GROTTESCHE
. Con questo nome si designò una determinata specie di decorazione parietale derivante da quella trovata a Roma nei resti sotterranei della Domus aurea di Nerone (le cosiddette "grotte"). Essa è costituita da un leggiero e fantastico disporsi di forme vegetali miste a figurette umane, ad animali stravaganti, a scenette narrative. Fu eseguita a stucco o ad affresco; cercando per tecnica spigliata e compendiosa di riprendere anche in questo l'aspetto datole dagli antichi decoratori di "grotte". Spesso l'oro vi si mecolò, o le rivestì totalmente: quasi sempre le tinte vivaci, date a pennellate disinvolte, servirono a conferire loro il carattere di gaio e delizioso commento alle forme architettoniche, da esse mai volute abolire. Dalla pittura passarono anche nella scultura, raggiungendo finezze estreme di esecuzione.
Le grottesche cominciarono ad apparire alla fine del Quattrocento. Le vediamo usate dal Pinturicchio nell'appartamento Borgia in Vaticano e nella libreria Piccolomini a Siena; da Filippino Lippi a Firenze e Roma; dal Signorelli a Orvieto, ecc. Ma ebbero la loro massima espansione nel Cinquecento. Gli ornati si assottigliano e snelliscono; gli artisti osservano in modo sempre più intenso la pittura delle "grotte" antiche. Il massimo fulgore si ha fin verso il sesto o settimo decennio del secolo. Poi ricompare una certa consistenza che si concluderà nelle forme barocche. Esempio massimo di decorazione a grottesche sono le Logge di Raffaello, dove in questo campo si distinse sopra tutti gli allievi di lui Giovanni da Udine, il più perfetto in tale gioioso genere ornamentale. Celebri per le grottesche furono Pierin del Vaga, il Feltrini, Cristoforo Gherardi, il Vasari, l'Allori, il Poccetti, il Cosini, Benedetto da Rovezzano, Simone Mosca, ecc. Poi a questo genere di decorazione se ne sostituì uno più architettonico e illusivo e anche coloristicamente privo del loro brio. Nel Settecento si nota una rielaborazione delle grottesche, ma in senso più naturalistico. Successivi tentativi si sono pure mostrati mancanti dell'agile gusto del Quattrocento e Cinquecento. (V. tavv. CCXV e CCXVI).
Bibl.: G. Vasari, Le Vite, ed. Milanesi, I, Firenze 1878, p. 193 segg.; G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura, scoltura et architett., Milano 1585, p. 422 segg.; G. B. Armenini, De' veri precetti della pittura, Venezia 1678, pp. 110, 115 e seg.; Quatremère de Quincy, Diz. stor. di architettura, Mantova 1850, I, p. 719; E. Müntz, Histoire de l'art pendant la Renaissance, II, III, Parigi 1891, 1895; P. Toesca, Affreschi decorativi in Italia fino al sec. XIX, Milano 1917; G. Ferrari, Lo stucco nell'arte italiana, Milano s. a.