GREGORIO
Di origine probabilmente lucchese, nacque intorno agli anni Ottanta del secolo XI. Nel primo documento a noi noto G. compare in qualità di arcidiacono della cattedrale di Lucca, il 5 sett. 1109. Poco tempo dopo fu creato cardinale prete del titolo di S. Crisogono: come tale compare infatti tra i sedici cardinali che attorniarono il pontefice Pasquale II e che, il 4 apr. 1111, sottoscrissero con la controparte imperiale gli "accordi di ponte Mammolo". Esponente di rilievo della Curia pontificia, G. figura in due atti emanati in Laterano, rispettivamente l'11 maggio 1112 e il 2 genn. 1113. I pochi dati certi su G. lo vedono quindi fra i testimoni e i protagonisti dei turbolenti avvenimenti degli anni 1110-13, al fianco di Pasquale II.
Il 15 febbr. 1113 compare in un documento redatto a Benevento; il 15 settembre svolgeva la funzione di legato pontificio a Lucca, dove morì il 30 nov. 1113, come attesta un necrologio della locale cattedrale (cfr. Ebner).
La discesa in Italia di Enrico V aveva infatti portato al concordato di Sutri, siglato il 9 febbr. 1111, con il quale il futuro imperatore rinunciava a ogni prerogativa sulle investiture ecclesiastiche, lasciando libere le Chiese non di pertinenza del Regno e restituendo altresì al pontefice i patrimoni e i possessi di S. Pietro. Il 12 febbr. 1111, però, quando il pontefice diede pubblicamente lettura del trattato, le reazioni negative da parte dei principi ecclesiastici e di quelli secolari suscitarono l'intervento armato dei fedeli di Enrico V e il pontefice, insieme con un certo numero di cardinali fra i quali doveva esservi anche G., fu allontanato sotto scorta imperiale da Roma. Dopo due mesi il papa cedette sottoscrivendo i già ricordati accordi di ponte Mammolo, resi pubblici subito dopo quando, il 13 apr. 1111, incoronando Enrico V, Pasquale II concesse il Privilegium de investituris, col quale veniva confermata all'imperatore la facoltà di conferire l'investitura ai vescovi e agli abati, purché liberamente eletti. Il papa promise inoltre che Enrico V non sarebbe mai stato colpito da scomunica per aver messo le mani sul pontefice e sui cardinali.
Il sinodo Lateranense del marzo 1112 avrebbe in seguito dichiarato però nullo l'accordo e il privilegium, in quanto estorto al papa, fu detto pravilegium (Constitutiones, p. 572). Tuttavia, per rispetto al giuramento del papa, all'imperatore Enrico V fu risparmiata la scomunica, non senza che, per tale ragione, la polemica divampasse negli ambienti ecclesiastici, sia in Italia sia Oltralpe, rinvigorendo la controversia sulle investiture e allontanando una soluzione di compromesso, che sarebbe stata raggiunta solo nel 1122, dopo la morte di Pasquale II e l'elezione di Callisto II. Il primo concilio generale Lateranense del 1123 ratificò infine il nuovo stato di cose.
Il pontificato di Pasquale II e le vicende drammatiche della sua contesa con Enrico V costituiscono l'ambito in cui maturò la rapida trasformazione dell'ecclesiologia e insieme delle istituzioni ecclesiastiche agli inizi del sec. XII. Si deve al riguardo ricordare l'evoluzione della Curia romana verso l'istituzionalizzazione delle funzioni di governo, così come quella, altrettanto rapida, dei tre ordini di cardinali verso la formazione del Sacro Collegio, che concorreva con il pontefice al governo della Chiesa universale. Fu allora che si attuò "il passaggio dalle funzioni essenzialmente liturgiche dei vari ordini di vescovi, preti e diaconi cardinales - i quali assistevano in diverso grado il vescovo di Roma nelle celebrazioni liturgiche - a funzioni sempre più esclusivamente relative alla vita della chiesa universale" (G. Alberigo, Cardinalato e collegialità. Studi sull'ecclesiologia tra l'XI e il XIV secolo, Firenze 1969, pp. 14 s.).
