CORSA, Guerra di
Fino dai tempi più remoti. tra gli atti di guerra ebbe parte notevole la cattura delle navi mercantili del nemico, esercitata non soltanto dalle navi da guerra, ma da legni di privati armatori. Questa specie di guerra marittima che risponde al concetto di arrecare quanto maggiore danno sia possibile al nemico, colpendolo nelle sorgenti stesse della sua ricchezza, prese nel Medioevo il nome di guerra di corsa perché si trattava di correre in traccia e a caccia dei legni nemici.
Se dapprima la corsa si confonde con la pirateria, non tarda però a distinguersi da essa per parecchie caratteristiche, fra le quali principalissima il consenso del governo sotto la cui bandiera il corsaro agisce. Altra caratteristica dovrebbe essere che il corsaro agisca solo in tempo di guerra e contro il nemico dello Stato: ma così non è, perché attraverso ai documenti che risalgono ai secoli XII e XIII non tardiamo a scorgere un'altra specie di corsa, quella che si esercita, anche in tempo di pace, dai privati che hanno ottenuto dai rispettivi governi la licenza di correre contro navi di un determinato paese, dai cui cittadini hanno ricevuto un'offesa o un danno, senza aver potuto ottenere la richiesta soddisfazione. Questa corsa, detta di rappresaglia, è frequentissima in tutto il Mediterraneo dal sec. XII in poi, tanto che gli statuti e gli ordinamenti del mare stabiliscono che i corsari, i quali vogliono armare per vendicare offese private, debbano fare un deposito di garanzia e giurare di non offendere altri, all'infuori dei cittadini specificamente nominati.
Attraverso gli Annales Ianuenses conosciamo il nome dei più temuti corsari liguri; fra essi, ad es., Guglielmo Grasso, Alamanno da Costa, e il celeberrimo Enrico Pescatore, conte di Malta e ammiraglio di Federico II di Svevia, notissimo per aver osato, col consenso tacito di Genova, far guerra ai Veneziani, diventati condomini dell'Impero latino d'Oriente.
Il Diplomatarium Veneto-Levantinum, i Commemoriali della Repubblica di Venezia, i Documenti sulle relazioni di Genova con l'Impero bizantino, e moltissime altre fonti attestano le contese diplomatiche, le querele, le rappresaglie a cui diede luogo, specialmente nei mari di Levante, la guerra di corsa, finché durò la potenza marinara e coloniale delle città marittime italiane. Nido famoso di corsari fu in Liguria Portovenere. Le isole Cicladi, Scio, Famagosta, le colonie di Siria tengono un posto riotevole nella storia, anche per le imprese dei corsari colà annidati.
Dal sec. XIII in poi si comincia ad aver notizia certa di corsari anche fuori del Mediterraneo. Le continue guerre tra Francia e Inghilterra diedero origine a una quasi ininterrotta lotta di corsari. Il primo di cui si abbia certa notizia fu un Eustachio, soprannominato il Monaco, prima al servizio del re inglese Giovanni Senza Terra, poi di Filippo Augusto di Francia. E, fino a un certo limite, può anche dirsi corsaro il genovese Benedetto Zaccaria, poi ammiraglio del re di Francia. Grande eco in tutta l'Europa marinara ebbe la battaglia di Arnemuiden (ingl. Arnemouth) fra corsari francesi e inglesi (1338), anche perché per la prima volta, a quanto si sa, si usarono dall'una e forse anche dall'altra parte cannoni interamente metallici. Non infrequente il caso che alla guerra guerreggiata seguisse la guerra di corsa: si sa, ad es., che in parecchi atti di pacificazione tra stati belligeranti si stabilì pace in terra, ma libertà ai corsari di continuare la lotta sul mare. In Francia nel sec. XIV il conestabile du Guesclin (1373), non soddisfatto della pace stipulata dal suo re con gl'Inglesi, spiegò sul mare la sua bandiera con l'aquila dalla cresta sanguigna e arrecò al nemico immensi danni.
È incerta l'epoca in cui apparvero le prime lettere di marca, cioè i primi permessi dei sovrani, autorizzanti i gentiluomini e anche i borghesi ad armare in corsa; quelle che a noi sono giunte sono della fine del sec. XIV. Nel sec. XV corsari famosissimi furono i Coulomp, o Coulon, uno dei quali fu spesso confuso col nostro Colombo, che anche egli però, secondo appare da un passo dell'Historie di suo figlio Fernando, avrebbe esercitato la corsa per conto del re Renato d'Angiò. Non meno attivi corsari furono gl'Inglesi dei Cinque Porti, i quali, forniti di licenza retinendi et sibi appropriandi naves et bona, col nome di adventurers, e più frequentemente di privateers, dai tempi di Enrico V in poi resero la pariglia ai Francesi.
Ma i tempi d'oro della corsa per gl'Inglesi furono quelli di Elisabetta, che sembra fosse partecipe così dei rischi finanziarî come dei lautissimi guadagni di alcuni corsari celeberrimi, quali Giovanni Hawkins, Francesco Drake, Gualtiero Raleigh, l'amico intimo della regina, che come armatore di legni da corsa iniziò la sua fortuna.
