GRUAMONTE e ADEODATO
Fratelli scultori e, verosimilmente, architetti, attivi a Pistoia nella seconda metà del 12° secolo.La firma dei due artisti compare su un'iscrizione presente sull'architrave del portale centrale di facciata della chiesa di S. Andrea a Pistoia: "Fecit hoc op(us) Gruamons magist(er) bon(us) et Adeodat(us) frater eius". Una seconda iscrizione, sulla faccia inferiore dello stesso manufatto, stabilisce l'anno di esecuzione al 1166; tuttavia i suoi caratteri epigrafici non permettono di situarla avanti la fine del Cinquecento. Ciò nonostante, malgrado alcuni dubbi espressi dalla critica (Bacci, 1905; Frey, in Vasari, Le Vite, 1911), considerazioni di carattere stilistico consigliano di ritenere in ogni caso valida una datazione all'interno del settimo decennio del sec. 12°, come da tempo dimostrato (Biehl, 1926; Salmi, 1926; 1928).L'architrave offre la raffigurazione del Viaggio dei Magi, di Erode che ordina la strage e dell'Adorazione del Bambino da parte dei tre re. Le prime due scene sembrano sinteticamente riassunte entro un'unica rappresentazione: l'unità narrativa fra le tre figure avanzanti a cavallo e il re in trono è realizzata grazie all'introduzione di un personaggio in atto di genuflessione davanti a Erode, mentre il re più vicino, ancora a cavallo, alza il braccio in atto di saluto, più che a indicare la cometa, non presente. Nell'Adorazione del Bambino con offerta dei doni da parte dei Magi in corteo assiste, un poco discosto oltre il trono della divina maestà, s. Giuseppe anziano con lunga barba a punta e con bastone, rivolto angolarmente verso l'osservatore, sebbene ancora presente all'avvenimento. L'architrave è inquadrato da una cornice a spugnosi motivi vegetali che costituiscono un tralcio fogliato. Le figure si stagliano su un fondale a fioroni che tappezza l'intera scena; il rilievo dei personaggi, sebbene in sé notevole, risulta alterato nella sua percezione dalla presenza di questa sorta di quinta arabescata a rilievo quasi piatto, che riesce a impedire di avvertire uno stabile piano di fondo. Ne consegue un pittoricistico effetto di chiaroscuro - con dense aree d'ombra a sottolineare, studiatamente, le parti in movimento, i cavalli in corsa come le mani dei donatori - che guida all'individuazione dei punti salienti della narrazione rendendo più viva e scenicamente efficace la rappresentazione. D'altro canto, l'assenza di un succedersi netto di piani rende instabile, oltre che irreale, la spazialità, quand'anche questa impressione non venga magnificata dal disegno ondeggiante dei panneggi che fasciano pesantemente fino ai piedi i personaggi. Malgrado le figure siano piantate sulla cornice inferiore con lunghi piedi lisci come basi di figurine di un presepe, la scena raggiunge una generale inverosimiglianza che la apparenta a una visione di sogno o a una favola. I visi fissi e lunghi, a mascherone, e la cura maniacale e l'invasività della decorazione contribuiscono a donare un risvolto poetico e infantile a questa significativa opera, che troppo spesso la critica ha bollato come rozza (Salmi, 1928), ma che pure, da un punto di vista strettamente qualitativo, non si può ascrivere tra le massime realizzazioni della scultura romanica toscana.Il linguaggio dei due artisti, le cui mani in quest'opera non sono distinguibili - anche se è ipotizzabile che il minore si occupasse delle parti non figurate -, assume per evidente contatto immediato numerose delle caratteristiche stilistiche e formali della cultura di Guglielmo (v.), l'autore del pergamo del duomo di Pisa realizzato intorno al 1160, poi donato alla cattedrale di Cagliari. Di Guglielmo si ritrovano a Pistoia i panneggi a fitte bande parallele, ricavati dai sarcofagi tardoantichi studiati a Pisa, le teste talvolta allungate e quel gusto di riempimento che ha condotto a inserire motivi floreali - unendo ricordi classici a temi tratti da tessuti - per creare i tipici fondali tappezzati che tanto avrebbero influenzato la scultura di quei decenni. G. e Adeodato trascendono Guglielmo nella loro dichiaratamente approssimativa resa dimensionale e spaziale, nei frequenti luoghi comuni formali, che portano a una omogeneizzazione dei tipi facciali dei personaggi, nella maggiore e personale disinvoltura a fondere o mutare i temi iconografici affrontati.Libertà e originalità compositiva, ossessivo decorativismo e malsicuro senso spaziale, unito peraltro a una forte naïveté poetica, sono quanto caratterizza anche le figurazioni presenti sui capitelli che reggono lo stesso architrave scolpito dai due fratelli. Ne è però autore un Enrico, artista certo della stessa bottega, ma indipendente quanto basta per essergli