GRIMOALDO
Principe longobardo di Benevento, secondo di questo nome. Alla morte del principe Grimoaldo (I), collocabile ai primi di aprile 806, G., che all'epoca ricopriva l'incarico di "storesaiz" o "stolesaiz", gli successe nel governo del Principato.
Lo "storesaiz" era un funzionario di livello intermedio, con mansioni a oggi non del tutto chiare: forse equivalenti a quelle di tesoriere (quale thesaurarius è detto infatti G. in Erchemperto, p. 237, e negli Ann. Beneventani, p. 113 - in cui è soprannominato "Falco" - e in Chron. mon. Casinensis, p. 593) o a quelle di responsabile del raduno della trustis regia ("storesais" in Chron. Salernitanum, pp. 490, 496; "storesaiz" in Chron. S. Benedicti Casinensis, p. 480; "storesayz" nel Catalogus regum Langobardorum et ducum Beneventanorum, p. 494). Erchemperto (p. 237) riferisce semplicemente che alla morte di Grimoaldo (I), un alter Grimoaldo si occupò di difendere i diritti dei Beneventani, un uomo mite che si impegnò subito a stabilire patti di pace con tutti i popoli vicini, e in particolare con i Franchi e con i Napoletani, cui "donavit pacem". Tuttavia, come in tempi e sedi diverse hanno giustamente rilevato Wickham e Gasparri, furono proprio il ceto di provenienza di G., aristocratico e funzionariale a un tempo, e il legame instauratosi tra la classe sociale da lui rappresentata e il princeps a creare le condizioni che avrebbero favorito la disgregazione del pur non debole Principato longobardo di Benevento. Un aristocratico impegnato nella vita di corte e nei servizi civili e militari a essa connessi poteva infatti aspirare - e il caso di G. dimostra con quale successo - a raggiungere il trono. Sia nella narrazione di Erchemperto, sia nel Chronicon Salernitanum non mancano riferimenti precisi a non pochi funzionari di medio e alto livello dalle forti ambizioni in tal senso.
Grimoaldo (I) non aveva lasciato eredi in quanto suo figlio Godfrith gli era premorto, e quindi G. gli succedette senza problemi; questo maggiormente stupisce se si pensa alle travagliate assunzioni al potere di altri antichi sovrani beneventani. A meno di non mettere in dubbio le peraltro univoche informazioni giunteci, occorre riflettere su tale delicata fase, da G. superata senza scosse. Molto probabilmente le fonti sorvolano - quanto volutamente non è dato di conoscere - sia sulle reali ed evidentemente favorevolissime condizioni politiche in cui avvenne l'elezione di G., sia sul nebuloso ruolo che egli visse alla corte beneventana.
Si è giunti a supporre che G. fosse in qualche modo imparentato con la dinastia di Arechi (II) e Grimoaldo (I), ma senza certezze, a parte, forse - come rileva P. Bertolini -, un vago accenno in proposito nel Chron. Vulturnense (I, p. 354), che potrebbe far pensare a G. come a un nipote di Grimoaldo (I). Certo risulta essere imparentato con il presule salernitano Pietro (820-834) e in rapporti relativamente buoni con le principali istituzioni monastiche della zona: S. Vincenzo al Volturno e S. Benedetto di Montecassino. Inoltre, come già sottolineato, occorre rammentare l'indubbio potere di quel funzionariato minore da cui provenivano non solo G., ma anche quei delegati al controllo di circoscrizioni minori, quali comitati e gastaldati, che anni dopo decideranno di eliminarlo per raggiungere il pieno potere locale.
Del suo tempo sono pochissimi i documenti pubblici nei quali G. appaia protagonista: una concessione a privati del gennaio 808 (O. Bertolini, 1926, p. 30), un'altra forse del settembre 813 (ibid.), e una donazione al monastero di S. Vincenzo al Volturno dell'aprile 810 (Chron. Vulturnense, I, p. 244). Nella documentazione privata il principe appare menzionato solo nella datatio, senza alcuna partecipazione alla stesura degli atti, tutti - a parte due - redatti a Benevento.
È inoltre assai probabile che G. avesse acquisito un notevole prestigio personale per la sua partecipazione alle campagne militari intraprese da Grimoaldo (I) contro i Franchi di Pipino.
