Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Ai primi anni del Seicento risale un corpus di composizioni di autori inglesi che accolgono nella cornice della fantasia per consort di viole uno straordinario numero di grida di venditori di piazza e alcune canzoni popolari. Sebbene la presenza di tale materiale sia il motivo principale del nostro interesse per questi brani, non va dimenticata la loro natura di composizioni d’arte e di raffinata elaborazione contrappuntistica le cui regole hanno facilmente il sopravvento sulla fedele riproduzione del dettato popolare.
Gli autori
L’utilizzo di grida di venditori in composizioni d’arte ha molteplici precedenti storici. Se ne trovano tracce già in alcuni mottetti francesi del XIII secolo, nelle cacce del Trecento, nei canti carnascialeschi e nelle mascherate del Rinascimento italiano e soprattutto nella tradizione del quodlibet, con le sue numerose varianti nazionali.
Un precedente diretto, almeno per quanto riguarda l’aspetto testuale, potrebbe essere indicato nelle due fricasseés di Clément Janequin e Jean Servin dedicate alle grida parigine, Le cris de Paris, e Fricasseé des cris de Paris, composte nella seconda metà del XVI secolo.
La fortuna del quodlibet utilizzante le grida continua per tutto il XVII secolo. All’inizio del Settecento l’interesse per la figura dei venditori ambulanti invade in Inghilterra anche l’ambito artistico con la pubblicazione da parte di Pierce Tempest di una raccolta di stampe ispirate ai venditori ambulanti londinesi intitolata The Cryers of the City of London.
Orlando Gibbons, Richard Dering, Thomas Weelkes sono gli autori più celebri tra coloro che, tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, contribuiscono alla breve fortuna di un tipo particolare di consort song caratterizzato dall’innesto su una fantasia violistica di grida e canzoni popolari raccolte nelle strade londinesi. Gibbons e Weelkes scrivono entrambi una composizione dal titolo comune The cries of London, mentre Dering è autore di un brano indicato nelle fonti come The city cries in opposizione a una analoga composizione intitolata The country cries, in cui, oltre alle grida e ai canti popolari del contado, egli inserisce versi di animali, scene familiari, scene di caccia, il tutto in un linguaggio verbale ricco di elementi dialettali. A questo gruppo va aggiunto un anonimo The cry of London la cui tradizione manoscritta è strettamente intrecciata a quella della composizione di Gibbons.
La fortuna di queste composizioni, che al pari di gran parte della produzione musicale inglese coeva non conosce edizione a stampa, è comunque attestata dall’elevato numero di copie manoscritte che ce le hanno tramandate, talora con varianti musicali o testuali considerevoli.
Repertorio popolare e rielaborazione colta
In campo più strettamente musicale, nel periodo di fioritura del repertorio in esame, l’interesse per l’elemento popolare è attestato in Inghilterra soprattutto dalle raccolte di catches e composizioni di ispirazione tradizionale (incluse grida di venditori) pubblicate da Thomas Ravenscroft. Alcuni dei testi e delle musiche raccolti in queste pubblicazioni, fossero o meno attinti alla tradizione orale, si ritrovano tuttora nel repertorio popolare anglo-americano.
Ma mentre le composizioni raccolte da Ravenscroft sono pure destinate a un pubblico popolaresco, nonostante la citazione del repertorio della piazza i consort songs di Gibbons, Dering, Weelkes appaiono senz’altro il prodotto di un gioco colto, di una raffinata sapienza compositiva rivolto a un pubblico d’élite. Il ricorso all’elemento popolare indigeno si coniuga col tentativo di rivitalizzare il genere musicale vocale profano d’arte più schiettamente inglese, in un panorama musicale nazionale ampiamente dominato dalle forme del madrigale e dell’aria pervoce e liuto di importazione o di influenza continentale.
La composizione di Gibbons è, stando al numero delle fonti che ce l’hanno tramandata, la più fortunata dei London cries ed è quella dove meglio possiamo osservare l’integrazione della materia popolare nel progetto compositivo colto.
Si tratta di una fantasia per cinque voci e viole (Soprano, Contralto, due Tenori e Basso) divisa in due parti che accolgono complessivamente una ottantina di grida e canzoni, quest’ultime in numero peraltro limitato. Le parti vocali non sono distinte da quelle strumentali. Le grida sono esposte secondo un principio di alternanza tra le diverse voci; al loro ingresso esse si “innestano” sulle parti strumentali che ne svolgono un raddoppio.
Il procedimento è comune alle composizioni di Dering e dell’anonimo mentre quella di Weelkes, verosimilmente anteriore, utilizza un’unica parte vocale acuta accompagnata dal quartetto delle viole.
La sovrapposizione di grida diverse ricorre solo eccezionalmente in Dering e Gibbons che amano comunque fornire continuità agli interventi vocali incastrando l’inizio di una grida alla fine della precedente. Alla ricostruzione realistica “del paesaggio sonoro” della piazza mediante l’esecuzione simultanea delle grida è dunque preferita una loro esposizione astrattamente musicale o, se vogliamo, l’idea di una teatrale sfilata di criers.
Melodie liturgiche e grida
Le grida non sono l’unico materiale preesistente utilizzato nella composizione di Gibbons. Questa è in effetti un doppio In nomine dal momento che entrambe le sezioni utilizzano nella parte del Contralto il cantus firmus derivato dall’antifona Gloria tibi trinitas, la cui citazione è pure inframmezzata dalle grida.
