GROENLANDIA (A. T., 125-126)
È il più ampio territorio artico e in pari tempo (2.175.600 kmq.) la maggiore isola della terra. Dal C. Morris Jesup (83°40′ N.) al C. Farvel a S. (59°45′ N.) ha una lunghezza massima di 2650 km.; la larghezza varia assai, sviluppandosi l'isola all'ingrosso a forma di quadrilatero (a N.) e di triangolo (a S.), uniti su uno dei loro lati (larghezza massima 1050 km.). Zone di mare aperto e ampî canali la isolano dalle masse vicine, ma a NO. l'arcipelago nordamericano le si accosta fino a pochi km. (Terra di Ellesmere, Terra di Grant), mentre anche dal lato opposto le fa fronte, a una distanza relativamente esigua (300 km. circa), una grossa isola (Islanda).
Esplorazione. - La storia delle più antiche conoscenze che in Europa si siano avute intorno alla Groenlandia si desume da varie e non sempre concordanti cronache islandesi del Medioevo avanzato. L'isola è stata scoperta circa il 900 d. C. da uno dei coloni norvegesi d'Islanda, Gunnbiorn figlio di Ulf; alla scoperta fece seguito dal 982 al 984, il primo insediamento per opera di Erik Rauda (Erico il Rosso), il quale, girato a ovest il Capo Farvel, diè alla terra verdeggiante lungo lo stretto orlo costiero il nome augurale di Grönland (Terra Verde). Altri insediamenti seguiti poi e distribuiti tutti lungo la costa SO. della grande isola, dove questa risultava meglio accessibile, finirono con dare origine a due distinti distretti, l'Oesterbygd (dal Capo Farvel fino a circa 61° N.) e il Vesterbygd (dal 63° al 66°30′), ambedue nella parte più riparata e più abitabile dell'isola. Il numero dei coloni - islandesi e di Norvegia - crebbe tanto da raggiungere, nel tempo della maggior fortuna (vale a dire nel sec. XIII), i due o tremila; ebbero anche un loro vescovato a Gardar, che durò attivo dal 1126 al 1377; è pure probabile che durante quest'epoca di civiltà i più arditi abbiano spinto di parecchio a tramontana per ragioni di pesca le loro esplorazioni, soprattutto lungo la costa occidentale. L'Islanda e la più remota patria Norvegia si mantennero fìno al sec. XV in rapporto con queste avanguardie lontane di loro gente, ma già per le difficili comunicazioni non raggiungevano più la sede di Gardar i vescovi eletti, e dal 1410 cessa anche ogni navigazione regolare con l'Europa. Verso la fine del sec. XV possiamo dire la colonia perduta, non perché (come si pensava) i coloni finissero oppressi dagli Eschimesi, ma perché, non sostenuti più dalla madrepatria, male nutriti e immiseriti fisicamente, finirono parte con l'estinguersi (forse per epidemie), parte col fondersi con gl'indigeni superiori di numero.
Nuovi contatti con l'isola ricominciano con il sec. XVI - vale a dire dopo la scoperta americana -, toccandola forse prima la spedizione portoghese di Gaspare Cortereal (1500), poi con più durevole riconoscimento gl'Inglesi Frobisher, Davis, Baffin, diretti alla ricerca del passaggio di nord-ovest. Martin Frobisher tocca la costa O. nel 1578; John Davis incontra nel 1585 la costa ch'egli chiama Terra di Desolazione poco a NE. del Capo Farvel e nel 1587 naviga lungo la sponda occidentale per più di 1500 km. scoprendola fino a 72°15′; William Baffin nel 1616 con navigazione particolarmente fortunata prosegue più a N. arrivando fino all'ingresso (non rivelatosi allora per tale) dello Smith Sound a 78°. Ma oltre agl'Inglesi, e non per la ricerca del passaggio di NO. ma per interesse alla terra stessa groenlandese e agli antichi coloni scandinavi forse non estinti ancora, navigano alla grande isola i Dano-Norvegesi: qualche spedizione al tempo di Cristiano III (fine del Cinquecento e principio del Seicento) cerca di approdare alla costa orientale dove si credevano esistite le vecchie colonie medievali; J. Hall approda invece con maggior fortuna a quella occidentale. Ma soltanto un secolo più tardi i Danesi riescono finalmente a riporre quivi stabilmente il piede, quando nel 1721 Hans Egede, un pastore norvegese infervorato nell'idea di ritentare la vecchia colonizzazione, con l'appoggio del re Federico IV ritorna alla costa occidentale e vi s'insedia, iniziando il nuovo possesso danese con un primo stabilimento che presto divenne Godthåb. L'Egede restò quivi 14 anni insegnando agli Eschimesi costumi civili e fiducia di scambî, esplorando la costa più a N. e fondando o iniziando nuovi stabilimenti. Missionarî e commercianti e agenti governativi venuti poi, estendono l'occupazione costiera nello stesso sec. XVIII con stabilimenti regolari (Christianshåb, Jakobshavn, Frederikshåb, ecc.) fino a Upernivik.