Non è stata forse fino a oggi sufficientemente sottolineata l'importanza della corrispondenza fra l'evoluzione istituzionale del cardinalato (soprattutto a partire dalla creazione di cardinali non romani, nel 1057) e la contemporanea evoluzione dottrinale in ambito ecclesiologico e giuridico-politico. Non è senza significato che proprio dall'interno del Collegio dei cardinali di Pasquale II, e proprio da un cardinale non romano come G., provenga una delle prime compilazioni canoniche, ad aprire la strada che avrebbe rapidamente condotto alla sistemazione normativo-dottrinale grazianea della metà del secolo XII. A G. si deve infatti la compilazione di una delle più importanti collezioni canoniche pregrazianee, in otto libri, il Polycarpus. Il titolo, alla greca, si deve allo stesso G., che nel prologo dedicato al vescovo compostellano Diego Gelmírez, presente a Roma nel 1104, spiega di voler così indicare "convenienter" le ragioni e i modi di una difficile composizione compendiosa, seriatim ordinata, "opus arduum ac supra vires meas […], librum canonum scilicet, ex Romanorum pontificum decretis, aliorumque sanctorum Patrum auctoritatibus, atque diversis authenticis conciliis utiliora sumens" (Epistola nuncupatoria).
G. vi raccolse 1540 canoni, attingendo a varie collezioni, fra le quali la Dionysio-Hadriana, l'Hispana, le decretali pseudoisidoriane, il Registrum di Gregorio VII, il Decretum di Burcardo di Worms, le Sententiae diversorum patrum, la Collectio canonum di Anselmo da Baggio, oltre che alla tradizione romanistica rinascente (la sua compilazione contiene anche frammenti tratti dal Digesto di Giustiniano) e da altri florilegi patristici.
Il libro I è articolato in 27 titoli, tutti relativi al primato del pontefice e ai privilegi della Chiesa di Roma. L'aspetto formale di questo primo libro richiama dunque immediatamente, sia nel numero delle rubriche sia nel contenuto, il Dictatus papae di Gregorio VII, mostrando la stretta relazione della compilazione con le preoccupazioni e le tensioni della fase tarda della riforma gregoriana. Il testo si presenta insomma come un compendio dell'ecclesiologia gregoriana, di grande importanza per la storia del pensiero giuridico e politico del primo XII secolo.
Il secondo libro si articola in 38 titoli (sull'elezione canonica e sulla dignità dell'ordine ecclesiastico), il terzo ne comprende 30 (sui riti e sulla disciplina degli ordini regolari), il quarto 40 (sui vescovi e sui delitti degli ecclesiastici), il quinto 8 (sulla procedura), il sesto 23 (sui laici e sul matrimonio), il settimo 16 (sulle censure ecclesiastiche) e l'ottavo 10 (sulle sepolture e sulle pene eterne).
Uwe Horst in tempi recenti ha ricostruito dettagliatamente la storia delle prime ricerche sul Polycarpus, a partire dai De emendatione Gratiani dialogorum libri II di Antonio Agustín (Tarracone 1587) e dalle successive note dei teologi-giuristi secenteschi come D. Blondel, J. Doujat e C. Oudin, fino ai contributi dell'erudizione settecentesca che notarono come la riemersione dall'oblio della compilazione di G. si dovesse all'opera dei correttori dell'edizione romana del Decretum di Graziano. Lo stesso Theiner giudicò il Polycarpus di utile lettura "ad emendandum Gratiani decretum in iis, quae in Anselmo opere desiderantur et a nostro auctore adjecta sunt" (p. 341).
La notevole diffusione dell'opera, conosciuta innanzi tutto per il testo tramandato dal manoscritto della Bibl. apostolica Vaticana Vat. lat. 1354 e della quale si conservano oggi undici manoscritti del XII e dell'inizio del XIII secolo (cfr. Horst, pp. 12 s.), attesta una non disprezzabile influenza sulla formazione di opere come il De misericordia et iustitia di Algero di Liegi e della stessa Concordia discordantium canonum di Graziano.
La data di composizione della collezione, stabilita dal Fournier agli anni 1104-06, è stata postdatata al 1111 da Horst, che vi ha scoperto allusioni e richiami agli avvenimenti di quell'anno (in particolare per il trasparente rimando agli accordi di ponte Mammolo e alle polemiche che ne derivarono), e ne ha studiato la struttura, le relazioni con le collezioni precedenti, la tradizione manoscritta e la fortuna successiva.
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