consentito di sottoscriversi separatamente, il quale va oltre sulla strada di uno stravolgimento in chiave onirica e visionaria della rappresentazione del reale, anche quella condensata in minuti personaggi ed espressa talora con pesanti grafismi, quale appare in alcune figure di Guglielmo, dalla cui opera, pure, egli sembra direttamente derivare. I temi iconografici dell'Annuncio a Zaccaria, della Visitazione e dell'Annunciazione alla Vergine tra s. Anna e s. Gioacchino sono interpolati con episodi decorativi fitomorfi (Ascani, 1993), che, oltre a complicarne la lettura, li traspongono su un piano di puro racconto fantastico. È però da rilevare la limitata capacità tecnica di questo maestro, soprattutto in tema di resa psicologica delle figure, ancora più simili a marionette rispetto all'opera di Gruamonte.È stato visto, a Pistoia come in altri casi nella Toscana della fine del 1100, un avvicinamento a presunti modelli provenzali, in specie le sculture delle cattedrali di Arles e di Nîmes (Salmi, 1928; Salvini, 1966), rispetto alle quali invece la contemporaneità - o forse anteriorità - cronologica, una superficiale somiglianza iconografica e i più frequenti bizantinismi (Biehl, 1926) farebbero ritenere le opere in questione sostanzialmente frutto di autonome ricerche per molti versi parallelamente maturate nel clima di ripresa archeologizzante di motivi paleocristiani che ha caratterizzato, in Provenza come in Toscana e altrove, buona parte della scultura del 12° secolo.Un secondo architrave eseguito da questa bottega, firmato dal solo G., è quello del portale del fianco settentrionale della chiesa di S. Giovanni Fuorcivitas, ancora a Pistoia, la cui iscrizione-firma percorre la ghiera della lunetta, a ribadire certo la paternità dell'intero portale e dunque, con buona probabilità, dell'ampia sezione della ornatissima parete con esso coerente. Vi è raffigurata l'Ultima Cena, che presenta modificato in parte lo schema della medesima scena del pulpito di Guglielmo, con irrigidimento e serializzazione delle figure e delle pieghe dei panneggi e della tovaglia, che assumono una insistente ritmicità. Una maggiore e più razionale spaziatura dei personaggi, dal più curato dimensionamento, e un rilievo più nettamente articolato in successivi piani suggeriscono di situare l'opera in un periodo posteriore di alcuni anni all'architrave di S. Andrea. La critica ha talora avanzato una datazione intorno al 1180 (Giglioli, 1904), che, pur senza essere strettamente giustificata da documentazione storica o epigrafica, potrebbe ben spiegare l'evoluzione stilistica intercorsa. Inoltre il fianco della chiesa mostra, nell'ordine inferiore, forme architettoniche del tardo sec. 12°, mentre differenze nell'aspetto dei capitelli delle loggette inducono a ritenere il resto della decorazione condotto assai lentamente per un notevole numero di anni, in pratica sino a tutto il primo quarto del sec. 13°, a parte le successive integrazioni e aggiunte. Ciò non toglie che la struttura, ad arcature cieche sormontate da ordini di loggette, interamente eseguita in bicromia marmorea bianco-verde, presenti un aspetto a grandi linee unitario. Il sistema di alzato tipico delle facciate romaniche pisane viene singolarmente applicato all'intero prospetto settentrionale dell'edificio in un sorprendente e fantasioso esperimento, a costituire una parete-schermo rettangolare di forte impatto visivo. I paramenti bicromi di origine pisana vi appaiono regolarizzati e geometrizzati, tenendo sicuramente presenti esempi emiliani (Salmi, 1926), ma soprattutto i nobili prototipi fiorentini del battistero, della Badia fiesolana e di S. Miniato al Monte, quest'ultimo allora ancora in corso di completamento, con l'opposizione di colori ben distinti e con l'inserimento, oltre alle tipiche losanghe, di campi a intarsi geometrici a unità perlopiù quadrate e triangolari - anche in composizioni -, a imitazione dei pavimenti musivi tardoantichi presenti negli edifici sacri della regione e già ripresi dal Romanico fiorentino.Motivi fiorentini e caratteristiche spaziali lucchesi vanno ad aggiungersi ai preponderanti riferimenti stilistici pisani anche nell'architettura di questi edifici, cui è da affiancare l'ulteriore fabbrica pistoiese di S. Bartolomeo in Pantano, che presenta sul portale di facciata un altro architrave, con l'Incredulità di s. Tommaso raffigurata, in uno con la Missione agli apostoli, da mano affine a G., ma ancor meno esperta, con buona probabilità nel 1167 (Ciampi, 1810).L'uniformità dimensionale, tipologica e, per molti versi, stilistica dei capitelli delle strutture di queste chiese con quelli dei prospetti creati da G. e dalla sua