GRIMOALDO
Principe di Benevento, primo di questo nome, era figlio del duca Arechi (II) e di Adelperga, figlia di Desiderio, re dei Longobardi, un'unione che avrebbe fortemente contribuito a indirizzare la politica del giovane principe. Suo padre era salito al trono ducale verso la fine degli anni Cinquanta dell'VIII secolo, poco meno di vent'anni prima della caduta del Regnum Langobardorum a opera di Carlo Magno.
Gli anni della giovinezza di G. - la cui data di nascita potrebbe essere collocata entro il settimo decennio del secolo - furono segnati dal progressivo deterioramento dei rapporti con il re franco.
Il padre di G. aveva contribuito a rinnovare e a potenziare il potere ducale ponendosi per molti aspetti sullo stesso piano di una figura regia con tutto quello che ciò implicava, e non solo nel quadro di una politica tradizionalmente indipendentistica dal Regnum. Aveva infatti radicalmente mutato il valore della sua titolatura da ducale a principesca, esprimendo così un più alto senso della propria autorità e imponendosi quale effettivo erede della tradizione regia longobarda. Sue dunque erano le nuove, altisonanti definizioni del potere quasi-regio in area beneventana dal 774; e sempre sue furono le migliorie legislative che con un predicato, sia pure non propriamente regio, apportò al già cospicuo corpus di leggi emanate dai re longobardi. Migliorie, che - sebbene inquadrate in un contesto storico-geografico relativamente ristretto e in un panorama politico particolare - furono pur sempre pensate in una prospettiva che, va ribadito, era decisamente quasi-regia. Riforme in linea con l'aulico programma e con la nuova coscienza principesca beneventana vennero attuate anche in campo monetario, nei rapporti con l'episcopato locale e la Chiesa romana, negli usi cancellereschi e nel cerimoniale di corte.
Studi recenti (Albertoni, p. 23; Gasparri, p. 110) hanno ribadito l'estraneità dei Beneventani alla sfortunata sommossa antifranca del 776, anche se l'assenza di prove, nelle fonti documentarie e cronachistiche, di una complicità del padre di G. non basta certo a fugare tale sospetto. Tuttavia, l'orgogliosa insofferenza del Ducato meridionale nei confronti del potere franco doveva apparire una vera e propria sfida. Carlo d'altra parte, pressato dalle richieste di intervento della Chiesa di Roma, si accordò anticipatamente con papa Adriano I per la donatio di quell'area al Patrimonium S. Petri. Per mantenere un certo equilibrio politico-territoriale locale raggiunse inoltre un'intesa con i Bizantini e, infine, con l'indipendente Ducato napoletano. Nel 787 Carlo, benché forse non del tutto convinto a invadere il Beneventano, territorio che nel complesso mosaico di dominazioni in area meridionale poteva servirgli da cuscinetto, specie nei confronti dell'Impero orientale, dopo una rapida avanzata raggiungeva il Ducato apprestandosi a occuparlo. Arechi, per scongiurare rappresaglie franche, inviò sia doni al nemico sia, quali ostaggi, due suoi figli: G. e Adelchisa (il Poeta Saxo, Vita, II, ad annum 786, si riferisce invece all'invio di G. e di suo fratello Romualdo). La fedeltà giurata del duca al sovrano poneva momentaneamente fine alle ostilità con i Beneventani. Anche Carlo auspicava questa pace sia perché si era imbattuto in una decisa quanto inaspettata resistenza dei Longobardi di Capua, sia in quanto temeva, e con ragione, un'assai prossima ribellione dei Bavari del duca Tassilone (III). Si trattava di episodi che, se concomitanti, avrebbero reso problematica la difesa, se non la permanenza, di truppe franche in Italia, intrappolate tra due fronti nemici.
Pochi mesi dopo, nell'agosto 787, Arechi moriva lasciando vacante il trono per la prematura scomparsa di suo figlio Romualdo (luglio 787) che avrebbe dovuto succedergli. G., che nel frattempo era stato condotto da Carlo alla corte di Aquisgrana, ottenne dal re franco di poter tornare a Benevento, dove la reggenza era stata presa da Adelperga, esaudendo così le reiterate richieste di lei e dei locali magnates in tal senso. G., a questo scopo, dovette giurare fedeltà a Carlo facendo giurare anche il suo popolo e promettendo altresì, una volta giunto in patria, di porre il nome del sovrano franco sui diplomi e le monete che avrebbe emesso.
Tra le condizioni di Carlo cui G. non acconsentì una volta giunto in patria con l'incarico di amministrare il Principato - non è noto se per legame vassallatico - ci furono invece il taglio della barba ai suoi uomini e l'abbattimento delle mura di Salerno, Conza e Acerenza anche se va osservato che non si è certi, per quest'ultimo punto, della bontà delle fonti e dell'eventuale accoglimento di tale proposta da parte del principe.
Giunto a Benevento, G. inaugurò il suo governo rendendo grazie in cattedrale; l'inizio del suo principato è collocato concordemente (da Di Meo a Schipa, da P. Bertolini a Gasparri) nel maggio del 788, come appare dalla datazione del primo diploma da lui emanato, ma questa data non trova riscontro negli annali e nelle cronache locali che pure descrivono gli avvenimenti del tempo. Né Erchemperto infatti, né gli Annales Beneventani, né Romualdo Salernitano né il Chronicon Salernitanum offrono chiari ragguagli sul preciso momento in cui G. pervenne al potere. È stato giustamente supposto, al riguardo, che, tacendo i particolari dell'assunzione al trono di G., si evitava abilmente di chiarire il ruolo decisivo ricoperto al proposito dal sovrano franco (P. Bertolini, pp. 34 ss.).
