Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Gregorio Magno è un grande organizzatore della Chiesa, uomo politico e insieme letterato. Nella sua poliedrica opera letteraria alterna l’esegesi biblica, l’epistolografia, la letteratura didattica e l’agiografia. L’agiografia altomedievale prevede vari modelli di santità: il martire, il monaco, il vescovo. I Dialoghi di Gregorio Magno sono dedicati ai miracoli dei santi italiani contemporanei, primo fra i quali san Benedetto da Norcia. Egli mette in scena, con un linguaggio medio comprensibile a tutti, i protagonisti di una Chiesa spirituale vicina al popolo delle campagne.
Gregorio Magno
Benedetto il Profeta
Dialoghi, II, 14
Al tempo dei Goti il loro re Totila, avendo sentito dire che Benedetto possedeva lo spirito profetico, si diresse al suo monastero, ma si fermò ad una certa distanza e mandò a dire che sarebbe venuto. Dal monastero gli fu subito risposto che venisse pure. Ma egli, perfido come era, cercò di indagare se l’uomo del Signore possedesse effettivamente il dono della profezia: perciò dette a un suo scudiero, di nome Riggo, i suoi calzari, lo rivestì di abiti regali e gli disse di andare al monastero fingendo di essere il re […].
Quando Riggo, rivestito di abiti regali e accompagnato dal seguito dei cortigiani, entrò nel monastero, l’uomo di Dio era seduto un po’ distante, e osservando Riggo che veniva, quando questi giunse a distanza da poter sentire, gli gridò: “Deponi, figlio, ciò che porti, perché non è cosa tua” […].
Allora Totila venne di persona dall’uomo di Dio, e quando lo vide da lontano che stava seduto, non osò avvicinarsi e si prosternò. Due e tre volte Benedetto gli disse di alzarsi, ma quello non osava e rimaneva a terra; allora gli si avvicinò e lo sollevò da terra. Lo rimproverò per tutto quello che aveva fatto e in poche parole gli predisse ciò che sarebbe successo: “Fai molti mali e molti ne hai fatti. Smetti una buona volta di comportarti iniquamente. Entrerai a Roma, passerai il mare, regnerai nove anni e nel decimo morirai”.
Nato a Roma da una delle più nobili famiglie della città, Gregorio è ancora educato secondo le norme della scuola classica, studiando il diritto e conservando il ricordo dell’universalismo romano. Percorre rapidamente la carriera politica. A 35 anni è governatore di Roma, poi all’improvviso cambia vita: abbandona l’attività pubblica e si ritira nel monastero di Sant’Andrea al Celio, per dedicarsi esclusivamente alla ricerca di Dio. Ma la Chiesa gli richiederà presto di tornare al servizio del prossimo: ambasciatore pontificio a Costantinopoli, nel 590 è eletto papa. Nei 14 anni del suo governo cambierà il volto della Chiesa, attraverso una molteplice azione politica e culturale: ristrutturando il patrimonio ecclesiastico, convertendo al cattolicesimo Longobardi, Angli, Visigoti, riformando la liturgia (gli sono attribuiti gli inizi del “canto gregoriano”) e lasciandoci un’opera letteraria vastissima, che lo pone tra gli scrittori principali della sua epoca.
Nel suo ricchissimo epistolario si toccano gli argomenti più svariati riguardo la vita della Chiesa: esso è una fonte storica di eccezionale importanza per lo studio delle condizioni materiali e morali della vita religiosa dell’Europa medievale. Si pensi alla celebre lettera in cui, rivolgendosi al vescovo missionario Agostino di Canterbury, spiega che i templi pagani non vanno distrutti, ma convertiti in chiese cristiane, per dare ai popoli una religione nuova che sostituisca, senza annullarli, i culti precedenti.
I Commenti morali su Giobbe (Moralia in Iob) sono una lunga esegesi al libro biblico di Giobbe. Gregorio legge nella vicenda del giusto perseguitato dalla sventura, messo alla prova, umiliato nel dolore e nella povertà, ma sempre fedele al suo Dio, un paradigma per la Chiesa, per gli uomini del suo tempo. In modo simile avviene nell’altra opera esegetica, le Omelie su Ezechiele, commento al libro profetico della Bibbia scritto nel momento tragico della deportazione del popolo ebraico in Mesopotamia. L’ultima opera esegetica di Gregorio, le 40 Omelie sui Vangeli, sono di tono diverso, anche per la loro genesi particolare: si tratta di prediche effettivamente pronunciate dal papa al popolo di Roma in occasione delle messe, prediche trascritte su tavolette da segretari e infine trasmesse in forma di codice.
