ISPANO-AMERICANA, GUERRA
. Fino dal 1895 Cuba era in rivolta contro il governo spagnolo; nell'ottobre 1897 gli Stati Uniti, che da tempo spiavano l'occasione propizia per impadronirsene, colsero il pretesto per intervenire e domandarono il richiamo del governatore spagnolo generale V. Weyler, accusandolo di eccessiva durezza verso gl'isolani.
L'isola di Cuba costituiva per gli Americani una preda militarmente importantissima, poiché li avrebbe in parte liberati dalla soggezione dell'Inghilterra che, occupando le Bahama e la Giamaica, dominava tutte le linee d'accesso dall'Atlantico alle coste centro-americane. (Per i rapporti ispano-americani a proposito di Cuba prima della guerra, v. cuba, XII, pp. 65-66). Non meno importante per l'Unione americana era la conquista delle Filippine, che, opportunamente collegate con la metropoli dalle isole Hawaii (annesse il 6 giugno 1898) potevano costituire la base della penetrazione commerciale e politica americana nell'Estremo Oriente.
La Spagna, per evitare l'intervento degli Stati Uniti, concesse delle riforme a favore dei Cubani, ma questi, sapendo d'essere appoggiati dalle simpatie interessate dell'America, chiesero senz'altro una completa indipendenza. Il 15 febbraio 1898 la nave da guerra Maine degli Stati Uniti saltava in aria nel porto dell'Avana. Il 21 aprile fu inviato alla Spagna un ultimatum che le imponeva il ritiro da Cuba e il 22 era dichiarato il blocco delle coste dell'isola; il 23 la Spagna dichiarava la guerra, che veniva iniziata ufficialmente il 25 benché già esistesse di fatto sino dal 21.
Teatro delle operazioni furono le Antille Spagnole e l'Arcipelago delle Filippine; la repubblica americana era favorita dalla posizione geografica delle isole e dalla superiorità della sua flotta.
Un quadro comparativo delle flotte avversarie utilmente impiegabili nel conflitto ci dà infatti per gli Stati Uniti: 14 navi corazzate di varie classi e velocità, 12 monitori, 17 incrociatori protetti di varie classi e velocità, 9 incrociatori torpedinieri, 5 cannoniere, 7 torpediniere d'alto mare, 2 sottomarini; e per la Spagna: 8 navi corazzate di varie classi e velocità, 2 incrociatori protetti, 15 incrociatori improtetti, 11 incrociatori torpedinieri, 7 cannoniere, 21 torpediniere d'alto mare. In totale: 206.445 tonnellate per gli Stati Uniti e 115.020 tonnellate per la Spagna.
La Spagna invece era assai superiore all'America per le forze terrestri. A Cuba aveva allora, agli ordini del gen. Blanco, circa 90.000 uomini, più formazioni di isolani; a Porto Rico circa 5000 uomini, oltre alle forze locali, e alle Filippine circa 28.000 uomini, mentre le forze militari degli Stati Uniti erano costituite da un esercito permanente ridotto al minimo: 25 reggimenti di fanteria, 10 reggimenti di cavalleria, 7 reggimenti di artiglieria e unità del genio; in tutto circa 29.000 uomini aumentabili mediante la chiamata delle milizie volontarie e della guardia nazionale.
Nonostante la sua inferiorità quantitativa e qualitativa la flotta spagnola, in mani abili, avrebbe tuttavia potuto contrastare a lungo il dominio del mare all'avversario e consentire un più efficace impiego delle forze terrestri.
All'apertura delle ostilità la flotta spagnola era ripartita fra le Filippine, Cuba, le Canarie, Cadice, S. Vincenzo, molte navi essendo ancora in allestimento; la flotta americana si trovava dislocata in reparti più o meno considerevoli, a Hong-Kong, Key West, Hampton Road, Norfolk, Avana, la mobilitazione della flotta essendo quasi interamente ultimata.
Rotte le ostilità dagli Stati Uniti, la divisione americana dell'ammiraglio W.T. Sampson mosse dalla Florida il 22 aprile e stabilì il blocco intorno a Cuba; il 28 bombardò Matanzas e il Morro di Avana.
Intanto la flotta spagnola dell'ammiraglio P. Cervera, che il 29 aprile aveva lasciato Capo Verde, si andava avvicinando alle Antille, con l'ordine di recarsi a proteggere Porto Rico; il 12 maggio giunse alla Martinica, dove seppe di non poter contare sui rifornimenti di carbone che da Madrid erano stati promessi, che una potente forza navale americana si trovava dinnanzi a San Juan di Porto Rico e che la flotta spagnola delle Filippine era stata distrutta. Non pervenne al Cervera un telegramma mandatogli dalla Spagna, che lo autorizzava a rientrare in patria. Recatosi invano a Curaçao per carbonare, con i carbonili quasi vuoti il 15 maggio ripartì per Santiago di Cuba, dove riuscì ad entrare il 19, senza essere stato avvistato dagli Americani. Rifornitosi di carbone si apprestava a dirigersi sull'Avana, quando il 23 le squadre di Sampson e W. S. Schley si riunirono di fronte a Santiago e bloccarono la squadra spagnola; il 31, mentre Sampson con quattordici navi e varie torpediniere attaccava le fortificazioni di Santiago, Schley vigilava un'eventuale uscita di Cervera. Il 3 giugno il bombardamento fu ripetuto e un grande trasporto, il Merrimac, fu affondato dagli Americani per tentare di ostruire l'uscita del porto. Per tutto il mese di giugno, a varie riprese, Santiago fu bombardata e un importante sbarco di truppe americane, protetto dalla flotta, si verificò il 22 giugno presso Capo Berracos, 30 km. a E. di Santiago. Le truppe del corpo di sbarco (al comando del gen. W. R. Shafter) bloccarono la piazzaforte da terra. Il 1° luglio le posizioni spagnole che difendevano Santiago a El Caney e a San Juan furono attaccate e prese; ma un tentativo di Sampson di entrare nel porto fu respinto dagli Spagnoli; il 2 l'attacco fu ripreso per tutta la giornata, e nella notte dal 2 al 3 le navi spagnole dell'ammiraglio Cervera tentarono di forzare il blocco, ma non riuscirono a sboccare dal canale che alle nove di mattina, quando tutta la squadra americana era pronta a combatterle. La disfatta fu completa: le navi Vizcaya, Oquendo e María Teresa, incendiate, si gettarono alla costa; la Cristobal Colón prolungò la sua fuga ma fu costretta anch'essa ad incagliare, mentre i cacciatorpediniere Furor e Pluton furono affondati a cannonate. Il 4 luglio Sampson tentò di forzare l'entrata di Santiago, ma fu respinto dai forti: varie intimazioni di capitolazione non ebbero effetto, Il 12 il generalissimo americano N. A. Miles prese il comando di tutte le forze, e il 17 Santiago finalmente si arrese; alle truppe spagnole fu concesso l'onore delle armi.