Spinta così innanzi la colonizzazione del lembo occidentale, col principio del sec. XIX s'iniziano e si spingono innanzi rapidamente da parte della marina danese e soprattutto per merito di W. H. Graah i rilevamenti di precisione; il tedesco C. L. Gieseke dal 1806 al 1813 inizia le prime indagini mineralogiche e geologiche, varî studiosi scandinavi approfondiscono le ricerche archeologiche; numerosi naturalisti preludono con le loro ricerche alla grande opera di H. Rink danese, che costituisce lo Studio scientifico fondamentale di tutto il lembo colonizzato dell'isola (1848-55). Seimila e più km. di coste rilevate, studî e carte topografiche e geologiche attestano anche nel periodo successivo l'attività del governo e degli scienziati danesi in tutto il territorio occupato.
Ma intanto le conoscenze del contorno della grandissima terra si venivano di gran lunga perfezionando. Il cap. Inglefield, inglese, navigando nel 1852 a N. dell'ultimo termine settentrionale raggiunto dal Baffin più di due secoli innanzi, scopriva l'ingresso dello Smith Sound, e apriva la via - oltre che al futuro raggiungimento del Polo, che sarà compiuto nel 1909 - alla scoperta di tutto il giro settentrionale delle coste groenlandesi: gli Americani E. Kane nel 1853-55, I. Hayes nel 1861, F. Hall nel 1871, il luogotenente Beaumont della spedizione inglese Nares nel 1876, il tenente Lockwood della spedizione americana Greely nel 1882, aggiungono ognuno nuovi tratti di costa scoperti sempre più a tramontana, l'ultimo di questi arrivando fino alla lat. di 83°24′. Raggiunto qui ormai quasi appunto il termine settentrionale groenlandese, nuovi tocchi aggiungevano nel 1886 e negli anni seguenti le scoperte dell'americano R. E. Peary; nel 1892 questi tenta anche, partendo dal golfo di Inglefield, la ghiaccia interna per evitare il penoso giro delle lunghe dentellature litorali e riesce così a un tratto costiero settentrionale del tutto nuovo che gli appare lo sbocco d'un gran canale (Canale dell'Indipendenza), dove già l'orlo della grande isola appare volgersi dall'estremo N. al levante.
Tutta questa serie di scoperte moderne, che dalle prime dell'Inglefield fino a questo sboccare del Peary sulla costa nord-orientale rivelano in quarant'anni tutto il contorno NO. e N. della Groenlandia, s'accompagna a un'altra serie di scoperte, assai più lenta e stentata, lungo il lembo E. difeso sempre da pericolose barriere di ghiacci. Il solo che avanti il sec. XIX avesse qui riconosciuto un tratto di costa abbastanza lungo era il famoso scopritore inglese Henry Hudson che, navigando per l'Olanda nel 1607, aveva seguito per circa tre gradi l'abitualmente inaccostabile sponda da 70° a 73° N. Ben due secoli più tardi il cap. Graah riusciva nel 1828 a penetrare rasente la costa con un'imbarcazione paesana dal Capo Farvel rilevando minutamente ogni punto per 700 km. fino a 65° 30′; il baleniere scozzese Scoresby aveva potuto l'anno innanzi toccare la costa qualche centinaio di km. più a N. e rilevarne in parte con molta esattezza il contorno tra 69°13′ e 75°12′, seguito un anno di poi negli stessi paraggi da D. C. Clavering, pure inglese, e dallo scienziato E. Sabine. Ma a queste fruttuose spedizioni dei primi lustri del secolo una quarantina d'anni segue senza che più alcuna nave riesca a superare la siepe dei ghiacci costieri, così che, quando già la sponda groenlandese occidentale è stata risalita fino a 81° (Hayes, 1861), lungo l'orientale tutto s'ignora oltre il punto raggiunto dallo Scoresby, non solo, ma considerevoli lacune inesplorate o male esplorate rimangono anche a S. La vivace propaganda condotta in Germania dal geografo A. Petermann attrae finalmente un'altra volta l'attenzione su questi paraggi inesplorati; dopo un primo tentativo della nave Germania, che riuscì nel i868 appena a scorgere di lontano la costa, la stessa nave, guidata dal cap. K. Koldewey, poté nel 1869 - mentre la sua compagna Hansa si perdeva tra i ghiacci - raggiungere l'Isola Sabine e, dopo lo sverno, scoprire ed esplorare l'imponente fiordo di Francesco Giuseppe; l'austriaco J. Payer, addetto alla spedizione, pervenne con le slitte più a N. al Capo Bismarck quasi a 77°30′.