Le molteplici e fantasiose interpretazioni di Gregorio esegeta della Sacra Scrittura sono per lo più di ordine morale, cioè spirituale: seguendo sant’Agostino, Gregorio cerca nella Bibbia la voce di un Dio che sappia guidare gli uomini verso il Bene, consolarli nella sventura e ricondurli alla patria celeste, alla Terra Promessa. Gregorio è anche il maestro della vita mistica, della ricerca intima di Dio attraverso una sapiente alternanza di azione e contemplazione: in questo senso sarà il padre della spiritualità monastica.
Più ridotta, ma non meno significativa, la portata della Regola pastorale, sorta di manuale del perfetto sacerdote. Quest’opera si inserisce nel genere didascalico, ma è innervata della spiritualità di Gregorio e della sua dottrina mistica. Infatti il sacerdote secondo Gregorio deve essere costantemente in equilibrio tra ricerca privata di Dio e servizio pubblico alla comunità, cioè tra vita contemplativa e vita attiva.
L’opera forse più famosa di Gregorio, i Dialoghi (scritti nel 593), rientrano nel genere dell’agiografia altomedievale.
L’agiografia altomedievale è erede di quella tardoantica e ne prosegue i generi principali: il martirologio, la biografia (Passione o Vita), le raccolte di miracoli. Il martirologio è una forma sintetica di scrittura della santità, limitata ai pochi dati indispensabili per identificare il santo all’interno del calendario liturgico.
Nell’alto Medioevo le Passioni dei martiri paleocristiani continuano a essere scritte in grande quantità, copiando i testi antichi, sulla base di canovacci generici e stereotipati, a partire da ricordi vaghi conservati, spesso deformati, dalla memoria collettiva. È una letteratura di imitazione dove il criterio dell’originalità è soppiantato da quello dell’aderenza a un modello tipizzante, con lo scopo di legittimare un testo sulla base di una apparente antichità. Non mancano esempi di martiri contemporanei, che rinnovano l’ideale dell’imitazione di Cristo nel sacrificio della vita: nell’Italia invasa dai Longobardi (tra 568 e 604); tra i missionari in Inghilterra e Germania nei secoli VII-VIII; nella Spagna occupata dagli Arabi nel IX secolo. Ma si tratta di casi sporadici all’interno di una cristianità dove la religione si avvia a diventare elemento portante della vita sociale e politica.
Le Vite di santi altomedievali vedono due modelli di santità prevalenti: quello monastico e quello vescovile.
L’agiografia monastica vede l’alternanza tra sedentarietà (modello continentale) e apostolato (modello insulare), tra vita contemplativa e vita attiva. Il modello insulare, tipico dell’Irlanda e dell’Inghilterra, è fondato sull’idea della missione indirizzata all’evangelizzazione dei pagani; per questo santi monaci come gli irlandesi Patrizio e Colombano, gli inglesi Wynfrith-Bonifacio e Willibrord lasciano la patria e percorrono le terre d’Occidente. Il monachesimo irlandese insegna una penitenza austera, una preghiera intensa; esalta il lavoro manuale soprattutto rivolto alla copiatura dei codici e difende le tradizioni delle chiese locali contro la liturgia romana.
Il testo insulare più interessante è la Navigazione di san Brandano (VIII o IX sec.), nel quale l’ideale missionario si esprime in un viaggio per mare dal sapore fantastico, dove realtà e immaginazione si fondono tra loro: in esso la storia e la geografia sono annullate, il mondo dei morti comunica costantemente con quello dei vivi, compenetrandosi a vicenda.
