LETI, Gregorio
Nacque a Milano il 29 maggio 1630 da Girolamo e da Isabella Lampugnano.
Le notizie certe sulla famiglia si fermano al nonno paterno, Marco, che fu per due anni al servizio del cardinale Ippolito Aldobrandini, quindi giudice ad Ancona; sposatosi con Laura Pizzi, ebbe due figli, Agostino Francesco Nicola e Girolamo. Il secondogenito intraprese la carriera militare alle dipendenze dei Medici e, nel 1628, fu inviato dal granduca di Toscana, in qualità di capitano di fanteria, a Milano, per soccorrere gli Spagnoli; qui conobbe e sposò la nobile Isabella. Dall'unione nacque una figlia, Caterina (maritata a Cesare Reina, segretario del Senato di Milano e morta precocemente) e un figlio, il Leti.
Nel 1632 il L. seguì i genitori in Calabria, ad Amantea, dove Girolamo aveva assunto l'incarico di comandante di guarnigione. Nel 1639, a seguito della morte del padre, trasferitosi nel frattempo, per altro impiego, a Salerno, il L. fu affidato dalla madre ai gesuiti del collegio di Cosenza, dove rimase forzatamente fino al 1644, quando decise di accettare l'invito dello zio Agostino, raggiungendolo a Roma. Questi tentò invano di avviarlo agli studi giuridici e poi alla vita sacerdotale, sottoponendo l'animo insofferente del giovane a tali pressioni da indurlo ad andarsene per ricongiungersi alla madre, a Milano, dove restò fino alla morte di questa, sopraggiunta alla fine del 1646. Orfano, fu costretto a ritornare dallo zio, ora vicario a Orvieto, e ad accettarne la tutela, adattandosi alla severa disciplina impartitagli dal precettore don Agostino Cauli, incaricato della sua educazione. Il soggiorno, sopportato controvoglia, durò fino al 1654, seppure interrotto da numerosi spostamenti: a Napoli nel 1647, a Milano, presso i parenti materni, dal 1650 al 1652, e a Roma, dove strinse contatti con l'Accademia degli Umoristi. Nel 1654 fu infine lo stesso Agostino, visti fallire i suoi progetti, a decidere di rimettere al nipote l'amministrazione dei suoi beni, lasciandolo libero di viaggiare.
Fu con ogni probabilità di nuovo a Roma nel dicembre 1655 se, come egli stesso sostenne ne Il cardinalismodi Santa Chiesa (Amsterdam 1668), assistette all'ingresso solenne della regina Cristina di Svezia nella città; ma ben presto, probabilmente per difficoltà finanziarie, ritornò dallo zio, ad Acquapendente, dove questi, il 14 giugno 1655, era diventato vescovo. Qui strinse rapporti con una fanciulla, Antonia Ferretti, tanto da manifestare allo zio l'intenzione di sposarla; ricevutone un netto rifiuto, lasciò cadere il proposito e si allontanò definitivamente.
Diverse le ipotesi sulle attività svolte dal L. in Italia; nel 1670 Antonio Magliabechi riportava al cardinale Leopoldo de' Medici la credenza che fosse stato ricamatore e la più consolidata opinione che lo voleva frate, ipotesi che aveva trovato un certo credito anche fuori d'Italia, se nel 1697 uscì uno scritto satirico di André Picquart dal titolo L'horoscope de m. G. L., moine défroqué (Amsterdam 1697) dove lo si accusava di essere un cappuccino sfratato; il L. smentì l'accusa nella prefazione alla sua Recueil de quelques lettres (s.l. [ma ibid.] 1697).
La data della partenza dallo zio è incerta; dovrebbe trattarsi con ogni probabilità dell'autunno del 1656 e non del settembre 1658, come risulta da una lettera dello zio Agostino pubblicata dal Leti. La prima ipotesi è avvalorata dalla presenza del L. ad Alessandria, dal 17 luglio al 19 ag. 1657, e dal soggiorno in diverse città italiane prima del definitivo allontanamento dalla penisola; inoltre le numerose inesattezze cronologiche presenti nelle pubblicazioni letiane non consentono di accreditare il riferimento epistolare. Comunque, con certezza, dopo la partenza il L. dovette viaggiare molto: fu a Venezia, dove entrò in contatto con i membri dell'Accademia degli Incogniti, in particolare con Girolamo Brusoni, e sostò a lungo a Bologna.
