guerra
La parola, assente nella Vita Nuova, tocca la sfera dei riferimenti amorosi solo due volte: ne la mia guerra / la sua venuta mi sarebbe danno (Rime L 62); io de la mia guerra / non son però tornato un passo a retro (C 62), dove g. è il " travaglio amoroso " sostenuto dal poeta. Degli altri esempi delle Rime, quello di CXVI 81 non vi può far lo mio fattor più guerra, alludendo alla situazione di D. esule non più temibile per Firenze, si collega per coincidenza di rime, parole e pensieri a ciò che il poeta scriverà di sé in Pd XXV 4-6. L'espressione ‛ far g. ', che ricorre più volte nel senso di " combattere ", " assalire ", rammenta gli atti tentati dall'esule per ritornare in Firenze, atti di cui più tardi D. poté desiderare il perdono dai suoi avversari, avendo a sua volta perdonato la loro g. contro di lui: ché 'l perdonare è bel vincer di guerra (CIV 107). Nel senso di " lite ", " contesa ", in Rime XCI 101 Digli che 'l buon col buon non prende guerra.
Il termine assume il senso specifico di g. vera e propria nelle quattro occorrenze del Convivio (IV IV 3 e 4, V 19, XXVII 17). Nella Commedia, dove g. è parola di rima (16 volte su 18 occorrenze), questo significato ricorre con riferimento a g. storiche o mitiche: la g. di Tebe (If XX 34), dei Romagnoli (XXVII 28), di Bonifacio VIII e i Colonna (v. 86), di Roma e Cartagine (XXVIII 10), dei giganti contro Giove (XXXI 119: in questi due ultimi esempi g. sta per " battaglia ", rispettivamente di Canne e di Flegra), di Alessandria e Monferrato (Pg VII 135).
Tra le espressioni verbali la più frequente è ‛ far g. ', già vista nelle Rime, e ‛ dar g. ', col senso di " assalire ", " combattere ", e per estensione " recare danno ": fecero a le strade tanta guerra (If XII 138); lo bivero s'assetta a far sua guerra (XVII 22); Già si solea con le spade far guerra (Pd XVIII 127); Perché 'l turbar che... fanno / l'essalazion de l'acqua e de la terra / ... a l'uomo non facesse alcuna guerra (Pg XXVIII 100); io dormi'agnello, / nimico ai lupi che li danno guerra (Pd XXV 6).
La locuzione avverbiale ‛ sanza g. ' appare in If IX 106, dove l'espressione vale " senza alcun contrasto " e richiama la punga del v. 7 e il v. 33 u' non potemo intrare ornai sant'ira; in If XXVII 38 Romagna tua non è, e non fu mai, / sanza guerra ne' cuor de' suoi tiranni, e Pg VI 82 ora in te non stanno sanza guerra / li vivi tuoi, il senso per effetto della doppia negazione torna positivo, " in g. ", alludendosi nel primo caso alle g. tramate in segreto dai tiranni di Romagna e nel secondo alle " discordie civili " delle città d'Italia, anch'esse tutte piene di tiranni. Il termine vale anche " travaglio ", " tormento ": m'apparecchiava a sostener la guerra [" fatica ", Boccaccio; " molestia e fatica ", Buti] / sì del cammino e si de la pietate (If II 4); orando a l'alto Sire, in tanta guerra (Pg XV 112), " in così aspra persecuzione " (Lombardi; e Benvenuto: " istud bellum erat iniustum nimis, quia mille impii feriebant, et solus iustus sustinebat "); Nulla ignoranza mai con tanta guerra / mi fé desideroso di sapere (XX 145): " dice guerra, perché la volontà quando desidera di certificarsi e non si può certificare dal suo intelletto, combatte con lui ", Buti. Esempio a sé fa il verso per tal donna, giovinetto, in guerra / del padre corse (Pd XI 58), in cui l'espressione ‛ correre in g. ' ricalca il tipo latino incurrere in iram e ne ripete il senso con probabile allusione ai castighi inflitti a s. Francesco dal padre secondo la tradizione biografica (per l'insistenza sui termini bellici nel canto XI e nel XII, cfr. U. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 334-335).
Gli esempi di g. nel Fiore ripresentano il significato generico già riscontrato di " contesa ": LXIX 2, CXXIII 13; Detto 301. In Fiore XCVIII 10 si parla della g. degli ecclesiastici corrotti contro la Chiesa, l'" assalto " di lupi rapaci in veste di pastori (cfr. Pd XXV 55); in CXII 5 Co' buon mastri divin ne feci guerra, si accenna a " contese di dispute " di dottori di teologia.
In Rime CXI 8 guerre de' vapori vale " contrasti " tra vapori umidi e vapori secchi, da cui, secondo la scienza meteorologica di D., hanno origine le perturbazioni atmosferiche: credendo far colà dove si tona / esser le guerre de' vapori sceme. Questo tratto richiama in modo più o meno diretto altri luoghi, e in particolare If XXIV 145-147 e Pg V 109 ss.