Il 25 luglio un distaccamento di Americani, al comando del gen. Miles, sbarcò a Guanica (Porto Rico); ricevuti rinforzi si disponeva a muovere verso l'interno quando giunse notizia che erano state intavolate trattative di pace.
Frattanto gli Americani avevano mandato (27 aprile) contro le Filippine la divisione navale di stazione in Cina che, all'inizio delle ostilità, si trovava a Hong-Kong, al comando del commodoro G. Dewey (4 incrociatori corazzati e 2 cannoniere). Il commodoro giunse di fronte alla baia di Manilla il 20 aprile e decise di forzarne l'ingresso. Il 1° maggio ebbe luogo la battaglia navale di Cavite nel golfo di Manilla: Dewey riportò completa vittoria sulle navi spagnole dell'ammiraglio P. Montojo, che furono affondate o distrutte, e Cavite venne occupata dagli Americani. Il 12 maggio giunsero le prime truppe americane da sbarco (2500 uomini, che avevano partecipato alla presa dell'isola di Guam) e più tardi altri 3500. Intanto gl'insorti delle Filippine, al comando di E. Aguinaldo, invadevano la maggior parte dell'isola di Luzon, ad eccezione della città di Manilla; il 7 agosto veniva investita Manilla, che cadde dopo viva resistenza il 13 agosto, in seguito all'attacco combinato dell'esercito e della flotta americana.
Intanto nella Spagna, sotto la pressione della pubblica opinione, il governo aveva fatto qualche vano tentativo per mandare dei rinforzi a Cuba e per inviare una squadra a Manilla, ma in seguito rinunziò, perché si era saputo che una squadra americana, comandata dal commodoro J. C. Watson, stava per attraversare l'Atlantico.
Il 26 luglio l'ambasciatore francese a Washington aprì a nome della Spagna le trattative di pace; le gravi condizioni imposte dagli Stati Uniti non sembrarono accettabili e la resistenza continuò. Ma a Manilla gli Spagnoli del gen. B. Augustín erano ridotti agli estremi; a Porto Rico le forze del gen. M. Macías, costrette a chiudersi in San Juan, resistevano per salvare l'onore delle armi; a Cuba, infine, il gen. Blanco non disponeva ormai che di 35.000 uomini, insufficienti a difendere l'Avana. Intanto Don Carlos, che da Bruxelles si era recato a Lucerna, stava organizzando la guerra civile; sorgevano agitazioni interne; la nazione era spossata e il governo di P. M. Sagasta dovette cedere. Il 12 agosto furono firmati i preliminari per la pace, e questa fu conclusa a Parigi il 10 dicembre 1898. Per essa la Spagna rinunciò alla sua sovranità su Cuba, che fu proclamata indipendente. La Spagna cedette inoltre agli Stati Uniti le Filippine, Porto Rico e Guam (Isole Marianne) dietro un'indennità di 20.000.000 di dollari.
Se si può affermare che l'ammiraglio Cervera - per l'errore assai grave di essersi lasciato imbottigliare nella base di Santiago di Cuba dopo una traversata atlantica ben condotta - è responsabile della distruzione totale della propria flotta nel disperato tentativo di sortita; per contro gli altri tre episodî culminanti, così disastrosi per la Spagna, e cioè l'annientamento della squadra delle Filippine a Cavite, la rapida caduta della piazzaforte di Santiago di Cuba e la resa di Manilla, non sembrano doversi imputare né ai comandanti né alle truppe, ma ad inferiorità tecniche assolute, sia navali, sia terrestri, conseguenti a decennî d'imprevidenza e ai sistemi poco illuminati di governo delle colonie spagnole.
Bibl.: A. Feliciangeli, La guerra ispano-americana 1898, Roma 1898; Bonamico, Il conflitto ispano-americano, in Rivista marittima, 1898; H. C. Lodge, The War with Spain, Londra 1899; A. T. Mahan, Lezioni della guerra ispano-americana, La Spezia 1900; H. W. Wilson, The downfall of Spain, Londra 1900; S. Gómez Núñez, La guerra hispano-americana, Madrid 1899-1902, volumi 5; E. Bujac, La guerre hispano-américaine, Parigi 1908; F. E. Chadwich, The Spanish-American War, voll. 2, Londra 1911.