In questi anni, tra il 1653 e il 1657, iniziarono i primi esercizi letterari. Dovette trattarsi, come egli poi ricorderà nella prefazione a La strage de' riformati innocenti (Ginevra 1661), di "qualche novella amorosa e qualche cosa di poesia ad istanza della nostra Accademia in Italia"; inoltre nell'Avvertimento della Vita di Oliviero Cromvele (Amsterdam 1692) egli dichiara di aver composto operette in versi latini dedicate a personaggi bolognesi e alcuni epitalami in italiano. Dalla sola testimonianza letiana è poi attestata l'elaborazione di una scena della commedia La favola d'Ovidio accecato di Giacinto Andrea Cicognini e la redazione di un irreperibile divertissement letterario, La R bandita, discorso presentato all'Accademia degli Umoristi e pubblicato a Bologna nel 1653.
A Bologna si consolidò in lui il desiderio giovanile di andare a Parigi "per cercare fortuna": a tale scopo ottenne, grazie al cognato Cesare Reina, una lettera di raccomandazione del cardinale Gian Girolamo Lomellini per il marchese François-Auguste de Valavoir, generale della fanteria francese in Italia e governatore di Valenza Po, che il L. riuscì a raggiungere solo dopo una sosta forzata ad Alessandria, assediata dai Francesi. Ottenuto l'appoggio del marchese, il L. avrebbe ripreso il viaggio alla volta della Francia, in compagnia del signor Saint-Lyon, ufficiale svizzero ugonotto al servizio di Valavoir, fino a Genova, e quindi del nobile lucchese Nicola Santini. Dopo un breve soggiorno a Torino, i due proseguirono il viaggio fino a Ginevra, dove il L. decise di fermarsi per quattro mesi, ospite di Mario Miroglio, ex canonico di Casale Monferrato. Durante una breve visita a Losanna conobbe lo stimato medico calvinista Jean-Antoine Guérin, che lo accolse in casa per tre mesi, concedendogli poi in sposa, nel 1659, la figlia Maria, non ancora diciottenne. Fu in questo periodo che il L. abbandonò definitivamente la religione cattolica per quella calvinista.
Sui tempi e le motivazioni dell'abiura sono state avanzate ipotesi diverse: ora attribuendola a mero opportunismo, ora accogliendo l'opinione di Jean Le Clerc, che si debba anticipare l'abbandono del cattolicesimo al tempo delle adolescenziali letture delle opere di Ferrante Pallavicino. È probabile che il L. sviluppasse una certa intolleranza per le istituzioni cattoliche fin dagli anni giovanili, favorita dal rigore pedagogico dello zio Agostino e dalle letture ereticali, ma sarà, poi, la conoscenza di Saint-Lyon e soprattutto di Guérin ad avvicinarlo alla religione riformata, che egli avrebbe, infine, definitivamente abbracciato, come ha osservato F. Barcia, anche per concludere le nozze con Maria Guérin. D'altra parte tutta l'esistenza del L. rimase caratterizzata da una sorta di indifferenza religiosa in nome di una libertà di pensiero per la quale "tutte le religioni sono buone in quello che riguarda il fondamento; ma però [… sono] per tutto delle corruzioni, de' mancamenti, e de' vitii".
Nel 1660 i due sposi si stabilirono a Ginevra, dove il L., per mantenere se stesso e la famiglia - ebbe cinque figli, un maschio, morto in giovane età, e quattro femmine, delle quali la primogenita avrebbe sposato nel 1691 il teologo Jean Le Clerc - intraprese le professioni di insegnante e di scrittore. Impartì lezioni a pagamento di lingua e di storia ai nobili della città, conquistando il favore di prestigiosi allievi; nel contempo, abbandonata la letteratura amena degli anni giovanili, cominciò a dedicarsi alle più proficue pubblicazioni storiche ed encomiastiche, calibrando le sue composizioni sul gusto e sul favore dei lettori. Ben presto l'attività letteraria divenne la sua principale occupazione tanto che negli anni del soggiorno ginevrino (1660-79) nacque e si affermò rapidamente in tutta Europa il personaggio L., autore temuto e riverito, disposto a svelare, in modo semplice e accessibile, i retroscena della vita politica e religiosa delle corti.