I primi anni di governo di G. non dovettero tuttavia essere pacifici se si considera che nell'810 suoi emissari erano particolarmente invisi al popolo (che, a causa di una moria di bestiame, li sospettava di veneficio), e che la pace tra i Beneventani e i Franchi di Pipino prima e di Bernardo poi si concluse - dopo la vittoriosa difesa di G. - solo ai primi dell'812. Fu una pace imposta dai Franchi, un formale riconoscimento della superiorità del potere d'Oltralpe che richiese l'oneroso esborso, da parte di G., di un tributo immediato ai Franchi di 25.000 solidi e di altri 7000 annui. Tale trattato costrinse forse G. - ma si tratta di mere supposizioni - a rinunciare a favore del primo duca spoletino franco, Winigis, ad alcune porzioni marittime del territorio beneventano. Nei primi sei anni del suo principato G. aveva ostacolato con ogni mezzo le armi franche, in linea con la politica degli imperatori bizantini dagli inizi del IX secolo. La forzata pace con i Carolingi, tuttavia, non fece mutare a G. la sua politica di indubbia autonomia da ingerenze franche e bizantine; certo non gli evitò congiure ordite ai suoi danni da sudditi infedeli e ambiziosi.
Un primo tentativo è rammentato da Erchemperto (p. 237): nell'816 un tale Dauferio, "vir spectabilis" - forse con il tacito consenso bizantino (specie del Ducato napoletano) e di locali fazioni filorientali - con altri congiurati tentò di eliminare G. su un ponte nei pressi di Vietri. Il colpo fallì e gli attentatori vennero arrestati. Tra loro non figurava Dauferio che, una volta saputo l'esito dell'operazione, aveva trovato asilo a Napoli. Una spedizione punitiva venne allora prontamente organizzata da G. contro il ribelle e il duca napoletano Antimo. Negli scontri che seguirono Dauferio e l'esercito napoletano furono sconfitti; Antimo fu poi obbligato a versare un pesante tributo di 8000 aurei mentre Dauferio - nonostante le sue pur gravi colpe - venne benevolmente perdonato a dimostrazione, forse, della più che probabile debolezza politica intrinseca del principe.
Nell'817 fu ordita un'altra congiura capeggiata da Radelchi, conte di Conza, e da Sicone, gastaldo di Acerenza; vi parteciparono anche Rothfrit e Potelfrit, figli di Dauferio, insieme con un Agelmundo.
Questa volta il complotto raggiunse lo scopo e G. venne ucciso. Sembra che l'omicidio sia stato materialmente commesso da Agelmundo, probabilmente entro l'estate dell'817, data che pare accettabile se si considera che gli ultimi atti a noi noti datati con gli anni di principato di G. sono compresi tra il gennaio e il maggio di quell'anno (Chron. Vulturnense, pp. 263, 278), mentre il primo documento del suo successore, Sicone, uno dei mandanti del suo assassinio, è datato al novembre dell'817 (O. Bertolini, 1926, p. 100). Gli Ann. Beneventani (p. 173) e la Chron. ducum et principum Beneventanorum (cit. in Capasso, p. 34), riportano, invece, quale anno della morte l'818.
Fonti e Bibl.: Chronica ducum Beneventanorum, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, Hannoverae 1839, p. 212; Chronicon Salernitanum, ibid., pp. 483, 489-496, 499 (capp. 23, 38-51, 56); Annales Cavenses, ibid., p. 188; Annales Beneventani, ibid., p. 173; Leo Marsicanus, Chronicon monasterii Casinensis, a cura di G. Wattenbach, ibid., VII, ibid. 1846, p. 593 (cap. 18); Annales Regni Francorum, a cura di G.H. Pertz - F. Kurze, ibid., Script. rerum Germanicarum, VI, ibid. 1895, pp. 132, 141; Chronica S. Benedicti Casinensis, Incipit cronica Langobardorum seu monachorum de monasterio sanctissimi Benedicti, a cura di G. Waitz - L. Bethmann, ibid., Script. rerum Germ. et Ital. saec. VI-IX, ibid. 1878, pp. 201, 480; Duces Beneventi, ibid., p. 487; Catalogus regum Langobardorum et ducum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, ibid., p. 494; Erchempertus, Historia Langobardorum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, ibid., pp. 