Negli anni successivi, fino alla fine del secolo, nessun'altra spedizione notevole è da registrare lungo la difficile costa, tranne quelle del tenente della marina danese Amdrup, che nel '98 e nel '99 riesce a esplorare il tratto ancora così poco noto tra 65° e 70°, e quella dello scienziato svedese A. G. Nathorst che nel '99 aggiunge nuove scoperte e precise ricognizioni nel fiordo di Francesco Giuseppe e negli altri più a S. fino alla latitudine di 70°. Ma il sec. XX dà finalmente la spinta alle esplorazioni decisive destinate a colmare il grande spazio bianco ancora esistente nelle carte per tutto il NE. dell'isola dal Capo Bismarck al Canale dell'Indipendenza scoperto da Peary. Primo il duca Filippo d'Orléans, con la nave Belgica (guidata per la parte scientifica dall'esploratore belga A. De Gerlache), scopre in una felice campagna dell'estate 1900 il tratto dal Capo Bismarck fino al 78°17′. Poi, in una spedizione sola durata tre anni (1906-1908), il danese Mylius Erichsen, movendo dalla sua nave Danmark ancorata al Capo Bismarck, deliberato a compiere il periplo dell'isola ma costretto a lunghissimo giro dall'inatteso protendersi del contorno con un grande aggetto verso NE., perviene con estrema fatica nel marzo 1907 al Capo Bridgman già raggiunto dal Peary, trionfo pagato poi, nel disastroso ritorno, con la morte per esaurimento dei viveri. Eynar Mikkelsen in un'esplorazione ulteriore nel 1910-11 ritrova felicemente il diario e le carte dell'eroico esploratore. La Groenlandia era così riconosciuta in quasi tutto il suo lunghissimo contorno.
La grande corazza dell'inlandsis, della ghiaccia interna che, ricoprendo l'isola tutta (salvo il più o meno ristretto orlo costiero), proibisce per così vasto spazio le dimore umane, non fu oggetto di alcun tentativo di esplorazione fino alla metà del sec. XIX, quando sorse il desiderio di conoscere l'estensione, forse non compatta, dell'immensa cappa gelida e la sua altitudine, le condizioni fisiche e climatiche, i movimenti, ecc. Questi tentativi, pericolosi anch'essi alle vite umane, incominciano col già ricordato H. Rink dal 1848 al '51; nel 1870 E. A. Nordenskjöld s'inoltra fino a 56 km. raggiungendo 610 m. di altitudine, nel 1878 Jensen si spinge ad altezze di 3000 m. sui cosiddetti nunatakkers che s'alzano con le loro schiene rocciose fuor dal mantello di ghiaccio; nel 1883 il Nordenskjöld rinnova il tentativo spingendosi fino a 120 km. nell'interno dalla sponda dello Stretto di Davis, nel 1886 tenta il Peary dalla riva dello Smith Sound; finalmente nel 1888 Fridtjof Nansen, partito da Umivik (64°25′) discende alla costa occidentale dopo 42 giorni di traversata (560 km.). Studî sulla ghiaccia interna compie anche il tedesco E. v. Drigalsky (1891-92); traversa l'isola nuovamente il Peary, come s'è già detto, nel 1892 da 77°30′ (Smith Sound) pervenendo al Canale dell'Indipendenza a 81°87′, e ripete poi altre due volte la traversata (1895 e 1912) in latitudini non molto diverse; un'altra traversata più meridionale (questa in direzione E.-O.) si deve a J. P. Koch e ad A. Wegener (già compagni dell'Erichsen), transitati dove l'isola è più larga dal Capo Bismarck a Pröven sulla costa occidentale, miracolosamente salvi dopo 1200 km. di percorsti (1913); un'altra ancora assai più a S. è dovuta ad A. de Quervain (1912).