Esordì con diciotto Discorsi accademici sul martirio subito dai riformati, pubblicati distintamente tra il 1661 e il 1662, e poi in volume unico con titolo la Strage de' riformati innocenti (Ginevra 1661), prima di una serie di opere anticattoliche che gli sarebbero costate numerose messe all'Indice, fino al decreto di scomunica dell'opera omnia, del 22 dic. 1700. Ai primi anni ginevrini appartengono anche, oltre a due esercizi accademici (La lode della guerra et il biasimo della pace, s.l. [ma Ginevra] 1663 e La lode della caccia, s.l. [ma ibid.] 1664), uno scritto satirico antiromano, L'ambasciata del gallo (s.l. [ma ibid.] 1663), e una relazione del conclave nel quale fu eletto Fabio Chigi, papa Alessandro VII (s.l. 1664, confluita nella raccolta dei Conclavi de' pontefici romani, s.l. [ma ibid.] 1667), entrambi testi di provenienza romana, probabilmente rimaneggiati e presentati al pubblico dal L. secondo una tecnica compositiva, caratteristica di tutta la produzione successiva, che prevedeva la rielaborazione di fonti locali manoscritte o di opere già pubblicate da altri come accadde per l'Itinerario della Corte di Roma (vol. II) ripreso da G. Lumadoro, F. Sestini e F. Martinelli. Nella spregiudicata e proficua propensione a servirsi di testi altrui il L. si spingerà fino alla messa in opera di vere e proprie contraffazioni: come la riedizione de La vita del duca Valentino (Monte Chiaro [ma Ginevra] 1670), scritta da Tomaso Tomasi, e l'autoattribuzione delle Lettere italiane di fra Paolo Sarpi (Verona [ma Ginevra] 1673), sulle quali in realtà il suo contributo dovette essere minimo e limitato alla sola pubblicazione. Più eclatante, infine, l'intervento sulla Bilancia politica di Traiano Boccalini (Castellana [ma Ginevra] 1678), le cui lettere vennero presentate dal L. come scritte perlopiù dal figlio del Boccalini, Ridolfo, e da lui stesso trasferite in "uno stile istorico", indizio di falsificazione e causa di confusione attributiva su cui hanno fatto chiarezza solo gli studi di L. Firpo su Boccalini.
Dal 1665 il L. iniziò una proficua e fortunata produzione di opere pseudopolitiche, scandalistiche e satiriche che si protrasse per tutto il periodo ginevrino. A questo genere di componimenti appartengono opere che appaiono come una sorta di guida d'Italia o della corte di Roma, quali i Dialoghi historici o vero Compendio historico dell'Italia (Ginevra 1665), Li precipitii della Sede apostolica (Lione 1672), l'Itinerario della corte di Roma (Bisanzone [ma Ginevra] 1673-75) - riproduzione in parte de Li precipitii - e L'Italia regnante (Ginevra 1675-76), raccolta di informazioni sui letterati italiani, composta, in gran parte dei volumi 3 e 4, con materiale di mano di Magliabechi, bibliotecario di Cosimo III di Toscana, con il quale il L. intraprese uno stretto rapporto epistolare dal 1672 al 1694. Dello stesso periodo sono alcune operette pseudopolitiche, prodotte spesso mettendo insieme materiali diversi, lettere, relazioni diplomatiche e altri documenti, in parte manipolati e legati insieme con introduzione di brani autografi; tra queste si distinguono i Dialoghi politici (Ginevra 1666) che, assorbendo elementi propri della trattatistica seicentesca, sintetizzano quello che sarà il pensiero politico del L. almeno fino al 1685, fondato su una concezione assolutistica del potere del principe, modellata sull'esempio della monarchia francese. Ancora di natura satirica sono infine le pubblicazioni antipapali, gli scritti e le pasquinate di origine romana che il L. si procurava manoscritte, risistemava e pubblicava spesso anonime, generando non poche incertezze di attribuzione: Roma piangente (Leida [ma Bruxelles] 1666), i due "fratelli carnali e spirituali" Il nipotismo di Roma (s.l. [ma Amsterdam] 1667) e Il cardinalismo di Santa Chiesa (ibid. 1668), e anche Il Vaticano languente (s.l. [ma Ginevra] 1677). Tra queste si inseriscono una serie di satire scandalistiche antichigiane, di memoria pallavicinesca, quali Il sindicato di Alasandro VII [successive edizioni: Alesandro, Alexandro ecc.] con il suo viaggio nell'altro mondo (s.l. [ma Ginevra] 1667) e Il puttanismo romano (s.l. [ma Amsterdam] 1668), che occupano un ruolo privilegiato rispetto alle altre, almeno per l'inventio narrativa, per quanto la materia trattata e la varietà dello stile denuncino una provenienza diversa, ancora romana, dei manoscritti originali, probabilmente rimaneggiati e strutturati in trama dal L., il cui nome, tra l'altro, non compare sulle edizioni.
