NARO, Gregorio
– Nacque a Roma il 24 ottobre 1581 da Fabrizio e da Olimpia Lante.
L’ascesa della famiglia va collocata nel XIV secolo: il fatto che Paolo Naro, nel 1385, ricoprì l’ufficio di Conservatore del Comune di Roma lascia intendere che il lignaggio fosse compreso fra quelli eminenti almeno sin dalla metà dello stesso secolo. Di sicuro, nei decenni centrali del Cinquecento, i Naro erano bene inseriti nella vita economica della città (come locatori immobiliari e proprietari di tenute agricole) e si erano divisi in due rami: uno ancora legato all’insediamento originario nel rione di Campo Marzio, un altro invece trasferitosi nel rione Sant’Eustachio. Fabrizio era appunto il capofamiglia dei Naro di Sant’Eustachio: possedeva a Roma almeno 22 immobili, 4 casali e una locanda con orti fuori le mura aureliane, un palazzo e altri appezzamenti di terre a Capranica, più una discreta quantità di titoli di credito pubblico (luoghi di monte). Dal suo diario apprendiamo che il figlio Gregorio, in tenera età (cioè il 5 agosto 1584), aveva ricevuto da Vincenzo Cosciari una donazione «de non so che robba inter vivos» (Ricordi e memorie fatte dall’Illustrissimo Sig.r Fabritio Naro seniore, in Arch. segreto Vaticano, Arch. Patrizi-Montoro, lettera C, Arm. I, t. 29, c. 695v).
Sebbene perdesse la madre già il 5 dicembre 1585, la parentela con i Lante fu decisiva per la carriera di Naro. Dopo aver avuto alcuni incarichi nelle istituzioni del Comune romano (fu maresciallo del Popolo Romano nel 1601 e caporione di Sant’Eustachio nel 1603 e nel 1606) e laureatosi in utroque iure a Perugia nel 1605, si trovò con l’elezione di Paolo V in una posizione di tutto rispetto: il fratello del papa Giovan Battista Borghese aveva infatti sposato Virginia Lante, sorella di Olimpia. Un altro zio materno di Naro, Marcello Lante, fu creato cardinale l’11 settembre 1606. Nel contempo, il padre di Naro utilizzava le sue competenze nel campo degli affari per sostenere il consolidamento della famiglia Borghese: nel 1608, infatti, una mediazione di Fabrizio Naro facilitò l’acquisizione di Montefortino (l’odierna Artena) da parte del cardinale Scipione Caffarelli Borghese. I frutti di questo contesto favorevole all’ascesa di Naro non si fecero attendere: nel 1609 ottenne il grado di referendario di entrambe le Segnature; quindi, con l’aiuto economico del padre Fabrizio acquistò un ufficio di chierico della Camera apostolica, carica venale che valeva alcune decine di migliaia di scudi. La bolla papale di nomina fu spedita in data 13 marzo 1616.
Iniziò così una stagione densa di impegni nella Curia pontificia per Naro (essendo stato nominato anche protonotario apostolico partecipante, ma in data che non è possibile precisare). Nel 1618 fu estratto fra i chierici della Camera apostolica come praesides seu praefectus archiviorum, carica annuale che soprastava alla riforma degli archivi notarili dello Stato ecclesiastico (Bologna e Roma escluse), varata da Sisto V nel 1588 ed emendata da Gregorio XIV nel 1591.
