GUCCIO di Mannaia
Non si conoscono né il luogo né la data di nascita di questo orafo, smaltista e incisore di sigilli, documentato a Siena dal 1291 al 1322.
La sua fama e la sua identità artistica sono legate alla firma posta sul calice donato dal primo papa francescano, Niccolò IV, alla basilica di S. Francesco ad Assisi, nel cui Tesoro tuttora si conserva. L'iscrizione "Guccius Manaie de Senis fecit", posta in grande evidenza alla base del fusto, immediatamente sotto a quella del committente "Niccholaus papa quartus", lo lega alle date del pontificato di questo (1288-92). L'iscrizione è eseguita a lettere risparmiate su fondo di smalto e assume un valore emblematico dell'innovazione apportata da G. nel campo dell'arte orafa, grazie all'uso degli smalti traslucidi.
La documentazione archivistica fin qui individuata ci dà notizie sui membri della sua famiglia e sulla consistenza patrimoniale dei beni di G., ma per quanto riguarda la sua identità professionale le informazioni si limitano esclusivamente ad attestazioni relative al lavoro di intagliatore di sigilli, se si eccettua la registrazione del suo nome nella corporazione degli orafi attivi a Siena, risalente peraltro solo al 1311 e quindi non indicativa di un effettivo inizio di attività.
Il più antico documento che lo menziona risale al gennaio 1291 ed è relativo alla realizzazione da parte sua del sigillo della Gabella generale di Siena; mentre nel marzo dello stesso anno risulta legato a un altro orafo, Sozo Montechi, insieme con il quale pagava l'affitto di un mulino. Nel luglio 1292 ricevette il compenso per un sigillo fatto per il camarlingo di Biccherna, per il quale ne eseguì altri nel 1318 e nel 1322; e nel settembre 1298 gli fu pagato il sigillo destinato al Consiglio dei nove.
Nel 1312 è registrato il pagamento di un prestito; e G. è citato come orafo della Lira in Vallepiatta. G. ebbe due fratelli, entrambi documentati nel 1311-12, Pino e Gheri, il primo dei quali anch'egli orafo; e risulta aver avuto tre figli: Montigiano Mannaia e Giacomo, tutti orafi (Cioni Liserani, 1979). Da un registro dell'Estimo datato al 1318 circa risulta di sua proprietà una consistente quantità di terre, molte delle quali coltivate a vigneto e dotate di case e capanne, possedute soprattutto in contrada Toiano, ma anche a Sovicille, Santa Margherita di Personato e Codiruota, tutte località nei pressi di Siena.
L'unica opera certa di G. resta il calice assisiate, oggetto incomparabile per complessità iconografica e innovazione tecnica, tipologica e formale, e dunque unicum nel panorama dell'arte orafa, che diede corso a un'infinita serie di derivazioni assumendo il ruolo di modello mantenuto di fatto per oltre due secoli. La sua eccezionalità è da connettere specificamente con il prestigio del committente e della destinazione, e più in generale con la nuova esigenza di pregnanza visiva del calice, come oggetto, durante il gesto liturgico della sua elevazione al momento della consacrazione, appena codificato nel Rationale divinorum officiorum di Guillaume Durand databile al 1286 circa. Il calice, in argento dorato, è decorato da ottanta placchette figurate a smalto, suddivise in dieci serie di otto, con i misteri della transustanziazione e della redenzione, e l'inserimento delle rappresentazioni dei ss. Francesco e Chiara e dello stesso papa donatore.
Se Toesca già parlava dell'"enigma dello stile di Guccio", in quanto autonomo precursore di forme che in pittura si sarebbero concretizzate solo quasi tre decenni più tardi con Simone Martini, proprio la tecnica dello smalto traslucido, che ha il suo incunabolo nel calice di Assisi, pone G. sulla stessa linea di ricerca formale sviluppata da Giotto e Pietro Cavallini: l'introduzione del chiaroscuro nelle stesure cromatiche, che nello smaltare comporta oltretutto un cambiamento sia di materiali sia di tecnica. Mentre lo smalto opaco utilizza come supporto il rame, quello traslucido necessita infatti di una lamina d'argento lavorata a bassorilievo, con una conseguente diversificazione degli spessori degli smalti e lo sfruttamento dell'argento come lumeggiatura nelle parti in cui il metallo maggiormente traspare al di sotto del pigmento vetrificato del colore. Il risultato è quindi un nuovo naturalismo nelle rappresentazioni, non più costrette alla stilizzazione da setti metallici, posti a separare e ancorare i diversi colori, e dalle campiture uniformi di questi ultimi.
Nella sua formazione di orafo non può essere mancato un rapporto con il più anziano Pace di Valentino, prestigioso maestro senese attivo tra l'altro per la corte pontificia; ma di non minore importanza devono essere state le esperienze figurative della cultura d'Oltralpe, come le miniature parigine di Maître Honoré (Cioni Liserani, 1979) o gli affreschi del Maestro Oltremontano nel transetto della chiesa superiore di Assisi e il retablo con Storie di Cristo nell'abbazia di Westminster a Londra (Bellosi, 1988), cui egli sembra avvicinarsi.