A Ginevra il L. iniziò a dedicarsi anche alle biografie romanzate, genere letterario che confermò la sua fortuna in Europa. Se ottenne un primo notevole successo con il romanzo galante L'amore di Carlo Gonzaga duca di Mantoa e della contessa Margarita della Rovere, edito a nome di Giulio Capocoda (Ragosa 1666), e ancora di più con la Vita di donna Olimpia Maldachini (Cosmopoli [ma Ginevra] 1666); a nome dell'abate Gualdi fu la Vita di Sisto V (Losanna [ma Ginevra] 1669), uscita con l'indicazione del nome in anagramma "Geltio Rogeri, ad istanza di Gregorio Leti", a garantire la notorietà del L. come scrittore. Al successo non immediato, ma comunque straordinario dell'opera, misurabile sulla base delle traduzioni, degli ampliamenti e ripubblicazioni protrattesi fino a Ottocento inoltrato, contribuì, oltre all'interesse ancora vivo per il pontefice e la duplice condanna (cattolica nel 1671, protestante nel 1679), soprattutto la narrazione da romanzo picaresco, non priva di richiami boccacceschi, che ben incontrava il gusto dei contemporanei: piacque a Pierre Bayle, entusiasmò madame de Sévigné e guadagnò gli elogi di Emanuele Tesauro. A essa seguirono, oltre la già citata ristampa ampliata della Vita del duca Valentino di Tomaso Tomasi, la Vita del catolico re Filippo II monarca delle Spagne (Coligny [ma Ginevra] 1679), pubblicata a nome del L. con l'appellativo di "Resuscitato", del quale egli stesso si era fregiato dopo essere sopravvissuto a una grave malattia. Questa voluminosa biografia segnò la fine del periodo ginevrino, favorendo la condanna che avrebbe allontanato definitivamente il L. dalla città.
Il decreto di espulsione del 1679 fu l'ultimo atto di una serie di condanne iniziate almeno dal gennaio 1668, quando, a seguito della denuncia di Charles Dufour, moderatore della Compagnia dei pastori, il L. venne accusato di avere fatto stampare, senza permesso, Il nipotismo e la Vita di donna Olimpia, e perciò gli venne intimato di non pubblicare più senza l'autorizzazione degli scolarchi; nell'agosto 1673 vinse una causa da lui intentata contro il ministro calvinista Francesco Turretini, che lo aveva ingiuriato; il 19 ag. 1673 i governatori di Besançon denunciarono l'Itinerario della corte di Roma per essere stato stampato con indicazione falsa della loro città; ma fin qui il L. seppe difendere in modo convincente il suo operato, tanto che, il 20 nov. 1674, chiese e ottenne dalla Compagnia dei pastori, gratuitamente e all'unanimità dei membri, la cittadinanza ginevrina. Il privilegio, esclusivo per un italiano, favorì anche l'attribuzione di missioni diplomatiche, a cui il L. corrispose almeno dall'aprile 1676, quando fu incaricato di sondare la posizione del Consiglio di Zurigo nei confronti di Venezia per verificare la volontà di riallacciare i contatti con la città lagunare, venuti meno al tempo della guerra di Candia; tra il novembre 1678 e il luglio 1679 fu, poi, inviato del Consiglio ginevrino con il compito di palesare alla corte di Savoia la disponibilità del governo a risolvere la questione delle rivendicazioni sabaude sulla città.
