MAGALOTTI, Gregorio
Nacque a Roma nella seconda metà del Quattrocento da Giorgio Lorenzo, esponente di antica e nobile famiglia toscana stabilitasi a Roma nel secolo XIII, e da Marsilia Casali, morta nel 1520 e sepolta nella chiesa di S. Cecilia in Trastevere.
Ebbe tre fratelli, Francesco, Bernardo e Nicola, e due sorelle, Faustina, morta nel 1530 e sepolta nella chiesa di S. Agostino, e Maura, la prima badessa perpetua del monastero delle benedettine di S. Cecilia in Trastevere, morta il 17 maggio 1566.
Intrapresa la carriera ecclesiastica, il 1 apr. 1532 fu nominato da Clemente VII vicecamerlengo e governatore di Roma, succedendo a Giovan Maria Ciocchi Del Monte, il futuro Giulio III, di cui era stato uditore.
Il governatore di Roma, all'atto della nomina del M. alla carica, aveva recuperato i poteri sottrattigli dalla costituzione di Leone X del 28 giugno 1514 Etsi, pro cunctarum e il suo tribunale diveniva così il principale organo giudiziario penale della città.
Il M. esercitò con fermezza il governatorato e lo mantenne fino al 14 sett. 1534. Il 23 ag. 1532 fu nominato vescovo di Lipari, quindi fu trasferito al vescovato di Chiusi, il 20 ag. 1534. Tuttavia, era troppo impegnato in cariche civili di grande responsabilità per amministrare personalmente la sua diocesi.
Come governatore ebbe a trattare, tra gli altri, con Benvenuto Cellini, che, tra la fine del 1533 e l'inizio del 1534, non avendo ancora portato a termine un calice d'oro commissionatogli da Clemente VII e rifiutandosi di consegnare l'opera incompiuta, fu condotto davanti al M. e al procuratore fiscale Benedetto Valenti per essere diffidato e minacciato di gravi sanzioni. L'artista, dopo aver sostenuto le sue ragioni - sottolineando di avere più volte reclamato l'oro necessario alla lavorazione senza mai riceverlo - decise di tenere per sé l'opera non finita e restituì l'anticipo di 500 scudi già percepito. Nell'autobiografia non mancò di rimarcare nell'atteggiamento del governatore "certi sua birreschi atti e parole" e il suo "birresco sguardo".
Il 14 marzo 1534 il M. fu al centro di un clamoroso episodio che lo oppose al marchese Giuliano Cesarini, gonfaloniere del Popolo romano. Nel tentativo di limitare i poteri dei nobili di Roma, Clemente VII aveva intimato loro, per mezzo del governatore, di consegnare in Castel Sant'Angelo le armi in loro possesso. Alcuni rifiutarono di sottomettersi a un obbligo che consideravano umiliante, e fra questi Cesarini, forte del suo titolo e del favore popolare di cui godeva. Su ordine del papa il M. fece allora perquisire, in assenza di Cesarini, il suo palazzo e sequestrare la armi che vi si trovavano. Cesarini non lasciò trasparire la sua umiliazione, ma di lì a poco, il 14 marzo 1534, tese un agguato al governatore che tornava dalla visita alle carceri di Campidoglio scortato dai suoi alabardieri. Il M. fu assalito a colpi di spada, rimase ferito in modo grave, ma si salvò. Inseguito dalle guardie, Cesarini fu raggiunto in piazza della Minerva e, ferito a sua volta a una spalla e a una mano, si salvò trovando riparo nel vicino convento dei domenicani.
Erroneamente i manoscritti della Biblioteca nazionale di Roma (S. Onofrio, 142) e della Biblioteca apost. Vaticana (Ferrajoli, 708 e Vat lat., 8665 e 13658) danno notizia della sua uccisione.
Irato per l'accaduto, Clemente VII lo dichiarò ribelle e nemico della Sede apostolica, lo privò della carica di gonfaloniere, lo bandì con una grossa taglia e confiscò tutti i suoi beni; ordinò inoltre che fosse dipinto, a sua ignominia, "con la spada et la cappa in terra, et lui in toso et in giubbone", sulla parete del palazzo capitolino che guarda verso S. Maria d'Aracoeli (ancora nel XVI secolo si usava effigiare i traditori e i ribelli sulle mura dei palazzi pubblici e presso le piazze, le porte e i postriboli della città). Cesarini riuscì a fuggire da Roma e a rifugiarsi prima a Napoli, poi in Germania, dove chiese la protezione dell'imperatore Carlo V e di Margherita d'Austria sua figlia, che con il consenso paterno lo nominò primo cavaliere della sua corte nella condotta d'Italia, dove si accingeva a recarsi come promessa sposa di Alessandro de' Medici, nipote di Clemente VII. Giunta a Roma e ricevuta in udienza dal papa, Margherita riuscì a ottenere per Cesarini, sia pure con qualche difficoltà, la revoca del bando, la restituzione dei beni e la reintegrazione nella carica di gonfaloniere. Ottenne anche, in un secondo momento, la cancellazione del dipinto del Campidoglio.
Il 14 sett. 1534 il M. fu nominato da Clemente VII presidente della Romagna e dell'Esarcato di Ravenna, carica confermatagli poi da Paolo III, che, il 6 dicembre seguente, gli affidò il governatorato della Marca d'Ancona in sostituzione di Paolo Capizucchi. In questa veste si occupò, su incarico del papa, del conflitto tra la famiglia della Genga e i Fabrianesi a proposito del possesso del castello della Genga e delle sue pertinenze.