Certo Gibbons non concepisce l’unione di melodia liturgica e grida volgari come contaminazione di sacro e profano. I materiali utilizzati hanno qui una valenza prettamente musicale, sono i tasselli di un raffinato e sapiente gioco compositivo tipico sia del quodlibet, sia dello sperimentalismo compositivo del genere In nomine.
La funzione musicale dei due elementi è differente: il cantus firmus in note lunghe, difficilmente riconoscibile all’ascolto, ha valore strutturale profondo, fornendo una guida all’andamento libero della fantasia. Le grida costituisco invece elementi “di superficie” con funzione di riempimento e di decorazione della costruzione polifonica. La loro presenza acustica e la loro riconoscibilità sono essenziali, ma esse si trovano esposte a possibili adattamenti alla struttura contrappuntistica.
Le grida di Londra
La parte iniziale della composizione di Gibbons risulta sufficientemente rappresentativa del genere nel suo complesso. I diversi criers sono introdotti spesso per categorie (i venditori di pesce, venditori di frutti del bosco, venditori di ortaggi).
Oltre ai venditori troviamo prestatori d’opera e, più oltre nella composizione, questuanti.
Per quanto, confortati da concordanze con la tradizione orale odierna, si debba ammettere che le grida utilizzate in questa e nelle altre composizioni derivino effettivamente dal repertorio comunicativo della strada, ci sono dei limiti alla possibilità di considerare questi consort songs come documenti etnografici dell’epoca.
La ricorrenza nelle varie composizioni di grida con testo e intonazione musicale uguali o simili, non può automaticamente significare, come spesso è stato affermato, che tali composizioni abbiano come fonte comune il repertorio comunicativo popolare: il fatto dimostra certamente l’utilizzo di materiale non originale, ma, ammessa l’esistenza di una fonte popolare a monte, nulla ci consente di escludere che prestiti siano avvenuti tra le stesse composizioni d’arte una volta diffusasi la moda del genere.
Che gli autori avessero presente le composizioni altrui pare assodato dalla presenza non tanto di grida uguali o simili, ma di accorgimenti retorici affini nella distribuzione del materiale. L’altro dato da considerare riguarda i criteri di trascrizione delle grida: fino a che punto esse sono state sottratte a una possibile indeterminazione ritmica e d’intonazione e melodizzate? Ammessa una derivazione dalla fonte popolare, ci si può chiedere quanto le varianti ritmiche e melodiche riscontrabili tra le stesse grida in brani diversi riflettano esecutori o esecuzioni differenti e quanto invece questo adattamento sia avvenuto in fase di trascrizione.
Più dell’assoluta identità, tipica della tradizione scritta, è in effetti la presenza di varianti testuali e musicali che fa percepire il contatto con modalità proprie della comunicazione popolare. Tuttavia, mentre da un lato non possiamo effettuare una verifica delle varianti nelle fonti orali, dall’altro sappiamo invece per certo che interventi sul materiale popolare sono imputabili all’adattamento al contesto contrappuntistico. Il tentativo di recuperare il dettato originale attinto dalla voce della piazza risulta in definitiva compito assai difficile.
È però possibile individuare per le grida alcuni modelli ricorrenti di intonazione e, contestualmente, osservare il modo in cui tali modelli vengono alterati per esigenze di trattamento contrappuntistico.
I modelli
Il modello più semplice e diffuso corrisponde a una intonazione recitativa su un’unica nota, che può talora arricchirsi di una prosodica ascesa e/o caduta alla e dalla corda di recita nei punti di articolazione del testo, o di un accentuativo salto all’acuto in corrispondenza di una parola chiave. Gli esempi possono essere presi da Weelkes e Dering e testimoniano uno dei tanti casi di concordanza tra due autori nonché l’applicabilità di un modello di intonazione simile a testi differenti.
Questo tipo di recitazione è usata per intonare la grida burlesca del banditore che offre una ricompensa in cambio di notizie su una persona o un’asina (mare che in inglese significa anche “fandonia”) scomparsa il “31 febbraio”, un numero fisso che ricorre in tutte le composizioni prese in esame, praticamente identico in Weelkes e Dering.
Un altro ricorrente modello di intonazione si basa su un singolo intervallo, molto spesso di terza minore o di quarta. L’intervallo può essere riempito da note di passaggio o fungere da fulcro per movimenti melodici di volta all’esterno.
In modelli di intonazione più elaborati si osserva una assoluta prevalenza di profili melodici discendenti. Tuttavia nel caso, frequentissimo, in cui il testo della grida ripeta alla fine la parola iniziale, la melodia ritorna analogamente alla nota acuta di partenza.
In altri esempi, che possiamo ugualmente trarre da The cries of London di Gibbons, osserviamo altri casi di deformazione derivanti dall’integrazione delle grida nel contesto contrappuntistico.
In conclusione, mentre queste composizioni attraggono il nostro interesse e ci affascinano per la possibilità che ci offrono di gettare uno sguardo, o meglio di cogliere il suono della musica popolare del tempo, non dobbiamo dimenticare che nelle intenzioni del compositore dell’epoca esse sono in primo luogo composizioni d’arte, concepite per un pubblico colto, dove il repertorio della strada è pretesto per il cimento di abilità compositiva e non oggetto di registrazione documentaria.