In tale attività il L. era facilitato dalle relazioni che era riuscito a stringere, fin dagli anni Settanta, con le famiglie regnanti italiane più autorevoli del tempo: prima con i Medici, per intermediazione di Magliabechi, poi, dal 1675, con la corte sabauda, nelle persone di madama reale Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemour, e del duca Vittorio Amedeo II, quindi, dal 1678, con Francesco II d'Este, duca di Modena, e Ranuccio Farnese, duca di Parma. Erano contatti che lo stesso L. si era procurato impegnandosi a compiere, a Ginevra, quanto sarebbe potuto essere utile agli illustri personaggi, a favorire e appoggiare, con le sue opere, le loro casate, a censurare manoscritti e testi a stampa che fossero stati loro avversi, in cambio sostanzialmente di stima, riconoscenza, appoggio ma, soprattutto, di elargizioni pecuniarie.
Tuttavia, né l'acquisizione della cittadinanza, né tanto meno i servizi diplomatici valsero a ottenere la fiducia piena e incondizionata del governo di Ginevra, messo a dura prova dalla volontà letiana di favorire gli interessi dei protettori italiani, spesso in contrasto con quelli ginevrini, e dalla voce che egli intrattenesse rapporti epistolari con la Francia senza trasmetterne notifica al Consiglio. Ben presto ripresero le denunce: l'11 dic. 1674 la Compagnia dei pastori inquisì l'Itinerario della corte di Roma; nel febbraio 1675 Jean-Jacques de la Rive lo citò per aver dato spazio, sempre nell'Itinerario, alle pretese del duca di Savoia su Ginevra, ma l'accusa non ebbe seguito; il 24 nov. 1676 fu di nuovo interrogato a proposito del libro Emergenze de l'Europa et Dialoghi politici, ma ne negò la paternità.
Inarginabile e definitiva fu invece la condanna della Vita del catolico re Filippo II, a cui il L. fece risalire il deterioramento decisivo dei rapporti con le autorità. L'accusa più grave e determinante fu quella del pastore della Chiesa francese e italiana Benedetto Calandrini, che, in accordo con i ministri Turrettini e Burlamacchi, denunciò l'opera come ingiuriosa nei confronti della religione riformata e della città di Ginevra. L'imputazione si estese rapidamente anche ad altri lavori pubblicati in precedenza: il L., sottoposto a procedimento penale, nonostante avesse ribadito al Consiglio cittadino la sua innocenza e la devozione alla Repubblica, fu costretto, nell'agosto 1679, ad abbandonare la città.
Lasciata Ginevra, riprese l'antico progetto di raggiungere la Francia. A Parigi, dove le sue opere gli avevano guadagnato una certa notorietà, venne accolto e appoggiato dal cardinale César d'Estrées - elogiato nel Livello politico - e da Carlo [III] duca di Créqui, difeso apertamente nella Relazione di tutto ciò che passò tra il pontefice Alessandro VII e la maestà del re cristianissimo nell'anno 1662 li 20 agosto (Castellana [ma Ginevra] 1678). Luigi XIV non solo lo ricevette benevolmente, ma quando, il 5 settembre, arrivò la notizia della sentenza definitiva di condanna che lo privava della cittadinanza e lo bandiva dalla città, prese sotto la sua protezione lo scrittore, mosso probabilmente dalla risonanza pubblica che avrebbe ricevuto l'accoglienza di un riformato perseguitato per motivi religiosi proprio dalla culla della Riforma.
Il L. che, intanto, si era stabilito con la famiglia a Gex, cercò di ampliare le sue conoscenze a Parigi stringendo contatti con personaggi pubblici, in particolare con Henry Justel, consigliere e segretario del re, che, trasferitosi in Inghilterra, sarebbe divenuto bibliotecario di Carlo II.