G. optò per il temporaneo mantenimento di una linea politica che, per quanto possibile autonoma, pur nella formale dipendenza dai Franchi, in breve lo rese ostile alle ingerenze papali e a quelle bizantine. Il papa Adriano I, dal quale si erano recati in ambasceria alcuni longobardi capuani restii a sottomettersi a Carlo, aveva nel tempo chiaramente fatto intendere, con la sua politica genericamente antilongobarda ancor più che filofranca, di avere delle mire verso i territori della Campania, tra il Liri e il Volturno. D'altra parte G., sottomettendosi ai Franchi e favorendone la politica, aveva in un certo senso reso più difficile quell'espansione a Sud cui il Papato avrebbe invece mirato, specie stando alle promesse e agli accordi con Carlo Magno, stipulati a metà degli anni Settanta.
Nel 788, durante il suo primo anno di principato, G. ebbe occasione di adempiere fattivamente al giuramento di fedeltà a Carlo. Il re franco aveva infatti rifiutato la proposta della corte orientale, che avrebbe desiderato ottenere per promessa sposa del giovane imperatore Costantino VI una delle figlie di Carlo Magno. Lo sdegno bizantino sfociò in una spedizione punitiva organizzata ai danni di alcuni territori ormai franchi, come quelli beneventani. G. si impegnò vigorosamente a favore dei Franchi contro i Bizantini, particolarmente in Calabria.
Probabilmente verso il 791, con una politica oscillante nelle sue alleanze, G. si unì in matrimonio con Ewanzia che, per Erchemperto (cap. 5; Chronicon Salernitanum, cap. 13), sarebbe stata una nipote dell'imperatore Costantino VI, mentre in realtà era cognata di quest'ultimo. L'unione tuttavia, è bene sottolinearlo, coronava un più articolato progetto di politica matrimoniale che era stato pianificato e parzialmente concordato, a suo tempo, dal padre di G. con l'imperatore d'Oriente. È altresì da rimarcare, nella disinvolta politica estera di G., il tentativo, momentaneamente riuscito, di scollare il Principato beneventano dall'orizzonte piatto di un'alleanza con la Corona franca, alleanza che sarebbe comunque stata senza speranze di autonomia.
Da quel momento (791) cominciarono le incursioni franche in territorio beneventano ma, come è stato ampiamente posto in rilievo dall'attuale storiografia, si trattò di una serie di scaramucce senza gravi conseguenze per i contendenti. In un primo scontro G. ebbe facilmente la meglio sulle truppe condotte da Winichis, duca franco di Spoleto che, dopo una rapida penetrazione tra Abruzzo e Molise con l'occupazione dei gastaldati di Chieti e Ortona, venne fermato e catturato da G. a Lucera.
Dall'unione con Ewanzia almeno per qualche tempo si ebbe un riavvicinamento alla corte orientale ma, come non manca di sottolineare Erchemperto (cap. 5, che tuttavia non chiarisce i motivi di un probabile disagio nella coppia), tra i due coniugi in pochi anni (forse nel 795) l'amore si trasformò in odio. Il ripudio di Ewanzia avvenne probabilmente durante i continui scontri con i Franchi. Era stato reso possibile, sempre secondo Erchemperto, dall'occasio, realistica, dell'opposizione d'Oltralpe all'unione di G. con la principessa bizantina, fatto che parve un chiaro riavvicinamento beneventano alla corte orientale. Forse il ripudio, cui già era ricorso l'imperatore, che a sua volta aveva lasciato la moglie (sorella di Ewanzia) per risposarsi, significò per G. la possibilità di far cessare le incursioni franche (ibid., dove acutamente si rileva la sua astuzia). G. mirava così al duplice riconoscimento, e dei Carolingi e di Costantino VI, per l'ossequio dimostrato a entrambe le corti. Narrando delle ostilità tra G. e i Franchi (in Italia ormai sotto la guida di Pipino), la partecipazione emotiva di Erchemperto, sebbene scrivesse a distanza di circa un secolo dagli avvenimenti, è fortissima: è palese il suo entusiasmo per l'indipendentismo dimostrato da G. quando usa, in senso partecipativo, la prima persona plurale (cap. 6). Non mancarono momenti di maggiore tensione quando alle azioni di guerriglia - perché di questo realmente si trattava - da parte franca parteciparono anche Pipino e Ludovico, figli di Carlo Magno (probabilmente nel 793, e ancora tra l'800 e l'801). L'entusiasmo per la fermezza di G. che risalta nelle pagine di Erchemperto non corrispose, nei fatti, a un sostanziale mutamento della situazione, che si mantenne più o meno invariata, in una sorta di stallo nel panorama politico meridionale.
La tensione antifranca aveva caratterizzato i suoi circa diciotto anni di principato, dal maggio del 788 all'aprile dell'806, quando, morendo senza lasciare eredi diretti, gli succedette il suo "storesaiz" (probabilmente il tesoriere), Grimoaldo, che proseguì decisamente la linea politica del suo predecessore cercando di mantenere indipendente il Principato dall'ormai esteso dominio dei Carolingi.
Quella della morte di G. è un'altra data che ha dato origine, dal Settecento a oggi, a una serie di complicate riflessioni sulla cronologia ducale-principesca beneventana, senza che tuttavia siano mai state rilevate delle particolari variazioni, se non nel riferimento al giorno della settimana o al mese.
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