Nelle Vite dei santi vescovi si leggono invece tutte le difficoltà storiche che la Chiesa altomedievale vive in Occidente: la necessità di completare l’evangelizzazione in un mondo ancora pagano (soprattutto nelle campagne), la lotta contro le eresie, in particolare l’arianesimo diffuso tra i popoli germanici, spesso anche la tutela delle popolazioni cittadine dalla prepotenza dei poteri laici e dalle invasioni dei nemici. Soprattutto in Gallia, dove il clero appartiene a pieno titolo alla classe dirigente e gode di funzioni pubbliche, il santo si fa guida profetica del popolo cristiano nel suo cammino storico; lo difende dalle forze ostili naturali e sovrannaturali, dai nemici umani e diabolici; impone la sua autorità dentro la Storia, con una assolutezza che conserva ben poco degli ideali evangelici di bontà e mitezza.
Il miracolo, segno prodigioso della santità, invade l’agiografia. I miracoli vengono raccolti e circolano in forma autonoma. Il miracolo è riparazione dell’ordine naturale delle cose, ordine sconvolto dall’uomo con il peccato o dal demonio stesso, che il santo ripristina usando la sua capacità di mediazione tra il terreno e il divino. Il santo è sempre più intercessore, mediatore del sacro, persona dotata di poteri sovrannaturali da usare in difesa dei fedeli che alla sua tutela si affidano. Si coglie in ciò il crescente bisogno di protezione del popolo, un senso di insicurezza contro forze più grandi dell’uomo, che è uno dei tratti caratteristici della mentalità del primo Medioevo.
Accanto ai miracoli si sviluppa il culto delle reliquie, dapprima osteggiato, poi assecondato, infine guidato dal clero. La reliquia è il segno tangibile della storicità del santo, è oggetto portentoso capace di compiere miracoli. La reliquia è oggetto di venerazione e di scambio, di dono e di furto. Sulle reliquie si costruiscono le nuove chiese, che da esse traggono dignità e legittimità. Nel IX secolo Eginardo, il biografo di Carlo Magno, scrive il resoconto del trasporto da Roma ad Aquisgrana dei resti dei santi Marcellino e Pietro: un racconto emozionante e vivace, un furto notturno avvincente commissionato dallo stesso imperatore per arricchire di reliquie la chiesa della sua nuova capitale.
I Dialoghi di Gregorio Magno sono una raccolta di miracoli compiuti in Italia da santi viventi o da poco defunti. L’intento del pontefice è quello di dimostrare come nell’Italia sconvolta da Goti e Longobardi, in un Paese disperato dove molti attendono come imminente la fine del mondo, la continuità dell’azione dei santi testimonia che la Provvidenza divina continua a operare nella storia. I santi di Gregorio sono taumaturghi, dominano la natura; sono santi profeti, nel senso profondo individuato da Gregorio, cioè santi capaci di leggere negli eventi il piano provvidenziale di Dio e di farsi suoi strumenti nel mondo. I miracoli dei santi si svolgono in un’Italia ormai rurale, dove la città non è più punto di riferimento. Guerre e malattie imperversano, demoni quotidiani, tangibili e perfidi, ma anche a volte umanamente ingenui, insidiano il popolo di Dio, che rimane solo e inerme. Solo i santi, gli uomini di Dio, intervengono in suo sostegno. Questi santi sono gli eroi di una Chiesa nuova, spirituale, profeticamente rivolta al popolo, una Chiesa non sempre inquadrata nella gerarchia delle istituzioni.
Il secondo libro dei Dialoghi è dedicato alla sola figura di san Benedetto da Norcia, di cui Gregorio scrive la prima biografia. Benedetto riassume in sé tutti i modelli di santità, tutte le necessità storiche della Chiesa di Gregorio: è eremita e monaco, profeta e missionario, attraverso l’Italia centrale, a Subiaco e a Montecassino. Arrivato a Montecassino si fa predicatore perché trova la città votata al culto degli dèi pagani: distrugge il tempio di Apollo e lì costruisce il primo monastero di quello che diventerà il grande ordine benedettino.
Dal punto di vista letterario i Dialoghi sono forse il capolavoro di Gregorio scrittore. Egli alterna narratio ed expositio, teoria e prassi, per trasmettere attraverso racconti semplici delle profonde verità di fede, che altrimenti resterebbero incomprensibili per il popolo analfabeta. Così facendo riesce a superare i dislivelli culturali fortissimi nella società del tempo e rivolgersi a un pubblico ampio e differenziato.