Una serie sistematica di esplorazioni conduce dopo il 1912 lo studioso groenlandese Knud Rasmussen, al quale si aggiunge poi il danese Lauge Koch, partendo dalla stazione scientifica di Thule mantenuta dal governo danese sullo Smith Sound; il Lauge Koch dal 1920 in poi studia con varie spedizioni successive la geologia di tutta la parte settentrionale e nel 1926, fatto centro allo Scoresby Sund, quella della costa orientale. Il tedesco Wegener, tornato un'altra volta al suo prediletto campo di studî nel 1929 per preparare una stazione aerologica nel cuore dell'isola, compie indagini glacialogiche importantissime, ma muore ucciso dai patimenti e dal freddo nel novembre 1931. Conoscenze anche maggiori sono ora da attendere dalle esplorazioni per via aerea, già iniziate per opera di una spedizione inglese nella parte meridionale dell'isola.
Geologia e morfologia. - Nel suo complesso il suolo della Groenlandia è formato da un blocco di rocce cristalline (gneiss e graniti), orlato da depositi sedimentarî e da espandimenti vulcanici. Il primo è quanto rimane di un antichissimo (huroniano) rilievo, corrugato in età presilurica e interessato dal piegamento caledoniano solo in una ristretta zona marginale (a N.), che rappresenta uno dei piloni del ponte congiungente un tempo l'arcipelago nordamericano alla Scandinavia. Le trasgressioni marine, iniziatesi già in epoca paleozoica, non oltrepassarono i margini del penepiano, accumulando, tra la fine del Mesozoico e il principio del Terziario, quelle fasce di depositi che vengono a luce su ambedue i lati maggiori dell'isola, dove appaiono sormontati o accompagnati da colate basaltiche, anch'esse d'epoca cenozoica. Di queste, le più estese si presentano in corrispondenza del 70° N. all'incirca, formando probabilmente una depressione continua da O. a E., che dividerebbe così in due la massa granitico-gneissica dell'imbasamento. Durante il Terziario la Groenlandia godette di un clima caldo, attestato da numerose piante fossili di tipo tropicale, finché la grande glaciazione pleistocenica, sommergendo press'a poco tutto il territorio (solo alcuni lembi marginali più elevati poterono sfuggirle), venne determinando quelle condizioni ambientali di cui tuttora continuano gli effetti. Si può dire anzi che, salvo la diversa potenza del manto nevoso e le lente oscillazioni del livello marino, ben poco, in sostanza, si sia cambiato da allora, a prescindere dalla comparsa e dall'attività dell'uomo, che non ha potuto del resto introdurre mutamenti sostanziali nel paesaggio primitivo.
Sopra sei settimi all'incirca dell'intera superficie si stende una continua e massiccia (fino a 1200 m.) coltre di ghiaccio, dalla quale emergono lungo i margini alcune creste isolate (nunatak, pl. nunatakker) che tradiscono il rilievo sottostante. Per quanto sappiamo, questa coltre (inlandsis) ha forma dolcemente convessa, con profilo asimmetrico, però, in quanto la sommità dell'arco è più vicina alla costa orientale, dove, crescendo il rilievo, è anche la zona di alimento. Le pendenze, appena accennate nell'interno della vasta superficie ghiacciata, si accentuano lungo i margini, cioè nella zona di ablazione, costituita da una cimosa di larghezza variabile (fino a 150 km.), dove la topografia si fa più accidentata e sino aspra. Del resto, la stessa superficie interna è ben lontana dall'assumere un andamento idealmente piatto: il profilo della convessità da N. a S. è seghettato da ampî avvallamenti, che isolano a N. una massa elevata oltre i 3000 m. (alla latitudine di 75° circa), nel centro (poco a S. del 70°) un'altra larga zona certo superiore ai 2500, e una non meno alta a S. (65° N.), dove sono stati riscontrati in un luogo 2770 m.
La superficie stessa è poi resa localmente varia dall'accumulo delle nevi fresche, operato dai venti, e dall'incisione di solchi anche profondi, percorsi d'estate da vere correnti fluviali, che ristagnano in pozze e laghi temporanei, o si perdono fra le crepacciature dei ghiacci. Verso N. l'inlandsis termina con pareti elevate e precipiti; lungo i lati maggiori dell'isola e a S. si articola in un gran numero di correnti glaciali (iceström), che scendono rapide per le valli al mare, dove le fronti si frammentano in icebergs, specie in corrispondenza alla parte mediana della costa occidentale.