Inoltre, per dimostrare la sua riconoscenza nei confronti del sovrano, volle subito comporre un panegirico in suo onore, La fama gelosa della fortuna (Gex 1680), che gli presentò personalmente a Fontainebleau il 5 giugno 1680. In tale occasione, J.-B. Colbert gli comunicò che il re aveva deciso di affidargli il compito di storico in lingua italiana. Ben felice di poter accettare, il L. recuperò la famiglia a Gex e fece ritorno, dopo una sosta forzata per motivi di salute a Orléans, a Parigi; qui apprese che il sovrano, per affidargli l'incarico, si aspettava il suo ritorno alla fede cattolica. A proposito di tale richiesta, qualche anno dopo scrisse ne La monarchia universale del re Luigi XIV (Amsterdam 1689): "Sua Maestà vende a troppo caro costo la fortuna ad altri per accettarla" (parte I, p. 30); ed egli non accettò.
Il 13 ott. 1680, partì di nuovo, insieme con i familiari, diretto a Londra, dove aveva qualche speranza di una buona accoglienza per avere dedicato a Giacomo Stuart duca di York, fratello del regnante Carlo II, il primo volume della Vita di Filippo II.
Strinse rapidamente contatti con nobili e ambasciatori e, soprattutto con ecclesiastici riformati. Nonostante la difficoltà linguistica, riuscì a introdursi nella Royal Society, presso la quale godeva già di una certa notorietà per averle dedicato, su consiglio di Magliabechi, il quarto volume dell'Italia regnante, e a farsene eleggere ufficialmente membro, anche grazie all'amicizia del famoso architetto Christofer Wren, che ne era presidente. Suo tutore e protettore fu Bernardo Guasconi, nobile fiorentino, soldato di professione, che aveva militato prima alle dipendenze dei Medici, quindi al soldo della Spagna, per passare poi, nel 1642, in Inghilterra, dove si era guadagnato i favori di Carlo II.
Grazie all'interessamento di Guasconi, ritornato in Inghilterra con Carlo II nel 1660 o poco dopo, il L. fu introdotto a corte e poté presentare al re un suo Panegirico in lode (Liegi, Bibliothèque de l'Université, Mss., WW.77) composto all'inizio del 1681 e riceverne in cambio un primo compenso pecuniario, nonché l'incarico di una storia d'Inghilterra che gli sarebbe valsa una pensione ed eventualmente il titolo di storiografo. Dopo l'incontro, pieno di aspettative, il L. si stabilì con la famiglia in una casa sul Tamigi a Chelsea per dedicarsi interamente alla composizione dell'opera che avrebbe ultimato nel dicembre del 1682 con il titolo Del teatro brittannico (Londra), indossando, almeno negli intenti, da questo momento in poi, le vesti dello storico. La pubblicazione, tuttavia, non sortì l'effetto sperato. Le pagine del libro dedicate al matrimonio segreto del duca di York con Anna Hyde e ai rapporti tra Carlo II e la moglie da lui maltrattata, la regina Caterina di Braganza, insieme con alcune sconvenienti allusioni alla vita privata di influenti dignitari suscitarono a corte un disappunto tale da richiedere il giudizio del Consiglio segreto, che deliberò la confisca e la distruzione di tutte le copie reperibili, nonché l'espulsione dello scrittore dal Paese.