Il 3 maggio 1535 fu nominato da Paolo III governatore di Sassoferrato, quindi, il 19 settembre, divenne presidente della Romagna per la seconda volta e castellano della rocca di Rimini. Nell'esercizio di queste cariche diede prova di notevoli capacità riformatrici, legando il suo nome a una costituzione dell'8 ott. 1535, da lui detta Magalotta, che dettava le regole per l'elezione degli ufficiali della città di Rimini e del suo contado, nel tentativo di eliminare le discordie e le liti che di frequente nelle elezioni insorgevano fra le due parti. Emanò, inoltre, decreti severissimi contro chi dava asilo a esuli e ladroni e contro chi dichiarava la propria appartenenza alla fazione guelfa o ghibellina; liberò la provincia da assassini e criminali e ricondusse sotto l'autorità del pontefice il castello di Tossignano che si era ribellato sotto la guida di Ramazzotto de' Ramazzotti.
Il 5 genn. 1537 fu nominato da Paolo III governatore di Bologna e, più tardi, anche vicelegato della città in sostituzione del vescovo di Rieti. Anche a Bologna il M. profuse grande impegno nel limitare e contenere la rivalità tra le fazioni cittadine, che procurava gravi conseguenze alla città.
Morì a Bologna il 6 dic. 1537 ed ebbe la prima sepoltura nella chiesa di S. Petronio.
Fu rimpianto da tutta la città, come testimonia l'elogio che ne fecero i Quaranta riformatori di Bologna nella lettera al papa del 7 dicembre. Nel 1538 il suo corpo fu riportato a Roma per volere della sorella Maura che gli aveva fatto costruire, nella chiesa di S. Cecilia in Trastevere, un monumento sepolcrale attribuito dapprima a Giovanni Mangone da Caravaggio, poi a Guglielmo Della Porta. Sopra l'urna è collocata una scultura semisdraiata che rappresenta il M. in abiti episcopali. L'iscrizione sottostante ricorda la traslazione della salma da Bologna a Roma.
Nel periodo in cui fu governatore di Roma, scrisse una breve opera giuridica sul salvacondotto: Securitatis ac salvi conductus tractatus perutilis et quotidianus, dedicata all'amico Benedetto Valenti (nato a Trevi nell'Umbria nel 1486), giurista, governatore in Umbria e nelle Marche, procuratore fiscale della Camera apostolica dal 1528 alla sua morte, nel 1541. Fu proprio Valenti a provvedere, nel 1538, alla stampa postuma del trattato presso Antonio Blado a Roma.
L'opera, preceduta da una lettera dedicatoria di Valenti a Paolo III, dalla citata lettera al papa dei Quaranta riformatori di Bologna del 7 dic. 1537 e da una lettera dedicatoria del M. al Valenti, si divide in quattro parti: nella prima si tratta delle persone che possono concedere carte di sicurtà e di quelle che possono ottenerle; nella seconda dei vari casi in cui deve essere osservata l'assicurazione data; nella terza del significato e del valore del salvacondotto; nella quarta della revoca di un salvacondotto, della sua perdita di validità e delle pene a cui sono assoggettati coloro che lo infrangono.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Collegio dei notai capitolini, 63, c. 322; Miscellanea famiglie, 95/9; Roma, Biblioteca nazionale, S. Onofrio, 142, cc. 229-239; Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 3240, c. 143r; Chig., G.V.140, pp. 484 s.; Ferrajoli, 232/16; 708, cc. 130-139r; Ottob. lat., 2551, pp. 90 s.; Vat. lat., 7246, c. 45r; 8665, cc. 393-397; 13658, pp. 88-96; B. Cellini, La vita, a cura di O. Bacci, Firenze 1901, pp. 121-124; D. Orano, Il sacco di Roma del 1527. Studi e documenti, I, I "Ricordi" di Marcello Alberini, Roma 1901, pp. 105 s., 131, 310, 404, 412, 421 s.; P. Mandosio, Bibliotheca Romana, I, Romae 1682, pp. 38 s.; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 782; III, ibid. 1718, coll. 749 s.; N. Ratti, Della famiglia Sforza, II, Roma 1795, pp. 259, 284 s.; S. Muzzi, Annali della città di Bologna dalle sue origini al 1796, VI, Bologna 1844, pp. 467, 469 s.; F. Cancellieri, Memorie storiche delle sacre teste dei santi apostoli Pietro e Paolo, Roma 1852, p. 78; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma, II, Roma 1873, pp. 27, 30; L. Tonini, Rimini dal 1500 al 1800, VI, 1, Bologna 1887, pp. 241, 244, 354; VI, 2, ibid. 1888, pp. 937-940 (contiene il testo della costituzione detta Magalotta); E. Rodocanachi, Histoire de Rome, V, Les pontificats d'Adrien VI et de Clément VII, Paris 1933, pp. 266 s.; F. Ascarelli, Le cinquecentine romane, Milano 1972, pp. 162, 310; N. Del Re, Monsignor governatore di Roma, Roma 1972, pp. 23, 78; Id., G. M., governatore di Roma, e l'attentato di cui fu vittima nel 1534, in Lazio ieri e oggi, XX (1984), pp. 245-251; Hierarchia catholica, III, pp. 171, 226.