Con tutto ciò, il paesaggio risulta monotono su larghissime superficie; relativamente vario è invece sulla frangia costiera libera dai ghiacci (296.900 kmq., di cui 44.800 di isole), larga in qualche luogo poco meno di 200 km., interposta fra l'orlo della calotta stessa e il mare. Vi sono zone interessate dall'erosione glaciale, che si presentano con alte superficie piatte, o a debole ondulazione, cribrate di cavità lacustri e incise da valli profonde, e da fiordi. Questi ultimi si aprono più larghi e svasati in corrispondenza alle meno resistenti e compatte assise sedimentarie, assumendo di regola le tipiche forme digitate dove prevale il duro zoccolo cristallino. Altrove il paesaggio appare caratterizzato soprattutto dalla frequenza degli apparati morenici, se pure questo tipo è limitato, si può dire, a regioni piuttosto anguste, non lungi dalla cuspide meridionale dell'isola. Molto più imponente e grandioso è invece lo scenario, dove, come a E. e a O., alte e impervie barriere montuose s'interpongono fra la costa e il margine dell'inlandsis, ricordando, per l'arditezza delle cime e la topografia dei declivî, il mondo alpino, da cui differiscono tuttavia per essere rimaste, anche in epoca pleistocenica, almeno parzialmente sgombre dai ghiacci. Queste varietà morfologiche si complicano per l'intervento dei fattori climatici e della vegetazione, sì che si passa, lungo il contorno costiero, attraverso strisce aventi ognuna caratteristiche proprie tanto nette e fino a un certo punto, contrastanti, che è lecito parlare anche qui di regioni naturali. Così, per es., alle due fasce basaltiche, che formano la parte mediana delle coste occidentali (dal 69° al 73° N. all'incirca) e orientale (dal 68° al 75° N.), dove predomina una tipica morfologia a ripiani e a terrazzi, incisi da fiordi ampî e acclivi, contrasta, a S. (Groenlandia meridionale), la più movimentata topografia propria delle zone granitiche e il paesaggio morenico, e a N. (frangia insulare e strisce costiere di Upernivik e Baia di Melville a O., fra 73° e 76° N., e della Groenlandia orientale. fra 75° e 81° N. all'incirca) esili cimose su cui s'innalzano imminenti le lingue di ghiaccio dell'inlandsis che s'affaccia direttamente al mare. Mentre poi nell'estrema cuspide meridionale si riuniscono, per la minore rigidità del clima condizioni più opportune alla vita umana, proprio all'estremo opposto vaste depressioni e larghi solchi vallivi si alternano con catene di pretto colorito alpino, sovrelevantisi da 1000 a 2000 m. sui piani che le circondano, e le frange terrestri libere dai ghiacci si coprono su estese superficie di un mantello vegetale relativamente ricco, che consente pari intensità di sviluppo alla vita animale.
Clima. - Due fatti appaiono, tra i determinanti, cospicui, l'uno in funzione dell'altro: l'esistenza di un'immane massa di ghiacci, e la persistenza, che ne consegue, di un'area d'alta pressione fra depressioni marginali (Stretto di Davis e Islanda). Le correnti atmosferiche che ne risultano assumono, come discendenti, i caratteri del föhn alpino, e producono analoghe conseguenze. A questo è dovuta la formazione di strisce aride - con tutti i fenomeni proprî delle regioni aride, come laghi salati, loss ed erosioni eoliche - fra l'orlo della calotta ghiacciata e la linea di costa, e il fatto tipico che località poste nell'interno dei fiordi godano di temperature meno rigide di quelle che sono lungo la riva del mare. Per quanto poco si conosca delle condizioni che si verificano nell'interno, è certo che le differenze fra la zona costiera e l'inlandsis debbono essere considerevoli (la media temperatura dell'aria sulla calotta oscilla intorno a − 32°), ma più importante ancora è, che le differenze dovute alla latitudine, se pure notevoli d'inverno (Sagdlit, a 60° 16′ N., segna − 5°,4 in febbraio; a 82° N. si ha − 37°,5), si riducono d'assai in estate (4°,4 e 3°,2 rispettivamente nel luglio) e perciò la vegetazione può spingersi fino alle alte latitudini. In complesso si hanno inverni rigidi e lunghi, con precipitazioni nevose frequenti, ed estati tanto più brevi, quanto più si procede verso N., dove appena tre mesi dell'anno segnano medie superiori allo 0°. A parità di latitudine, la costa orientale, lambita dalla fredda corrente della Groenlandia, è più fredda dell'occidentale, lungo la quale discende invece una corrente calda; il contrasto è acuito dai venti locali, che strisciano sul mare libero nel secondo caso, su acque coperte di ghiacci nel primo. Un posto a sé è da fare all'estrema cuspide meridionale, che cade nel dominio di minimi barometrici: con le temperature più elevate, è qui caratteristica la maggior quantità delle precipitazioni (Ivigtut mm. 1170 annui in media), che vengono invece riducendosi sensibilmente a mano a mano che si procede verso N., fino a toccare valori minimi sulla costa prossima al Polo (in 82° è appena 100 mm. circa).