Pertanto, nel febbraio 1683, il L. era di nuovo in viaggio, alla volta dell'Olanda. Si stabilì ad Amsterdam, divenuta, già da alcuni anni, il rifugio di quanti volevano sottrarsi alle persecuzioni del governo francese: qui ottenne libertà di professione e ricevette una buona accoglienza, in particolare dalla colonia italiana, tanto che il 3 maggio gli fu concessa la cittadinanza. Iniziò subito a stringere contatti con personaggi autorevoli, tra cui Bayle, al quale si fece introdurre dal genero Jean Le Clerk nel 1684, con la volontà di accattivarsene l'amicizia, per ottenerne poi giudizi positivi e recensioni favorevoli sulle Nouvelles de la République des lettres. Il 16 ott. 1685 fu nominato storiografo della città e professore, incarico che gli garantì una rendita fissa e un titolo ufficiale di prestigio, e gli consentì di dedicarsi liberamente alla scrittura e di recuperare, attraverso di essa, i suoi rapporti con i governi del resto d'Europa, garantendosi altre fonti di sovvenzione e nuove protezioni. Riprese, in primo luogo, la cura della seconda edizione de Il teatro brittannico (Amsterdam 1684), ampliata in cinque volumi e modificata nei primi due, con la finalità di eliminare i passi che avevano provocato la sua espulsione dall'Inghilterra; successivamente, con l'intenzione di riallacciare i rapporti con la corte inglese, avrebbe scritto in onore del nuovo sovrano Guglielmo III d'Orange, Il prodigio della natura e della gratia (ibid. 1695), poema in ottave dedicato alla conquista dell'Inghilterra da parte di Guglielmo d'Orange. Con la Historia genevrina (ibid. 1686), della quale si servì anche per ricattare il governo di Ginevra, dichiarandosi pronto a rinunciare alla pubblicazione in cambio di un lauto compenso, si prese la rivincita sulla condanna del 1679, ripercorrendo a suo favore gli avvenimenti dei quali era stato protagonista. Con Il ceremoniale historico e politico (ibid. 1684), una sorta di manuale per diplomatici, tentò, invece, di riconquistare il favore e i finanziamenti di Luigi XIV, per poi decidere, con La monarchia universale del re Luigi XIV (ibid. 1689), scritta dopo la revoca dell'editto di Nantes (1685) e dopo la guerra contro la Lega di Augusta (1686), di prenderne, almeno ufficialmente, le distanze, anche per non mettere a repentaglio il ruolo che si era faticosamente conquistato in Olanda. In realtà dall'opera trapela un certo apprezzamento per la Corona di Francia che tornò esplicitamente nel Teatro gallico (ibid. 1691), dedicato alla narrazione degli avvenimenti che avevano interessato la casa reale di Borbone, sotto i regni di Enrico IV, di Luigi XIII e soprattutto di Luigi XIV. Approfondì, inoltre, la conoscenza dei casati e delle corti di Germania, dove soggiornò per oltre tre mesi nel 1686, per raccogliere informazioni e il favore dei principi tedeschi: ne trasse materia per i Ritratti historici, politici, cronologici e genealogici della casa serenissima ed elettorale di Brandeburgo (ibid. 1687), che ottenne l'approvazione dell'elettore Federico Guglielmo il Grande e per i successivi Ritratti historici, politici, cronologici e genealogici della casa serenissima ed elettorale di Sassonia (ibid. 1688) e i Ritratti historici, o vero Historia dell'Imperio romano in Germania (ibid. 1689). Non mancò naturalmente di occuparsi dell'Olanda: nel 1690 pubblicò il Teatro belgico (Amsterdam), una vivace, ma imprecisa, descrizione storica, sociale e geografica dei Paesi Bassi, e nel 1699 l'ultima delle sue opere politiche, i Raguagli historici e politici, in cui intesse una esaltazione del governo olandese, esemplare modello di sistema democratico ormai avvertito dal L. come superiore a qualsiasi forma di monarchia. Dopo il 1685, infatti, l'allontanamento dalla monarchia francese e l'influenza della cultura olandese portarono il L. ad abbandonare la teoria del princeps imago Dei, sviluppata nei Dialoghi politici del 1666, per esaltare i principî repubblicani e democratici e avanzare una critica parallela nei confronti dei regimi aristocratici: riferimento esemplare diventa così l'Olanda, per la sua condizione di matura società democratica, mentre i governi di Venezia e di Genova, pur continuamente citati, appaiono ormai strutture sorpassate.
In questi anni riprese anche l'interesse per le biografie letterarie: mettendo in opera un'idea nata, secondo quanto affermò lo stesso L., negli anni londinesi, compose la Historia, e memorie recondite sopra alla vita di Oliviero Cromvele (Amsterdam 1692) e la Historia, o vero Vita di Elisabetta, regina d'Inghilterra (ibid. 1693), concepite entrambe, nella tradizione della famosa Vita di Sisto V come storie romanzate di ampio successo, senza ambizione di veridicità. A esse si aggiunsero la Vita di don Pietro Giron, duca d'Ossuna… (ibid. 1699), ricca di aneddoti, digressioni e novelle provenienti da fonti diverse, e la Vita dell'invittissimo imperadore Carlo V (ibid. 1700), che, progettata almeno vent'anni prima e portata faticosamente a conclusione poco prima di morire, chiude all'insegna della biografia romanzata l'abbondante produzione letiana.
