guercio
L'aggettivo, accompagnato da un complemento di relazione, ricorre due volte. G. è propriamente colui che ha gli occhi storti, onde guerci de la mente sono detti gli avari e i prodighi perché usarono denaro e i beni terreni con intelletto distorto, senza discernimento di misura: Tutti quanti fuor guerci / sì de la mente in la vita primaia, / che con misura nullo spendio ferci (If VII 40).
Per il secondo esempio (una femmina balba, / ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, Pg XIX 8), non è facile stabilire quale intenzione simbolica possa esserci nella particolare figurazione. Ciò dipende dall'interpretazione di questa allegoria, che può rappresentare insieme i peccati d'incontinenza delle ultime tre cornici del Purgatorio, o la sola avarizia, intesa in senso specifico o come cupidigia dei beni e dei piaceri terreni. Pietro commentava: " in obliquitate oculorum [denotat affectionem] luxuriae ". in altri commentatori antichi e moderni (Casini-Barbi, Chimenz) l'esegesi simbolistica si moltiplica per ciascuno dei peccati rappresentati. Tra le corrispondenze non può sfuggire quella indicata dal Pietrobono, cioè il ricorrere di una stessa parola e di una stessa immagine, gli occhi g., in rapporto all'avarizia nei due passi di cui si parla. Tra queste corrispondenze, per analogia di immagini e di concetti, converrà aggiungere anche le seguenti: li diritti occhi torse allora in biechi (If VI 91); de la vista de la mente infermi (Pg X 122).