Durante il pontificato di Gregorio XV mantenne la sua posizione di attivo amministratore. Fu nominato segretario della congregazione dei Baroni, incaricata di tutelare i diritti soggettivi dei creditori contro i baroni insolventi o morosi. Nel contempo, con patente camerale datata 29 ottobre 1621, fu dichiarato esente da qualunque dazio o gabella. L’elezione di Urbano VIII costituì un ulteriore punto di svolta. Il 1° luglio 1623, infatti, fu nominato prefetto dell’Annona, l’ufficio che soprintendeva all’approvvigionamento cerealicolo di Roma, dal controllo sulla produzione e sulla commercializzazione dei cereali, fino alla vigilanza sulla macinazione e sulla panificazione. Mantenne l’incarico, solitamente ricoperto da membri di famiglie emerse grazie alle attività economiche e finanziarie, che puntavano a raggiungere le dignità maggiori della Curia romana, fino al 10 ottobre 1625. Come appare da diversi provvedimenti normativi usciti nel biennio indicato, fu messo in condizione di «saper la vera nota di tutti li grani, & biade che giornalmente si vendono & comprano» (Ordini da osservarsi dalli portatori, misuratori & facchini, deputati a misurar grani del 13 maggio 1624, in Arch. segreto Vaticano, Miscell., Arm. IV-V, 53, c. 256r). Poteva infatti indagare su chiunque trasportasse cereali (compresi i marinai delle navi che attraccavano al porto di Ripa e i barcaioli sul Tevere) e aveva piena autorità di punire con ammende e pene corporali i contravventori alle disposizioni. Nello stesso 1624, dopo la morte dal fratello Orazio (monaco domenicano che aveva preso il nome di padre Gabriele e nel 1623 era stato consacrato vescovo di San Marco Argentano), fu occupato nel dare effetto alle sue disposizioni testamentarie. Quindi, mantenne per un breve periodo tra il 1624 e il 1625 anche l’ufficio di governatore di Civitavecchia.
Alla fine di gennaio 1626, in sostituzione di Giovanni Domenico Spinola (creato cardinale), assunse la carica di auditor Camerae (che valeva circa 80.000 scudi). Presiedette così un’importante curia, con ampia giurisdizione in campo sia civile sia penale: aveva infatti competenza su tutti i delitti compiuti all’interno della Curia romana e, al di fuori di essa, dai curiali (sia ecclesiastici sia laici) e conosceva tutte le cause (civili, penali e miste) in cui una delle parti litiganti fosse costituita dagli stessi membri della Curia romana. A Naro, in particolare, è stato riconosciuto dalla storiografia un impulso all’attività giurisdizionale in campo penale: gli si devono infatti i primi esempi di provvedimenti edittali simili ai bandi del governatore di Roma. Sono note altresì alcune sue sentenze nel campo della giustizia ecclesiastica, con particolare riguardo ai regolari della congregazione celestina. Il 19 novembre 1629 fu creato cardinale. La promozione appare perfettamente in linea con la fisionomia che papa Barberini voleva imprimere al collegio cardinalizio: Naro apparteneva infatti all’élite romana, ma non al nucleo delle famiglie baronali più antiche e più forti sul territorio, bensì a uno dei lignaggi della nobiltà municipale in ascesa.
Dopo aver ricevuto il cappello (17 dicembre 1629) e il titolo cardinalizio presbiteriale della chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta (creato da Sisto IV nel 1477), non entrò nel gruppo dei porporati maggiormente impegnati nei compiti politico-diplomatici (come per esempio Giulio Sacchetti, Lorenzo Magalotti, Bernardino Spada). Piuttosto, appariva più inclinato ai compiti della cura pastorale. Ricevette così dapprima una sufficiente provvista di benefici: alla fine del 1632 ebbe la commenda dell’abbazia di S. Andrea dell’isola presso Brindisi (dei canonici regolari), vacata per morte del cardinale Ludovico Ludovisi, e alla fine di gennaio 1633 una pensione di 1000 scudi sopra la prepositura di S. Pietro all’Olmo di Milano. Quindi, il 6 febbraio 1634 fu nominato vescovo di Rieti.
La partenza per la sede episcopale non fu sollecita. Quando all’inizio della successiva estate si mise in viaggio, come ebbe modo di scrivere al papa, poteva definirsi «animato da’ Santissimi suoi documenti, e ricordi per il buon governo, et inderizzo della mia chiesa» (Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 8737, c. 4r). Il pontefice dal canto suo, nella lettera del 12 luglio 1634 (conservata nell’Arch. segreto Vaticano, Epistulae ad Principes, Registra, 48, f. 168r-v) manifestò di riconoscere, nella ferma intenzione di Naro di intraprendere la riforma del clero sottoposto al suo governo, un esempio per gli altri membri del collegio cardinalizio.