237, 240 (capp. 7-8, 13); Gesta episcoporum Neapolitanorum, ibid., p. 428 (cap. 51); K. Voigt, Beiträge zur Diplomatik der langobardischen Fürsten von Benevent, Capua, Salerno (seit 774), Göttingen 1902, nn. 32, 35 s.; R. Poupardin, Les institutions politiques et administratives des Principautés lombardes de l'Italie méridionale, Paris 1907, nn. 14, 17 s.; Catalogus Beneventanus S. Sophiae, a cura di O. Bertolini, in GliAnnales Beneventani. Contributo allo studio…, in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano, XLII (1923), pp. 113, 160; "Chronicon Vulturnense" del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LVIII-LIX, Roma 1925, I, pp. 243 s., 253 s., 257, 262 s., 267, 270 s., 273, 278, 354; II, p. 272; O. Bertolini, I documenti trascritti nel "Liber preceptorum Beneventani monasterii S. Sophiae (Chronicon S. Sophiae)", in Studi di storia napoletana in onore di M. Schipa, Napoli 1926, nn. 26 s. p. 30; A. Gallo, Il più antico documento originale dell'Archivio di Montecassino, in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano, XLV (1929), pp. 163 s.; E. Gattola, Ad historiam abbatiae Cassinesis accessiones…, I, Venetiis 1734, pp. 21, 28 s., 33 s., 97; A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli nella mezzana età, III, Napoli 1797, n. 2 p. 236; B. Capasso, Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia, I, Napoli 1881, pp. 60, 71; O. Bertolini, Carlomagno e Benevento, in Karl der Grosse. Lebenswerk und Nachleben, I, Düsseldorf 1965, pp. 666-671; N. Cilento, Il falsario della storia dei Longobardi meridionali: Francesco Maria Pratilli (1679-1763), in Id., Italia meridionale longobarda, Milano-Napoli 1966, pp. 31 ss., 36 (sulla Cronaca dello Pseudo Ubaldo); P. Bertolini, Studi per la cronologia dei principi langobardi di Benevento: da Grimoaldo I a Sicardo (787-839), in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano, LXXXVIII (1968), pp. 36-58; V. Gleijeses, La storia di Napoli, I, Napoli 1974, p. 157; E. Garms Cornides, Die langobardischen Fürstentitel (774-1077), in Intitulatio, II, Lateinische Herrscher- und Fürstentitel im neunten und zehnten Jahrhundert, Wien-Köln-Graz 1975, pp. 358 ss.; P. Delogu, Mito di una città meridionale (Salerno, secoli VIII-XI), Napoli 1977, pp. 78 s., 82-86, 90; J.M. Martin, Eléments préféodaux dans les Principautés de Bénévent et de Capoue (fin du VIIIe siècle - début du Xe siècle): modalités de privatisation du pouvoir, in Structures féodales et féodalisme dans l'Occident mediterranéen, Roma 1980, pp. 563, 566; V. von Falkenhausen, I Longobardi meridionali, in Storia d'Italia (UTET), III, Torino 1983, ad ind.; C. Wickham, L'Italia nel primo Medioevo. Potere centrale e società locale (400-1000), Milano 1983, pp. 205 s.; S. Gasparri, Il Ducato e il Principato di Benevento, in Storia del Mezzogiorno, II, 1, Napoli 1988, pp. 109, 112-114, 362; O. Capitani, Storia dell'Italia medievale, Roma-Bari 1992, p. 113; J.M. Martin, La Pouille du VIe au XIIe siècle, Roma 1993, pp. 180, 189, 191, 214, 219, 227, 233 s., 241, 245, 248; S. Palmieri, Duchi, principi e vescovi nella Longobardia meridionale, in Longobardia e Longobardi nell'Italia meridionale. Le istituzioni ecclesiastiche. Atti del 2° Convegno internazionale di studi promosso dal Centro di cultura dell'Università cattolica del Sacro Cuore, Benevento, … 1992, Milano 1996, pp. 72, 83; H. Houben, Potere politico e istituzioni monastiche nella "Langobardia minor" (secoli VI-X), ibid., pp. 183, 189 s.; A. Vuolo, Agiografia beneventana, ibid., p. 220; G. Albertoni, L'Italia carolingia, Roma 1997, p. 31; N. Christie, I Longobardi. Storia e archeologia di un popolo, Genova 1997, pp. 181, 189; T.F.X. Noble, La Repubblica di S. Pietro. Nascita dello Stato pontificio (680-825), Genova 1998, p. 173; P. Cammarosano, Nobili e re. L'Italia politica dell'Alto Medioevo, Roma-Bari 1998, pp. 140, 149.