Un riferimento a parte merita, per la particolarità dell'argomento trattato, la Critique… sur les lotteries (ibid. 1697), riservata all'illustrazione della precarietà e casualità dell'esistenza, metaforicamente rappresentata dal gioco d'azzardo, in una completa negazione della sensatezza delle istituzioni e delle azioni dell'uomo; la sua pubblicazione interruppe bruscamente la tranquillità degli anni trascorsi ad Amsterdam, sollecitando numerose critiche fino alla scomunica per la presenza di passi contrari al culto. Il L. si difese prontamente ribadendo la sua fedeltà religiosa e ritrattando le affermazioni incriminate; inoltre, per riabilitare l'opera, screditata principalmente dalle critiche mossegli da un giovane studente in teologia, Pierre Ricotier, con le Considérations sur la Critique sur les lotteries de mr. L., decise anche di pubblicare una Recueil de quelques lettres, raccolta di 86 lettere abilmente manipolate, scrittegli da illustri personaggi, alcune delle quali esibivano giudizi favorevoli sul valore della Critique; le stesse vennero poi in gran parte incluse nella corrispondenza di 370 pezzi, pubblicata, in due volumi, nel 1700.
Il L. morì ad Amsterdam il 9 giugno 1701 per un attacco apoplettico; il 13 giugno le sue spoglie furono sepolte nella locale chiesa vallone.
Punto di partenza per orientarsi nella produzione del L. sono gli elenchi delle opere lasciateci da lui stesso: un Avvertimento dello stampatore toccante tutte le opere date alla luce dal signor L., con un esatto catalogo delle stesse, Amsterdam 1692; e un Catalogo, ibid. 1699, poi ampliato, ibid. 1700. Si vedano inoltre: F. Barcia, Bibliografia delle opere di G. L., Milano 1981; N. Krivatsy, Bibliography of the works of G. L., New Castle 1982.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.752 (carteggio con A. Magliabechi, con circa 120 lettere autografe del L.); Lettere e carte Magliabechi. Regesto, a cura di M. Doni Garfagnini, I, Firenze 1984, ad nomen; L. Fassò, Avventurieri della penna del Seicento…, Firenze 1923, pp. 5-267; E. Nistri, Per una rilettura di G. L., in Nuova Riv. storica, LXIII (1979), pp. 349-377; G. Spini, Ricerca dei libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano, Firenze 1983, pp. 265-293; F. Barcia, Un politico dell'età barocca: G. L., Milano 1983; Id., G. L. informatore politico dei principi italiani, Milano 1987; M. Capucci, Doppie di Spagna e concetti d'inchiostro: lettere "estensi" di G. L., in Studi secenteschi, XXXIII (1992), pp. 185-198; P. Moreno, Lo sconosciuto Panegirico in lode di Carlo II di G. L., in Studi e problemi di critica testuale, LXI (2000), pp. 87-97; D. Tongiorgi, Oltre la storia nello spirito dei libertini: G. L., in Storia della letteratura italiana (Salerno), V, La fine del Cinquecento e il Seicento, Roma 1997, pp. 982-984; E. Bufacchi, Il puttanismo della dissimulazione disonesta, in G. Leti, Il puttanismo romano, a cura di E. Bufacchi, Roma 2004, pp. 7-52; F. Barcia, La storia come rappresentazione teatrale e romanzo: il "Teatro britannico" di G. L., in Storie inglesi: l'Inghilterra vista dall'Italia tra storia e romanzo (XVI-XVII secolo). Atti del Convegno, Pisa… 2003, in corso di stampa; D. Solfaroli Camillocci, L'engagement éditorial de G. L. à Genève, entre libertinisme et tradition polémique (1662-1679), in Libertinage et philosophie au XVIIe siècle. Journée d'étude, Lyon… 2003, in corso di stampa.