GUARNERI (non Guarnieri)
Celebri liutai, discendenti da nobile famiglia di Cremona. Quivi nacque verso il 1626 e morì nel 1698 Andrea. Allievo di Nicola Amati e forse anche di Antonio (non di Girolamo) lavorò dal 1650 al 1695, seguendo talvolta anche le orme dello Stradivari. La forma dei suoi strumenti è sempre bellissima e varia, come varia è la vernice, ora arancio pallido, ora più cupa. A partire dal 1670 diminuisce la convessità del piano a monico, gli esse cambiano aspetto e il riccio acquista maggiore originalità. La voce è squillante, specie nei rari violoncelli.
Pietro, primogenito di Andrea, nacque nel 1655 a Cremona, dove lavorò fino alla fine del secolo; poi si trasferì a Mantova, e vi morì dopo il 1728. I biografi che reputano Pietro morto a Venezia, lo confondono probabilmente con un nipote suo omonimo. Fu allievo del padre, ma non lo imitò. Il legno dei suoi strumenti, molto ben scelto, ha venatura larga nel piano armonico. Il modello, di grande formato, eccessivamente convesso, ha gli esse piuttosto rotondi, notevolmente distanti fra loro. Il riccio ha impronta personale, la filettatura è delicata. La vernice, talora giallo dorato, talaltra rosso pallido, è splendida, specie per l'insuperata trasparenza.
Giuseppe Giovan Battista, secondogenito di Andrea, nacque a Cremona nel 1664, e vi morì verso il 1739. Lavorò fra il 1695 e il 1730, producendo strumenti superiori per potenza di suono a quelli del padre. Imitando in parte lo Stradivari e il grande cugino Giuseppe Antonio quando questi assurse alle più alte vette, diede al contorno una curva elegante, che si richiude molto verso il mezzo. Gli esse sono a punta, alla maniera di Gasparo da Salò. La vernice, per l'abbondanza, risulta talvolta persino raggrumata.
Da altro ramo discende Giuseppe Antonio detto "del Gesù", perché nei cartellini poneva dopo il nome la sigla I H S. Suo nonno era zio di Andrea. Unico liutaio di questo ramo, visse sempre a Cremona, dove nacque nel 1687 (e non nel 1683). Lavorò fin dopo il 1742, e morì forse nel 1745. È da escludere che sia stato allievo dello Stradivari. La maschia impronta delle opere del G. è in contrasto con quella, più dolce, dello Stradivari; la linea, solida e originale, è meno scrupolosa in fatto di finezza; la tavola è spessa, il riccio è rozzamente robusto, e tutta la fattura rivela una continua ricerca di suono poderoso. Piuttosto esistono affinità col cugino Giuseppe Giovan Battista, del quale i fratelli Hill lo credono in un primo tempo allievo. Narra una leggenda, forse messa in giro dai Bergonzi, che Giuseppe Antonio sia stato condannato per omicidio, e che abbia costruito in prigione i violini cosiddetti "della serva", con pessimo legno, rozzi arnesi e cattiva vernice. Ma quasi certamente si attribuì a lui un delitto di un altro G., certo Gerolamo, morto in prigione nel 1715.
Assai rari sono i suoi violini: forse una cinquantina in tutto, ma alcuni di questi strumenti sono veri capolavori e possono rivaleggiare addirittura con gli Stradivari. Il Fétis, guidato dal Vuillaume, nota che dapprima Giuseppe Antonio, pure attraverso una grande varietà di modelli, non rivela nulla di originale, in quanto si mostra continuatore di Gasparo da Salò e del Maggini nel contorno, e alla maniera di Gasparo disegna a punta gli esse, talvolta paralleli alla venatura, altre volte obliqui, oppure d'una lunghezza esagerata. La filettatura è tracciata grossolanamente. Poi in un secondo tempo la personalità va affermandosi a poco a poco. Il legno, tagliato a cuneo, sceltissimo, è forse tratto da un unico pezzo di abete per la tavola, mentre l'acero del fondo e delle fasce varia in qualità e perciò in spessore, sempre proporzionato alla durezza. La forma, pure nella sua originalità, rivela finezza mirabile di fattura. La vernice di pasta fine, elastica, e di bella tinta giallo-ambra, brillantissima sul fondo; è ben distesa, con mano leggiera. Infine, verso il 1740, la concezione si fa più ardita, gli esse perdono la forma a punta, la filettatura diviene incavata, i bordi massicci, il riccio vigoroso. Di questo tipo è il violino che Paganini usò dal 1820, e che oggi è custodito nella sala rossa del palazzo municipale di Genova. Anche D. Alard, A. Bazzini, H. Vieuxtemps e E. Sauret furono fortunati possessori di esemplari dell'ultima maniera, e violini di G. del Gesù usarono Ch.-Ph. Lafont, L. Spohr, C. De Bériot, Ole Bull, H. Wieniawski, A. Wilhelmj e E. Ysaye.
Bibl.: F. Sacchi, La storpiatura del cognome Guarneri, in Provincia, Cremona, 9 Aprile 1892, e in Gazzetta musicale, Milano, 3 luglio 1892; H. A. A. Hill, Antonio Stradivari, His life and work, Londra 1902; Fr.-J. Fétis, Antoine Stradivari, Parigi 1856, p. 105 e segg.; P. de Piccolellis, Liutai antichi e moderni, Firenze 1885, pagina 45 segg., 147 segg.; G. Zampa, Violini antichi, Sassuolo 1909, p. 53 segg.; G. Hart, The Violin: Its famous makers and their imitators, Londra 1884; H. R. Haweis, Old violins, Londra; W. L. Fr. v. Lütgendorff, Die Geigenund Lautenmacher vom Mittelalter bis zur Gegenwart, Francoforte sul M. 1904, I, pagina 39 segg.; Ed. Heron-Allen, Nicolò Paganini and his G., in De fidiculis opuscula, IV, parte 2ª, Londra 1882; F. Herrmann, An Open Letter to Connoisseurs with respect to the only known J. G. (del Gesù) violoncello, Londra 1906; A. Pougin, Une famille de grands luthiers ital. Les G., in Le Ménestrel, Parigi 1908, nn. 26-27 II, 30-33 III, 34 IV, 35 III, 36 II, 38 III, 40 III, 42 II, 45 III, pubbl. pure in estr. nel 1909; H. Petherick, J. G., his work and his master, Londra 1906.