. civile è scoppiata, può essere indotto a considerare come incompatibili con la persistenza di normali relazioni (tale sarebbe, tipicamente, il riconoscimento prematuro, compiuto da parte di uno stato estero, del governo insurrezionale).
La g. civile - assumendo proporzioni particolarmente vaste - può trasformarsi, ciò non pertanto, in guerra internazionale, se gli insorti ottengono il riconoscimento di legittimi belligeranti, ed il conseguente effetto dell'applicazione, nei loro confronti, delle norme del diritto internazionale bellico. Tale riconoscimento potrebbe derivare, oltre che da terzi stati, dallo stesso governo contro il quale il moto insurrezionale si svolge, e ciò al duplice scopo di assicurare alle forze armate governative i trattamenti stabiliti dal diritto internazionale, e di scindere la responsabilità verso i terzi stati, in ordine agli illeciti eventualmente compiuti dagli insorti contro individui e beni degli stati stessi. E da rilevarsi, inoltre, che il prolungarsi e l'esasperarsi di una g. civile potrebbero determinare una situazione suscettiva di essere configurata, agli effetti dell'art. 39 dello Statuto delle N.U., come una "minaccia alla pace", e giustificare, quindi, un'azione delle Nazioni Unite. È ovvio che siffatta configurazione del conflitto e tale intervento saranno specialmente raccomandati dagli stati membri dell'organizzazione che vi abbiano un interesse politico, laddove la tesi secondo la quale il conflitto stesso riveste carattere puramente interno se come tale esula dalla competenza dell'Organizzazione (art. 2, par. 7 dello Statuto), sarà sostenuta, oltre che dallo stato nel cui ambito territoriale la guerra si svolge, dagli altri stati membri non favorevoli ad estranee interferenze nelle questioni interne.
La g. di esecuzione è intervento militare collettivo disposto dal Consiglio di sicurezza. Una decisione in tal senso del Consiglio si fonda sull'impegno, assunto dagli stati membri, con l'art. 43 dello Statuto, di porre a disposizione del Consiglio stesso, a sua richiesta ed in conformità ad un accordo o ad accordi speciali, le forze armate, l'assistenza, le facilitazioni, compreso il diritto di passaggio, necessarie per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Il modo di essere dei rapporti che s'instaurano, tra gli stati, i cui contingenti militari contribuiscono ad attuare le decisioni del Consiglio di sicurezza, da un lato, e lo stato contro il quale dette misure sono prese, dall'altro, è stato diversamente configurato dalla dottrina. Secondo alcuni, si tratterebbe di un'operazione di polizia internazionale, assimilabile ad un'azione di esecuzione federale, condotta senza animus bellandi, e non suscettiva, quindi, di instaurare un rapporto di belligeranza; conseguentemente, gli effetti che la g. normalmente produce sui rapporti giuridici tra gli stati divenuti belligeranti (segnatamente, quelli sopra accennati sui trattati e sull'esistenza delle missioni diplomatiche) non verrebbero a verificarsi. Secondo altri, invece, la partecipazione degli stati membri alle operazioni belliche disposte dal Consiglio contro un altro stato determinerebbe, tra i primi ed il secondo, un vero e proprio stato di guerra, produttivo di tutti i conseguenti effetti giuridici internazionali.
Dall'accennato contributo ad una g. di esecuzione disposto dal Consiglio di sicurezza, si distingue nettamente la partecipazione degli stati membri a misure ordinate dal Consiglio stesso e compiute, sì, attraverso forze armate, ma non destinate allo svolgimento di azioni belliche contro un determinato soggetto. Siffatte misure possono tendere, invece, a garantire il regolare svolgimento delle operazioni di varia natura (plebisciti, evacuazione di forze belligeranti nemiche, ecc.), previste in trattati internazionali o disposte dal Consiglio stesso per il pacifico compimento di controversie internazionali (misure in tal senso furono decise dal Consiglio di sicurezza, nel novembre 1956, al momnento dell'azione franco-inglese sul canale di Suez e della ripresa offensiva di Israele verso l'Egitto, con la creazione e l'invio sul posto di forze armate di emergenza delle Nazioni Unite-UNEF). È ovvio che, in casi di tale natura, un problema giuridico, in ordine agli effetti sui rapporti internazionali bilaterali della partecipazione degli stati membri all'esecuzione di dette misure, non si pone neppure.
6. Il più ampio e sicuro sviluppo compiuto, nell'ultimo decennio, dal diritto internazionale relativo alla g. riguarda la disciplina giuridica dell'esercizio della violenza bellica, e, segnatamente, i doveri internazionali delle potenze belligeranti avuto riguardo a determinate categorie di individui, direttamente od indirettamente partecipi delle operazioni guerresche. Ciò è avvenuto, principalmente, mercé le quattro Convenzioni sulla protezione delle vittime della g., elaborate nella conferenza diplomatica di Ginevra (aprile-agosto 1949) e firmate il 12 agosto 1949: la I Convenzione concerne i feriti ed i malati della guerra terrestre; la II Convenzione attiene ai feriti, i malati ed i naufraghi della guerra marittima; la III Convenzione regola la condizione dei prigionieri di guerra (v., in particolare, prigionia Bellica, in questa App.); la IV Convenzione disciplina la protezione dei civili in tempo di guerra.
Le quattro Convenzioni di Ginevra rivestono per l'Italia un particolare interesse giuridico-politico: infatti, alcune disposizioni in esse inserite - segnatamente quella che statuisce, per qualsiasi circostanza (e, quindi, anche in sede di dettato di pace), la non rinunciabilità dei diritti derivanti dalle Convenzioni stesse, quale, ad esempio, il diritto dello stato di appartenenza dei prigionieri di g. ai trattamenti finanziarî dovuti ai prigionieri stessi; la disposizione sulla non esonerabilità della potenza occupante dalle conseguenze degli illeciti compiuti dalle sue forze armate, la norma che sanziona la non confiscabilità dei beni dei civili, oggetto delle temporanee misure restrittive relative ai beni dei sudditi nemici; le garanzie giurisdizionali alle quali la pretesa consegna dei criminali di guerra deve essere subordinata, ecc. - statuiscono esattamente il contrario di quanto fu imposto all'Italia nel Trattato di pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. Di dette clausole, pertanto, le menzionate disposizioni delle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 costituiscono - sul piano storico-giuridico - una revisione e una condanna.
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