Taviani, Guelfo
Di antica e nobile famiglia pistoiese, fu figlio del giudice Collo di Taviano, e anch'egli esercitò la professione di giudice.
Sua madre doveva essere già morta quando, nel luglio del 1300, Collo sposò in seconde nozze Portuccia di Lando di Ventura. Probabilmente Guelfo fu a Bologna per studiarvi diritto; ma nel 1307 egli era a Siena, eletto all'ufficio della direzione delle gabelle. Il padre risulta ancor vivo in un documento del 1316, nel quale egli esprime il proprio parere intorno a una lite civile; ma in altro atto notarile del 6 giugno 1317 Portuccia è nominata come già vedova. Del figlio invece mancano notizie fino al 1334, anno in cui egli vive a Pistoia con l'incarico d'insegnare istituzioni; e a Pistoia egli dovette trascorrere gli anni successivi, alternando la professione di docente con quella di giudice, come testimoniano due suoi consulti legali del 1342, che ci sono pervenuti. Nel 1346 egli è " maior sindicus et iudex " nel comune di Castello (forse Castello in Val di Bisenzio); ma l'anno dopo è ancora in Pistoia, membro del consiglio del popolo. Non sappiamo quando sposò Perina di Riccardo Ventura, avendone poi tre figli, Ermanno, Lottieri e ancora Collo, che già nel 1332 esercitava anch'egli la professione di giudice. Dopo il 1347 non si hanno più notizie di lui.
Pistoiese, è verosimile che il T. avesse non solo conosciuto il suo grande concittadino Cino, ma gli fosse stato amico; anzi non è illogico pensare che i due si ritrovassero insieme anche a Bologna per ragioni di studio. Certo è che due dei tre sonetti rimastici di Guelfo sono indirizzati proprio a Cino, al quale tra serio e faceto l'autore si rivolge per rimproverarlo di aver abbandonato nelle sue rime il tema dell'amore per Selvaggia e di aver rivolto il proprio interessamento a madonna Teccia; col che probabilmente il T. intendeva esprimere fastidiosa delusione per la pur lieve deviazione ciniana da una precisa tematica e da un altrettanto preciso atteggiamento psico-stilistico.
L'altro sonetto invece s'inserisce autonomamente e per impulso personale di Guelfo nell'ultima polemica fra D. e Cecco Angiolieri, della quale unica ma vibrante testimonianza resta il sonetto angiolieresco Dante Alighier, s'i' so' bon begolardo. Il T. spontaneamente si schiera a favore di D., rinfacciando a Cecco la sua incontrollata impulsività e la sua stolta presunzione, e concludendo le quartine con un violento apprezzamento individuale (" Tu mi pari più matto che gagliardo ") e le terzine con una ben adatta sentenza di carattere generale (" Chi follemente salta, tosto rue "). Considerato che lo scambio fra D. e Cecco avvenne intorno al 1303, il sonetto del T. costituisce forse la più antica ‛ difesa di Dante '.
Bibl. - I testi di G.T. e le notizie biografiche in G. Zaccagnini, I rimatori pistoiesi dei secoli XIII e XIV, Pistoia 1907, rispettivamente 101-108 e LXXV-LXXXIV.