Ebbe però tempo soltanto di prendere i primi contatti con la diocesi reatina e di avviare alcuni lavori alla fabbrica del palazzo vescovile di Rieti.
Morì il 7 luglio 1634, a causa di una calcolosi.
Il 13 marzo 1631 aveva ricevuto la facultas testandi, ivi compresa la possibilità di trasferire le pensioni ecclesiastiche godute al nipote Fabrizio. Attraverso il testamento rogato l’8 febbraio 1634, lasciò «tutti li Monti, argenti, et altri mobili» di cui disponeva ai creditori che ancora dovevano essere soddisfatti di quanto anticipato per l’acquisto della carica di auditor Camerae. Non fu comunque sufficiente: il fratello Bernardino pagò altri 11.341 scudi per onorare tutti i suoi debiti e lasciti. Fra le altre sue disposizioni spiccano i doni di «un orloggio piccino di cristallo di montagna» al cardinale Francesco Barberini, due quadri a sua scelta al cardinale Antonio Barberini, «un quadro ad elezzione di Sua Eminenza» anche al cardinale Lorenzo Magalotti, uno «studiolo» al cardinale Marcello Lante (il testamento è in Arch. segreto Vaticano, Arch. Patrizi-Montoro, lettera C, Arm. I, t. 20, cc. 265r-275v). Fu seppellito nella cappella di famiglia in S. Maria sopra Minerva a Roma. Il monumento funebre, su disegno di Gian Lorenzo Bernini, comprendeva una statua di Naro a mezza figura, opera di Jacopo Antonio Fancelli (pagato da Bernadino Naro nel dicembre 1642).
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Arch. Patrizi-Montoro, lettera C, Arm. I, t. 20, cc. 265r-275v; Arm. IV, t. 66; Ibid., Epistulae ad Principes, Registra, 48, c. 168r-v; Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 8737, cc. 3r-4r; Roma, Arch. storico Capitolino, Archivio della Camera Capitolina, Cred. I, t. 31, pp. 95v e 176r; Cred. VI, t. 27, p. 27r; P.A. De Vecchis, Collectio constitutionum, chirographorum, et brevium diversorum Romanorum pontificum, I, Roma 1732, p. 76; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, I, Roma 1869, p. 494, n. 1909; Regesti di bandi editti notificazioni e provvedimenti diversi relativi alla città di Roma, IV, Roma 1932, ad ind.; V. Reinhardt, Die Präfekten der römischen Annona im XVII. und XVIII. Jahrhundert, in Römische Quartalschrift, LXXXV (1990), pp. 98-115, p. 104; Legati e governatori dello Stato della Chiesa (1550-1809), a cura di Ch. Weber, Roma 1994, p. 217; M.A. Visceglia, La «giusta Statera de’ Porporati». Sulla composizione e rappresentazione del sacro colleggio nella prima metà del Seicento, in Roma moderna e contemporanea, IV (1996), p. 182; Die Hauptinstruktionen Gregors XV. für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen (1621-1623), a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; U. Paoli, Fonti per la storia della congregazione celestina nell’Archivio segreto vaticano, Cesena 2004, ad ind.; S. Amadio, Famiglie in carriera ed artisti nella Roma barocca: i Naro, in Studi romani, XLV (1997), pp. 314-330; Ch. Weber, Die päpstlichen referendare. 1566-1809, Stuttgart 2004, I, pp. 197, 200, 204, 208; III, p. 758; A. Cicerchia, Giustizia di antico regime. Il Tribunale criminale dell’ Auditor Camerae (secc. XVI-XVII), tesi di dottorato, Università di Roma 2 Tor Vergata, 2010, pp. 136, 138, 141-142, 203, 285 (http://art.torvergata.it/ bitstream/2108/1372/1/TESI DI DOTTORATO - Andrea Cicerchia.pdf).