Fauna. - Le fredde regioni della Groenlandia, come quelle di tutte le terre polari, non possono consentire la vita che a un numero relativamente scarso di animali particolarmente adatti a resistere alle basse temperature. Fra i Mammiferi più diffusi sono l'orso polare (Ursus maritimus), la volpe artica o volpe azzurra (Vulpes lagopus), la renna (Rangifer tarandus, var. groenlandicus), il bue muschiato (Ovibos moschiatus), la lepre polare (Lepus glacialis). È interessante il fatto che il bue muschiato, i topi e alcuni altri mammiferi, specialmente carnivori, si tengono nella porzione settentrionale dell'isola. Ricchissime di foche sono le coste; fra le specie più importanti ricordiamo la foca di Grey (Halichoerus grypus), la foca crestata (Cystophora cristata) e la foca della Groenlandia (Phoca groenlandica), questa straordinariamente abbondante.
Molti uccelli trascorrono in Groenlandia la buona stagione; soprattutto interessanti sono i palmipedi che si cibano di pesci e frequentano le coste. Notevoli il gabbiano polare, il gabbiano nero, la procellaria glaciale, le urie, le strolaghe, le alche e i curiosi pulcinella di mare (v. artiche, regioni).
I rettili e gli anfibî fanno completamente difetto.
Vegetazione. - È uno dei distretti floristici meglio conosciuti del dominio boreale, grazie alle diligenti ricerche dei botanici scandinavi e Specialmente danesi (Warming). Vi si possono distinguere tre distretti principali; delle boscaglie di betulle o sud-occidentale, delle lande arbustacee e dei fjelds artici. Il primo si spinge verso N. sino a 62° lat. e verso l'alto sino a 150 m. s. m.; è soprattutto accantonato nella parte profonda dei fiordi e al piede dei pendii rivolti a mezzogiorno e la formazione caratteristica è costituita da varie specie del genere Betula (B. tomentosa var. tortuosa, B. intermedia, B. glandulosa e da Juniperus communis var. nana, Salix., glauca, Alnus ovata var. repens, Sorbus americana, formanti un consorzio che raggiunge 3-6 m. di altezza. Il Salix glauca costituisce, del resto, anche consorzî puri di circa 2 m. di altezza, i quali sono il rifugio di parecchie specie di felci e di piante sciafile umicole. La landa è invece una formazione di bassi suffrutici appartenenti a generi della famiglia delle Ericacee (Cassiope, Phyllodocea, Loiseleuria, Diapensia, Ledum, Rhododendron, Arctostaphylos, Vaccinium) e altri, Dryas, Empetrum, Linnaea, Thymus, e muniti di foglie per lo più sempreverdi e spesso aghiformi e di colore verde-glauco. Essi sono intercalati di alte erbe (Archangelica), talvolta da vere colonie di specie erbacee (40-60 specie diverse su pochi metri quadrati) le quali interrompono la monotonia della landa con la loro brillante fioritura, e da numerose forme di muschi e licheni. In altri casi il tipo della vegetazione di questo distretto è modificato dalla presenza di acquitrini dominati da muschi e anche da erbe torbicole o da aree pietrose o rocciose con una florula abbastanza varia di specie fittonose o striscianti. Finalmente i fjelds rappresentano la vera tundra artica e sono prodotto di condizioni ambientali più severe delle precedenti; la vegetazione vi è sporadica, di colore spesso verde-brunastro, ed è formata predomìnantemente da colonie di muschi e di licheni intercalati di piante erbacee con portamento a rosetta, a pulvino o in ogni modo con ramificazioni scarse e brevi; e di pochi suffrutici striscianti (Salix, Dryas). Meno continue delle precedenti, poi, e poco varie sono le formazioni costiere; quelle acquatiche, dominate da una ricca serie di briofite, sono ancora abbastanza variate nel loro contingente fanerogamico.
Popolamento. - Intorno alle origini del popolamento umano della Groenlandia c'è ancora dissenso fra gli studiosi e molte circostanze restano oscure. L'opinione prevalente è che gli Eschimesi, da cui discendono gli attuali abitatori dell'isola, e che si conservano puri da mescolanze etniche in alcuni distretti (Etah, Angmagssalik), siano venuti in Groenlandia dal territorio canadese attraverso le isole dell'arcipelago americano procedendo da N. verso S., per quanto riguarda la costa sudorientale. La diffusione dell'uomo viene così messa in rapporto con quella dei grossi mammiferi terrestri (bue muschiato e renna) che egli caccia per garantirsi l'esistenza.
