CIVININI, Guelfo
Nacque a Livorno il 1º ag. 1873 da Francesco e da Quintilia Lazzerini. Il padre, di origine pistoiese, esercitava una modesta attività commerciale che, poco dopo la nascita del C., trasferiva a Grosseto, dove morì tre anni più tardi lasciando la famiglia in precarie condizioni economiche.
Dei sei figli erano sopravvissuti solo il C. e Ricciotto, che darà anch'egli prova di vocazione letteraria, scrivendo fra l'altro un romanzo, Gente di palude (Milano 1912), ambientato nella campagna romana più povera e infestata dalla malaria. Anche il territorio di Grosseto era zona malarica, e la città si trovava nel cuore di una natura in gran parte ancora selvaggia, dove erano numerosi bufali e cinghiali e cavalcavano i butteri. Questo ambiente ebbe un forte potere suggestivo sul piccolo C., segnandone il temperamento avventuroso e la sensibilità incline alla malinconia.
Nel 1883 la madre, passata nel frattempo a seconde nozze, andava ad abitare a Roma portando con sé i due figli. Il C., proseguiti gli studi liceali ad Arezzo, dove ebbe per preside G. Chiarini, li concluse a Roma con la licenza. Presto trovò un impiego, che tenne però per breve tempo giacché era riuscito a inserirsi nell'ambiente giornalistico e letterario. Una sua novella, intitolata Gattacieca, ebbe un premio da una giuria in cui erano L. Capuana, F. De Roberto e G. Verga. Poco più che ventenne prese a collaborare a La Riforma, e successivamente a La Patria, al Travaso delle idee (allora quotidiano), al Giornale d'Italia, alla Tribuna, a L'Avanti della Domenica, spesso firmando con pseudonimi come "Accard", "Baccio Cellini" (che diventò "Baccellino" sul Travaso), "Muscadin", "Pilusky". Più tardi dirigerà per un certo periodo la rivista Vita italiana. Intanto si era sposato e gli era nata una figlia, che morì suicida a Roma nel 1929.
A ventotto anni pubblicò la sua prima raccolta di versi, L'urna (Roma 1901), che lo collocava nell'area crepuscolare, per quanto in una posizione piuttosto appartata, lontana dagli esempi maggiori, pure con una produzione sensibile, di accenti delicati, dove è possibile rintracciare echi di poeti coevi, per esempio del Pascoli, come pure di D. Gnoli e A. De Bosis, mediatore quest'ultimo di un certo annunzianesimo. Di alcuni anni dopo sono le sue prime commedie: La casa riconsacrata (1904), Il signor Dabbene (1906), seguite poi da Notturno (1907), Bamboletta (1908), La regina (1910; ed. a Roma nello stesso anno), Suor Speranza (1911), Ius primae noctis (1912), Il sangue (1922; ed. in Comoedia, n. 11 del 1922), ripresa con il nuovo titolo Rancore (Milano 1948), Moscaio (1926), Rottami (1926; ed. a Milano 1929, che raccoglie i tre atti unici già citati Notturno,Moscaio e Suor Speranza), produzione che denota un notevole interesse per il teatro contemporaneo di cui e evidente anche la buona conoscenza della realizzazione scenica, in particolare dell'allora in voga "théâtre libre" di A. Antoine, commedie appartenenti al filone del naturalismo antiborghese. Il tradizionale elemento drammatico, legato ad una determinata problematica sociale, è nel C. temperato da un'ironia di più fine qualità. Si nota insomma, in qualche caso, un certo distacco anche dalla tematica convenzionale, come per es. in Notturno, che offre un quadro tipico della malavita romana, L'accoglienza del pubblico fu comunque discontinua e a distanza di tempo tali commedie conservano più che altro un vero valore documentario, di testimonianza storica. Maggior fortuna ebbe invece il libretto, scritto in collaborazione con C. Zangarini, per l'opera lirica La Fanciulla del West di G. Puccini (1910). È del periodo preparatorio del libretto la visita, nel 1908, in compagnia del musicista lucchese, al Pascoli, a Castelvecchio di Barga, ricordata nell'articolo La casa di G. Pascoli (in Corriere della sera, 24 sett. 1908; poi raccolto in Giorni del mondo di prima, Milano 1926, una serie di servizi giornalistici, parte dei quali relativi a vicende di guerra). Sempre nel settore teatrale il C. fu anche autore di una traduzione del Mariage de Figaro di Beaumarchais (Roma 1941). Per il Corriere della sera, dal quale era stato assunto nel 1907 come redattore e inviato speciale, aveva fatto, nel 1908, il resoconto della prima rappresentazione de La Nave di D'Annunzio.
Alla poesia il C. continuò a dare sparsi contributi che furono poi raccolti nel volume Isentieri e le nuvole (Milano 1911). Scrisse anche versi destinati ai bambini: Cantilene (Roma 1920; 2 ed. accresciuta, Torino 1954), nonché prose narrative: Scricciolo & C. (Firenze 1937) e Alì,moretto d'occasione (ibid. 1942).