Tra le altre opere riferite a G., consolidata appare l'attribuzione di tre sigilli (Cioni Liserani, 1979): quelli dei cardinali Matteo d'Acquasparta (1291 circa: Roma, Archivio segreto Vaticano) e Teodorico da Orvieto (1299 circa: Parigi, Archives nationales) e quello della Società dei Raccomandati del Ss. Crocifisso, fondata a Siena nel 1295 e alla quale erano iscritti tra l'altro anche i suoi fratelli (Roma, Museo nazionale del Palazzo di Venezia). Perduto, invece, il sigillo ufficiale della città pagatogli nel 1298: un riflesso in scala monumentale se ne ha comunque nell'affresco con la Maestà di Simone Martini, dove è riprodotto all'interno del fregio che circonda la composizione (Lisini, 1905). Il riferimento a G. di una Crocifissione incisa su marmo conservata a Siena nella chiesa di S. Pellegrino alla Sapienza (Hueck, 1969 e 1982) si basa invece, oltre che su confronti formali, sull'analogia tecnica della lavorazione del marmo quasi come una lastra preparata per la stesura dello smalto.
Restano infine dubitative tutte le ipotesi sin qui avanzate, e in genere già rifiutate da interventi critici successivi, di associare alla sua bottega altre opere a smalto. Se, per esempio, è ovvio pensare a un inizio come autore di smalti su rame, la placchetta a champlevé raffigurante un santo vescovo in trono, conservata al Louvre e riferitagli da Leone De Castris (1984), è in uno stato di conservazione tale da non permettere una valutazione certa; a maestri affini sono invece da riconnettere opere come la croce conservata a Firenze nel Museo nazionale del Bargello (Collareta, 1990); la croce-reliquiario della cattedrale di Padova, sulla cui base è impresso il punzone della Curia papale di Avignone (Cioni, 1998); o la croce della chiesa di S. Michele Arcangelo a Colognora Valleriana, presso Lucca (Baracchini, 1993).
Numerosi sono peraltro gli esempi di opere che non si spiegano senza la lezione di G., come gli smalti a champlevé del pastorale di S. Galgano (Siena, Museo dell'Opera del duomo) o gli oggetti firmati da due orafi di generazione successiva, Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi, di cui G. è da considerare il maestro (P. Leone De Castris, Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi orafi e smaltisti a Siena…, in Prospettiva, 1980, n. 21, pp. 24-44).
Non è nota la data di morte di G., ma in un contratto del 1329 i suoi tre figli sono detti "olim Guccii Mannaie" (Cioni Liserani, 1979, p. 56 n. 1).
Fonti e Bibl.: A. Lisini, Notizie di orafi e di oggetti di oreficeria senesi, in Arte antica senese, in Bull. senese di storia patria, XII (1905), 2, pp. 651 s.; P. Toesca, Il Medioevo, Torino 1927, pp. 1156 s., n. 63; I. Hueck, Una crocifissione su marmo del primo Trecento e alcuni smalti senesi, in Antichità viva, VIII (1969), 1, pp. 22-34; E. Cioni Liserani, Alcune ipotesi per G. di M., in Prospettiva, 1979, n. 17, pp. 47-58; P.L. Leone De Castris, Smalti e oreficerie di G. di M. al Museo del Bargello, ibid., pp. 58-64; I. Hueck, L'oreficeria in Umbria dalla seconda metà del secolo XII alla fine del secolo XIII, in Francesco d'Assisi. Storia e arte (catal., Assisi), Milano 1982, p. 180; Id., Pace di Valentino und die Entwicklung des Kelches im Duecento, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXVI (1982), 3, p. 259; M. Collareta, in Calici italiani, Firenze 1983, pp. 3-6; P. Leone De Castris, Trasformazione e continuità nel passaggio dello smalto senese da champlevé a traslucido, in Atti della Prima Giornata di studio sugli smalti traslucidi italiani, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 3, XIV (1984), 2, pp. 533-556; L. Bellosi, La pecora di Giotto, Torino 1985, p. 182; Id., Il pittore oltremontano di Assisi, il gotico a Siena e la formazione di Simone Martini, in Simone Martini. Atti…, Siena 1985, Firenze 1988, pp. 39-47; M. Collareta, Lo smalto traslucido nel pensiero trecentesco sull'arte, in Atti della Seconda Giornata di studio sugli smalti traslucidi italiani, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 3, XVIII (1988), 2, p. 109; Id., in Oreficeria sacra italiana - Museo nazionale del Bargello, a cura di M. Collareta - A. Capitanio, Firenze 1990, pp. 6, 10-15; C. Baracchini, Riflessi pisani nello smalto traslucido senese, in Oreficeria sacra a Lucca dal XIII al XVI secolo, a cura di C. Baracchini, Firenze 1993, pp. 131-143; P. Leone De Castris, Smalti senesi di primo Trecento in Spagna, in Atti della Quarta Giornata di studio sugli smalti traslucidi italiani, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 3, XXIV (1994), 2-3, pp. 629-641; M. Di Berardo, in Enc. dell'arte medievale, VII, Roma 1995, pp. 146-150, s.v.G. di M. (con bibl.); G. Previtali, Scultura e smalto traslucido nell'oreficeria toscana del primo Trecento: una questione preliminare, in Prospettiva, 1995, n. 79, pp. 2-17; E. Cioni, G. di M. e l'esperienza del gotico transalpino, in Il gotico europeo in Italia, a cura di V. Pace, Milano 1994, pp. 311-323; Id., Scultura e smalto nell'oreficeria senese dei secoli XIII e XIV, Firenze 1998, pp. 1-154 e passim; A. Tomei, in The Treasury of St. Francis of Assisi (catal., New York), a cura di G. Morello - L.B. Kanter, Milano 1999, p. 20; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 185.