È probabile che questo popolamento sia avvenuto a più riprese. A ogni modo è certo che nella creazione del tipo attuale hanno avuto parte anche le migrazioni (v. sopra: Esplorazione).
Popolazione e centri abitati. - Nel 1931 la popolazione della Groenlandia contava 16.819 ab. (di cui appena 324 Europei e 1/7 puri Eschimesi) distribuiti molto saltuariamente: sulla costa (O. fino al 78°18′ dove Etah (Ita) rappresenta l'insediamento più settentrionale dell'isola (è di soli Eschimesi; gli Europei si spingono fino a Tasiussak, a 73°21′ N.), mentre sulla costa E. l'ultimo dei pochi gruppi di abitanti non oltrepassa lo Scoresby Sund, appena oltre il 70° N. Dei centri, nessuno tocca i 1000 abitanti: solo in epoca recente edifici di legno all'europea (chiese, magazzini, uffici, ecc.) si sono aggiunti ai tipici ricoveri degli Eschimesi, che occupano di regola, separati come sono da larghi tratti di terreno, ampie superficie. Dei comuni, risultanti dalla riunione di varî centri, il più popoloso è Julianehåb, sulla costa SO., con 3532 ab.; su questa stessa costa sono Godthab (1313 ab.), la capitale della colonia, Sukkertoppen (1397 ab.), Frederikshab (1017), e a N. Egedesminde (1619), Umanak (1415) e Upernivik (1182). A F. il comune di Angmagssalik conta 713 ab., la recente colonia dello Scoresby Sund 108.
Le trasformazioni indotte dal contatto della civiltà occidentale sono state profonde; tuttavia il tipo del Groenlandese conserva ancora bene le qualità del fondo etnico su cui fu costruito (v. eschimesi). Nel corso del sec. XIX la popolazione è raddoppiata (6 mila ab. al principio dell'Ottocento, 11 mila nel 1900, 14 mila nel 1921), mentre cresceva di poco il numero degli Europei, quasi tutti concentrati sulla costa occidentale.
Risorse economiche e commercio. - La vita del Groenlandese è legata essenzialmente alla cac. cia, soprattutto a quella degli animali marini: foche (da 80 a 120 mila capi ogni anno), balene (da 80 a 200 ma solo nel N.), squali e pesci; notevole è anche il numero delle renne (150-300 nel N., e 2-3 mila nel S.) e delle volpi polari (3500 ogni anno in media), di cui si fa commercio con la madre patria. Di recente ha assunto grande importanza l'estrazione della criolite, che si coltiva presso Ivigtut, dove si è stabilita una colonia di Danesi, e vicino alla quale è la miniera di carbone di Arsuk. A Ivigtut si trova anche rame, e grafite nel distretto di Egedesminde produzione nel 1921: 3 mila tonnellate). Il commercio è tutto nelle mani dei Danesi; l'esportazione consta di criolite, pelli, penne, pesce, e olî animali, e ha segnato nel 1929-30 una cifra di 10,7 milioni di corone (contro 2,4 del 1923 e 2,7 del 1927); l'importazione, di manufatti, legnami, macchine, generi alimentari, ecc., ha sensibilmente oscillato negli ultimi anni (4,4 milioni di corone nel 1923, 8,8 nel 1927, ma 2,9 nel 1929-30).
Ordinamento politico e amministrativo. - Col trattato di Kiel del 1814 le colonie e i possedimenti in Groenlandia passarono dalla Corona norvegese a quella danese che, nel 1894, estendeva la sua sovranità fino a comprendere pure il distretto di Angmagssalik sulla costa orientale entro 65°35′ e 66°30′ N.
Nel 1920 la Danimarca, desiderando estendere la sua sovranità su tutta la Groenlandia, si rivolse alle potenze per ottenere il riconoscimento. Alcuni governi aderirono senz'altro alla domanda del governo danese, altri diedero il loro consenso con riserve, ma la Norvegia - sostenendo che la parte non effettivamente occupata dai Danesi è "terra nullius" - rifiutò di riconoscere la sovranità danese su tutta la Groenlandia, dati i suoi vasti interessi colà e l'attività da lungo tempo esplicata dai suoi sudditi sulla costa orientale, dove si trovano numerosi stabilimenti di cacciatori e pescatori norvegesi. Con un trattato del 9 luglio 1924, che lasciava in sospeso la questione contestata della sovranità, furono risolti alcuni problemi d'indole pratica, inerenti all'esercizio da parte dei Norvegesi delle loro industrie sulla costa orientale. Troncando gli indugi diplomatici la Norvegia, che considerava minacciato il libero esercizio dell'attività dei suoi sudditi, procedette all'occupazione effettiva della Terra di Erik Rauda, che va dal 71° 30′ al 75°40′ N., e il 10 luglio 1931 dichiarò quella regione sottoposta alla sovranità norvegese. La Danimarca a sua volta protestò e la vertenza fu portata davanti alla Corte permanente dell'Aja. Considerando i suoi interessi minacciati anche nella zona meridionale, la Norvegia giudicò opportuno procedere all'occupazione effettiva anche di quella regione e il 12 luglio 1932 proclamò la sua sovranità sul tratto della costa orientale che va dal 60°30′ al 63° 40′ N. Anche su questa vertenza dovrà decidere la Corte dell'Aja.