Sotto un certo aspetto corsari, e non pirati, quantunque sforniti di lettere di marca, possono considerarsi alcuni dei bucanieri (v.).
La guerra di corsa fu meglio disciplinata e divenne normale strumento di lotta tra Francesi e Inglesi durante il regno di Luigi XIV. Una grande celebrità acquistò Jean Bart nelle guerre di devoluzione e d'Olanda.
Nido preferito dei corsari francesi fu Saint-Malo, e nelle famiglie dei Maluini la corsa fu considerata titolo d'onore. Celeberrimo fra tutti Renato Duguay-Trouin, che ancor diciassettenne si segnalò per audacissime imprese ed espugnò poi Rio de Janeiro (1711); e accanto a lui, ma più anziano, il nobile cavaliere di Forbin, che doveva, durante la guerra di successione di Spagna, far parlare di sé anche nell'Adriatico.
Nella pace di Utrecht venne posto il divieto alla concessione di lettere di marca, salvo il caso di denegata giustizia; ma nelle guerre di successione posteriori e più ancora durante la Guerra dei Sette anni, si ebbe un risorgere della guerra di corsa, in cui si segnalarono il Moret di Saint-Malo e Giorgio Roux di Marsiglia. Essa riprese con maggior vigore durante la guerra d'America, nella quale, coadiuvando corsari americani, da Dunkerque, da Saint-Malo, da altri porti della Francia un nugolo di corsari francesi si gettò sulle navi dell'Inghilterra. Questo periodo è caratterizzato da una maggior mitezza nel trattamento degli equipaggi catturati. È questa l'influenza delle nuove dottrine, di cui troviamo l'eco nel Contratto sociale del Rousseau, che i beni dei privati cittadini debbono essere risparmiati, poiché essi non sono da considerarsi in senso stretto nemici. Ma se nel 1792 l'assemblea legislativa francese proponeva l'abolizione della corsa, poco dopo la Convenzione autorizzava il governo a rilasciare lettere di marca contro gl'Inglesi con tangibili risultati (2000 e più catture in meno di tre anni). E il nome di Roberto Surcouf, soprattutto nell'Oceano Indiano, suonò terribile minaccia agli Inglesi della Compagnia delle Indie, che misero a prezzo la sua testa. Anche durante il Consolato e l'Impero la guerra di corsa fu esercitata dai Francesi con grande attività, provocando contrasti con gli Stati Uniti.
Durante la guerra anglo-americana del 1812-14, i corsari americani recarono gravi danni al commercio inglese, e lotte di corsari vi furono anche nelle guerre per l'indipendenza sud-americana, nelle quali si rivelò l'epico ardire di Garibaldi.
Anche in Italia non mancarono in questo tempo corsari, tra i quali il ligure Giuseppe Bavastro, resosi prezioso al Massena durante l'assedio di Genova del 1800 col suo Intrépide, e morto poi ad Algeri, come comandante francese di quel porto; Giacomo Carli, comandante del Sans Peur, l'anconitano Passano, il napoletano capitan Peppe.
Ma si avvicinava il tempo in cui la guerra di corsa doveva essere abolita. Già nel 1824 il Monroe, presidente degli Stati Uniti, iniziava trattative coi principali governi d'Europa per l'abolizione della corsa; ma la proposta trovò in Inghilterra un'opposizione sistematica.
Spettava al congresso di Parigi del 1856 il merito di abolire la guerra di corsa con la celebre dichiarazione dell'aprile, firmata dai rappresentanti della Francia, dell'Inghilterra, della Prussia, della Russia, dell'Austria, del Piemonte e della Turchia. "La course est et demeure abolie" fu il primo dei quattro articoli della dichiarazione riguardanti il grande principio della libertà dei mari; ma esso fu accolto in Inghilterra con non dubbî segni di disgusto. Tuttavia fu ratificato il trattato, e venne accettato anche da altri stati, quali il regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio, l'Olanda, il Belgio, la Svezia, la Danimarca, la Grecia e alcuni pochi stati dell'America. Non aderirono gli Stati Uniti, la Spagna, il Messico, per ragioni varie. E nella Guerra di secessione negli Stati Uniti il congresso diede al presidente licenza di far armare legni da corsa, ma a certe determinate condizioni che non si verificarono.
Durante la recente guerra mondiale, la Germania sotto un certo aspetto può dirsi aver ancora armato in corsa: infatti una nave a vela esercitò la corsa (l'Aquila del mare); ma essa era solo apparentemente equipaggiata da borghesi; in realtà comandante, ufficiali e marinai appartenevano alla marina da guerra.
Bibl.: C. Randaccio, Storia delle marine militari italiane dal 1750 al 1860, Roma 1886; Francis R. Stark, The abolition of privateering, Columbia University 1897; C.B. De La Roncière, Histoire de la marine française, I-V, passim, Parigi 1899-1920; C. Manfroni, Storia della marina italiana, Roma 1897, Livorno 1899-1902; F. De Luckner, Le dernier corsaire, trad. di L. Berthain, Parigi 1927; Clowes ed altri, History of the Royal Navy, Londra 1897-1903; Mahan, The influence of sea power upon the history, Londra 1890; id., The influence of sea power upon the French Revolution and Empire, Londra 1893.