L'attività giornalistica, in accordo col suo temperamento di viaggiatore avventuroso e sognatore di paesi esotici, registra una vasta produzione di reportages, di impressioni che si traducono spesso in una prosa esemplare anche per l'eleganza e armonia dello stile. Ma è nelle prose di memoria e, al limite, nel racconto breve che è il migliore C., dal gusto esercitato, capace di fissare con felicità e freschezza paesi e persone entro l'alone malinconico del ricordo. A partire soprattutto dal 1920, quando lasciò il Corriere della sera, il C. dette maggior corso alla vocazione letteraria, ritornando al quotidiano milanese dal 1930 al 1942 soltanto in qualità di collaboratore. Entro questo spazio di tempo si colloca infatti la sua miglior produzione (in precedenza, aveva pubblicato il suo primo libro di novelle, La stella confidente, Milano 1918). Si annoverano, fra questi libri di ricordi: Odor d'erbe buone (Milano 1931), Pantaloni lunghi (ibid. 1933), e Trattoria di paese (ibid. 1937), al, quale fu assegnato quell'anno il premio Viareggio. In Gesummorto (Milano 1938) è una maggiore ambizione narrativa, un tentativo di più solida costruzione. Seguono altri libri di racconti e novelle, di ricordi e fantasie: Poici si ferma (Milano 1934), Tropico e dintorni (Lanciano s.d., ma 1935), Vecchie storie d'oltremare (Milano 1940), Libro dei sogni (ibid. 1949), Racconti di ieri (ibid. 1951), Lungo la mia strada (ibid. 1953) che è il suo ultimo libro.
Le pagine di maggior interesse sono quelle che rievocano la fanciullezza e la giovinezza, in particolare quelle che hanno per sfondo la Maremma toscana, venate spesso di misurato umorismo e pertanto distaccate, per una più profonda analisi dei sentimenti, da quelle proprie del "bozzettismo" che trovò nella Maremma soggetto e ambiente più consentaneo e finì per farne un colorito cliché. Quello del C. non è un narrare di lungo respiro, ma limitato alla dimensione del racconto, che è del resto carattere precipuo della letteratura italiana del tempo, esercitatasi nel giornalismo della terza pagina, cui ha affidato alcune prove non trascurabili, anche se di preferenza frutto di quella ricerca stilistica che significò pure ritorno ad un ordine estetico secondo i canoni della rivista La Ronda. Nel caso del C. il richiamo alla tematica della produzione poetica e la consonanza con i postulati della prosa d'arte non impediscono l'affermarsi della naturale esigenza di una realtà umana filtrata attraverso una lucida e sensibile memoria.
Un aspetto importante della personalità del C. è quello del giornalista-combattente, che visse attraverso schemi nazionalistici il proprio profondo amore per il suo paese, sicché conseguentemente aderì al fascismo, non tanto cioè per lucido ragionamento politico quanto, illudendosi, come molti, che quel partito avrebbe assicurato all'Italia un avvenire di prestigio e di grandezza. In questa prospettiva va considerato il C. africanista, la sua sete di viaggio e di avventura in terre lontane. Partecipò alla guerra di Libia, alle guerre balcaniche, al primo conflitto mondiale, dove fu pure come corrispondente del Corriere della sera. Venne decorato cinque volte al valor militare: a Marsa Zuetina, ad Agedabia (su proposta del generale Cantore), sul Carso, per l'azione aerea su Cattaro (su proposta di D'Annunzio) e durante la guerra di Etiopia. Fu anche legionario fiumano, tenente osservatore nella squadriglia del Carnaro.
La sua attività di africanista non fu meno intensa: viaggiò a lungo in Libia e si fece promotore di due avventurosi viaggi in carovana: nel 1923 dall'Eritrea al lago Tana in missione giornalistica, e nel 1926 da Addis Abeba all'Uallega, alla ricerca della tomba dell'esploratore V. Bottego ucciso dai Galla nel 1897. Ritornò successivamente in Eritrea scendendo i corsi del Sobat e del Nilo Bianco fino a Khartum e infine passando per Kassala.
All'attività di giornalista-combattente si riferisce in particolare il libro Viaggio intornoalla guerra: dall'Egeo al Baltico (Milano 1919); alle due spedizioni carovaniere ci riportano i libri Sotto le piogge equatoriali (Roma 19301, Ricordi di carovana (Milano 1932) e Un viaggio attraverso l'Abissinia sulle orme di VittorioBottego (Roma s. d.); ed ancora ai ricordi d'Africa è dedicato il volume Quand'ero re (ibid. 1951). Durante la spedizione in Abissinia del 1923 il C. ebbe modo, fra l'altro, di girare un interessante documentario cinematografico: Aethiopia.
Nel 1933 ebbe il premio per la letteratura istituito dall'Accademia d'Italia, della quale divenne membro effettivo nel 1939. Lo stesso anno era nominato console generale a Calcutta. Al principio della seconda guerra mondiale il C., che era passato a seconde nozze, andò ad abitare a Firenze, dove ebbe un'altra figlia. Nel 1951e nel 1953 gli fu assegnato il premio Valdagno, rispettivamente per Racconti diieri e per Lungo la mia strada.
Colpito da paralisi nell'estate del 1953mentre si trovava a Viareggio il C. trascorse gli ultimi tempi a Roma, dove morì il 10 apr. 1954.
E. Montale nell'articolo commemorativo (Corriere della sera, 11 apr. 1954) ha osservato che il C. "richiama, come pochi, a quella unità di vita-arte che in tempi meno angosciosi dei nostri non era o non pareva eccezionale. Civinini passò dall'estetismo all'azione, dal crepuscolo alla vita avventurosa, dal successo al silenzio o al quasi silenzio degli ultimi anni con signorile disinvoltura, con un senso della misura e dello stile ch'era tutto suo".
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