L'amministrazione delle colonie danesi dipende dal ministero della Navigazione e Pesca e da quello dell'Istruzione e Culto; la Groenlandia è divisa in due prefetture, del S. e del N., con un consiglio ognuna (Landsraad), retto dal Landsfoged (prefetto), cui si aggiunge, per il possedimento sulla costa di E., un ufficio speciale sotto la sorveglianza di un Kolonibestyrer (capo), residente ad Angmagssalik. I territorî occupati dalla Norvegia sono amministrati da un prefetto. (V. tavole CCV-CCVIII).
Bibl.: L'opera più completa sulla Groenlandia è quella edita a cura della Commissione danese per lo studio geologico e geografico della regione. La prima edizione comparve in danese nel 1921 col titolo: Grønland i Tohundredaaret f. Hans Egedes landing; la seconda, nel 1928-30 in inglese (Copenaghen-Londra) col titolo: Greenland. Cfr. anche: H. Egede, Det gamle Grønlands nye Perlustration, Copenaghen 1729 (trad. inglese, Londra 1745); H. Rink, Grønland geografisk og statistisk beskrivet, Copenaghen 1852-1857; A. E. Nordenskjöld, Grönland, seine Eiswüsten im Innern und seine Ostküste, Lipsia 1886; F. Nansen, Paa Ski over Grønland, Cristiania 1890 (traduz. tedesca col titolo: Auf Schneeschuhen durch Grönland, Berlino 1890-91; id., The first Crossing of Greenland, Londra 1890; id., Eskimo Life, Londra 1894; E. von Drygalski, Grönland-Expedition der Gesellschaft für Erdkunde zu Berlin, Berlino 1897; A. W. Greely, Handbook of Polar Discoveries, Londra 1909; J. P. Koch e A. Wegener, Die glaciologischen Beobactungen der Danmark-Expedition, in Meddelelser om Grønland, XLVI, Copenaghen 1912; O. Nordenskjöld, Einige Züge der physischen Geographie und der Entwicklungsgeschichte Südgrönlands, in Geograph. Zeitschr., XX (1914), pp. 425-41, 505-24 e 628-41; A. de Quervain, Quer durchs Grönlandeis, Monaco 1914; J. P. Koch, Vorläufiger Bericht über die wichtigsten glaziologischen Beobachtungen auf der dänischen Forschungsreise quer durch Nord-Grönland, in Zeitschr. für Gletscherkunde, X (1916-17), pp. 1-43; id., Durch die weisse Wüste, Berlino 1919; L. Koch, Stratigraphy of Nordwest Greenland, Copenaghen 1920; K. Rasmussen, Grønland lang Polhavet, Copenaghen 1919 (traduzione inglese, New York 1921); id., In der Heimat der Polarmenschen, Lipsia 1922; A. C. Seeward, A Summer in Greenland, Londra 1922; L. Koch, Some new Features in the Physiography and Geology of Greenland, in Journal of Geology, XXXI (1923), pp. 42-65; C. H. Ostenfeld, The Flora of Greenland and its origin, in Kgl. danske Videnskabernes Selskab, Biol. Meddelelser, VI, iii, Copenaghen 1926; K. Rasmussen, The colonis. of Greenland and its hist. until 1929, Londra 1929; A. Wegener, Mit Motorboot und Schlitten in Grönland, Lipsia 1930; W. J. Hutchinson, On Greenland closed Shore, Londra 1930; T. N. Krabble, Greenland, its Nature, Inhabitants and History, Copenaghen e Londra 1930.
Di capitale importanza è la raccolta del Meddelelser om Grønland, edito a Copenaghen dal 1879 in poi. Delle carte, ottime quelle che accompagnano, in forma d'atlante, l'opera danese citata qui sopra. Oggi si dà in luce una carta della Groenlandia settentrionale (scala 1 : 300.000, per opera del Lauge Koch) e tutti gli elementi sono raccolti per la costruzione d'una geologica.