bottega assicura la pertinenza agli stessi artisti anche delle principali fasi architettoniche degli stessi edifici, fatto salvo il caso di S. Giovanni Fuorcivitas nel suo aspetto odierno, frutto, a parte il fianco settentrionale, di una ricostruzione di età gotica. Si tratta di impianti basilicali a tre navate su colonne, con copertura lignea, particolarmente sviluppati longitudinalmente, dalle navate centrali caratteristicamente ristrette e slanciate, e dalle absidi aperte da ordini sovrapposti di monofore, secondo quanto comune negli stessi decenni in particolare a Lucca (Sanpaolesi, 1966), per es. in S. Frediano e, poi, in S. Michele in Foro. Le colonne, talvolta monolitiche, sorreggono capitelli corinzi o compositi recanti talora anche figure zoomorfe, come aquile, a forte rilievo e piumaggio disposto per linee oblique, che non si allontanano troppo dallo stile degli architravi istoriati. Motivi con animali isolati, in teoria o a comporre scene di combattimento, compaiono, del resto, anche nelle ghiere dei portali della facciata di S. Andrea, il cui coronamento a mosaico marmoreo bicromo a tasselli romboidali ritorna al di sopra delle arcature - e tra di esse a S. Bartolomeo in Pantano e, con molto maggiore sviluppo, a S. Giovanni Fuorcivitas - e sta a testimoniare un gusto coloristico e ritmicamente geometrizzante che ben si associa alle caratteristiche salienti della contestuale opera figurata scolpita. Pur nella sua semplicità, esso costituisce espressione di una originale, vivace elaborazione compositiva su temi di diversa, ma sempre locale provenienza - dato che non vi sono validi motivi storici né sufficienti similitudini tecniche e stilistiche per chiamare in causa la Spagna mozarabica, come pure è stato fatto (Redi, 1984) - e resta anzi a testimoniare la precisa individualità estetica di uno dei più felici esempi di quel rinato gusto per un'architettura riccamente coloristica, ove non polimaterica, che investì numerose regioni italiane ed europee negli stessi decenni.Alla bottega di G. e Adeodato sono state attribuite altre sculture, tra cui i notevoli plutei figurati dal distrutto pulpito del duomo pistoiese (ora nella cripta), con Visitazione, Ultima Cena e Cattura di Cristo, così genuinamente derivati da Guglielmo da essere stati attribuiti allo stesso maestro pisano (Nicco Fasola, 1946; Salvini, 1966; Baracchini, Filieri, 1992), in ogni caso qualitativamente superiori alle sculture descritte in precedenza, da cui differiscono, oltre che per la monumentalità delle dimensioni, per il più saldo senso spaziale e il proporzionamento delle figure, non eccessivamente gravate da intrusioni decorative e distribuite con ben maggiore respiro negli ampi riquadri. Resta impossibile allo stato attuale precisare se sia una nuova e differente fase dell'arte di G. in tempi successivi all'opera in S. Giovanni Fuorcivitas o se sia la creazione di un altro maestro di cultura toscana occidentale formatosi sui testi di Guglielmo e degli scultori pistoiesi. Una eccessiva rigidità delle figure e un troppo insistito linearismo sconsiglierebbero peraltro di avvicinare alle lastre il nome del caposcuola pisano.Neppure il pulpito della pieve di San Michele in Gròppoli, presso Pistoia, opera del 1194, è più facilmente collegabile alla bottega di G. (Schmarsow, 1890) che non a Biduino (v.), artista tra l'altro meno distante cronologicamente, da cui l'autore, forse un allievo diretto ma non lo stesso maestro, data la corsività dell'opera, riprende numerosissime particolarità icnografiche e stilistiche. Infine, il gruppo scolpito, parte di ambone, del duomo di Pescia si dichiara frutto degli ultimi decenni del secolo, dati la maggiore varietà nel trattamento delle superfici, con panneggi mossi di differente spessore, e il comparire di figure a tutto tondo pienamente autonome nella loro volumetria e di superfici gonfie e levigate secondo il gusto romanico maturo, in particolare lucchese, del tardo Biduino o di Guidetto. Non è dunque possibile vedervi all'opera l'autore del rilievo dell'architrave di S. Bartolomeo in Pantano (Salmi, 1928; Salvini, 1966), di più stretto ambito pistoiese e di lezione guglielmesca prossima a Gruamonte.Rimane certo, in ogni modo, che la bottega di G. e Adeodato abbia lasciato all'opera alcune taglie di scultori e architetti attivi nel territorio pistoiese, la cui eco risuona in alcune costruzioni minori della regione, fino a influenzare singoli aspetti stilistici e decorativi delle fasi guidettesche del duomo di Prato o più tarde costruzioni pistoiesi come S. Pier Maggiore, dipendente dagli schemi elaborati da Gruamonte.
Bibl.:
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