LAZZARINI, Gregorio
Nacque nel 1655 a Venezia da Sante, che esercitava la professione di barbiere. Ne dà testimonianza la Vita redatta da V. Da Canal nel 1732, fonte imprescindibile per molte delle notizie riguardanti la biografia e il vastissimo catalogo dell'artista. Verso il 1670 il L. svolse un periodo di apprendistato durato circa due anni nella bottega di F. Rosa, pittore forse di origini genovesi vicino ai modi del tenebrismo di G.B. Langetti e A. Zanchi. Quindi, intorno ai venti anni, decise di accostarsi a G. Forabosco, con cui si interessò soprattutto di prospettiva, frequentando inoltre, nello stesso periodo, le lezioni di L. David e P. Della Vecchia presso l'Accademia di S. Trovaso.
Lo studio di tali modelli, insieme con la riflessione sulla pittura di P. Liberi, dovette innescare un processo di distacco dall'ideale di imitazione pedissequa della natura, coltivato all'inizio della carriera, che condusse il L. all'elaborazione di un sistema formale strutturato, soprattutto nella piena maturità, sulla chiarezza luministica e la resa levigata delle superfici, fatto di contorni arrotondati e impianti compositivi facilmente leggibili. Il favore accordato al primato dello studio selettivo, l'adesione a scelte cromatiche di impostazione per lo più "neoveronesiana", il solido impianto disegnativo, indussero Da Canal (p. XV) a porre in risalto la prossimità delle opzioni stilistiche del L. con la coeva pittura bolognese, sottolineandone il contrasto con alcune delle tendenze più diffuse a Venezia e ricordando come il pittore sapesse imitare, tra gli altri, lo stile di C. Cignani (p. XXXI).
A dispetto di un elenco molto ampio rimane, tuttavia, piuttosto limitato l'inventario delle opere ascrivibili con certezza alla prima produzione, rendendo disagevole la focalizzazione dei suoi caratteri.
Un piccolo nucleo di dipinti di attribuzione controversa, ma identificabili come alcune delle tele menzionate dalla Vita nel contesto dei lavori degli anni Ottanta, sembrerebbe palesare, ancora in questo periodo, una certa disponibilità verso le suggestioni del naturalismo, senz'altro più marcato rispetto alle inclinazioni stilistiche delle fasi successive della sua carriera. Una vena peraltro affatto taciuta dal suo biografo, che potrebbe indicare come la sottolineatura delle componenti accademizzanti dello stile del L. fosse dovuta almeno in parte a un'operazione di censura verso la "fosca maniera" dei tenebrosi, del tutto superata, secondo A.M. Zanetti (p. 416), dal pittore. Una certa matrice "zanchiana" è stata riscontrata per esempio in un Tancredi curato da Erminia che Crosera (pp. 44-46), sulla scorta di Magani (1995, p. 219), ha ipotizzato essere il dipinto eseguito secondo Da Canal (p. LIII) per il conte Turco di Verona nel 1686 e oggi in collezione privata (ripr. in Crosera, fig. 4). Magani (1995, p. 202) ha inoltre restituito alla produzione del L. il Ratto di Elena delle Staatliche Kunstsammlungen di Kassel, datandolo verso il 1680, nonché una Vendetta di Fulvia dello stesso museo, forse da identificare con il dipinto raffigurante Fulvia con in mano la testa di Cicerone, realizzato come il precedente, ma probabilmente al principio dell'ultimo decennio, per il "germano Rotnofer" (Da Canal, pp. XXXVIII, LII). Sulla base di analogie formali con le opere di Kassel è anche possibile attribuire al L., tra il 1687 e il 1690, un Ritrovamento di Mosè (Pommersfelden, Baviera, Schloss Weissenstein, collezione del conte di Schönborn-Wiesentheid), già rubricato sotto il nome di A. Bellucci (Magani, 1995, pp. 213-215; fig. a p. 213).
Nel corso del nono decennio il L. ottenne crescente successo presso molte famiglie importanti di Venezia, come attestano il maggior onere fiscale rispetto ai pittori coetanei e, tra gli altri, i lavori eseguiti per i Labia, la Betsabea alla fonte di casa Widmann (1683), il Sansone e Dalila per la dimora di A. Giustinian a S. Stae (1686), tutti dispersi, oltre al ritratto di Antonio o Vettor Correr della National Gallery di Londra, comunemente ascritto al medesimo periodo.
Sicuro indice della fama raggiunta si deve considerare la commissione pubblica che il L. ricevette nel 1691 (Da Canal, p. XLII), e cioè l'incarico di realizzare un'enorme tela con l'Elemosina di s. Lorenzo Giustiniani per S. Pietro di Castello, inscritta nell'importante progetto di riqualificazione dello spazio presbiteriale dell'antica cattedrale veneziana, voluto e finanziato dal patriarca Giovanni Badoer.
All'interno dell'articolato tessuto semantico della decorazione del presbiterio, costituita anche dalle opere di Bellucci e A. Molinari, il santo veniva assunto nel dipinto del L. quale simbolico rappresentante della politica di carità perseguita dalla Serenissima, suggerendo per via esemplare la necessità dell'attivismo assistenziale da svolgersi entro una cornice rigorosamente istituzionalizzata. Il L., dando prova di raggiunta maturità stilistica, riuscì a fondere felicemente un impianto scenografico di palese matrice veronesiana nell'allestimento delle architetture dello sfondo con elementi di naturalismo moderato e non alieno da memorie tintorettesche, impiegato soprattutto nella definizione di quei dettagli per cui era necessario, sotto il profilo retorico, suggerire un pronunciato effetto di realtà.
Nel 1692 elaborò la decorazione pittorica per una carrozza del conte Paolo Widmann, le cui tele sono andate disperse, e con ogni probabilità, nello stesso torno di anni consegnò ad Antonio Widmann quattro Storie di Scipione l'Africano, oggi non rintracciate.
I dipinti, portati a Roma dal committente per essere conservati verosimilmente nella casa di famiglia presso S. Silvestro al Quirinale (Magani, 1989, p. 64), furono lodati da C. Maratta, in ragione delle consonanze stilistiche classicheggianti che egli doveva riscontrare nella maniera del veneziano.
Nel 1694 il L. eseguì, per la prima camera della dimora veronese di E. Giusti, un dipinto raffigurante Cleopatra che maltratta il notaio alla presenza di Cesare, che George Knox (1997, pp. 29 s.) ha proposto di identificare con la tela in collezione privata veneziana già pubblicata da E. Martini. Due anni più tardi tornò a lavorare per lo stesso committente realizzando una tela con Erminia e un pastore (Knox, 1997, p. 34), di cui si ignora l'attuale collocazione; l'opera si trovava nella seconda sala, detta "camera delle boscareccie", tra paesaggi e storie tratte dalla Gerusalemme liberata. Ancora nel 1694, su commissione di Tommaso Corner e, in un secondo momento, del provveditore al Sale Girolamo Bondumier, dipinse sei tele per l'arco trionfale eretto nella sala dello Scrutinio di palazzo ducale in memoria di Francesco Morosini, raffiguranti allegorie delle imprese e degli onori militari del doge conquistatore della Morea.
Sul finire del secolo, a testimonianza della solida posizione acquisita nel mercato artistico veneto, si registra un'ampia produzione anche per i centri della Terraferma.
Nel 1696, per esempio, dipinse uno Sposalizio mistico di s. Caterina per la chiesa di S. Paolo a Treviso, oggi al Museo civico, e un Gesù tra i dottori, per l'oratorio del Rosario di Vicenza, conservato nella parrocchiale di Castagnero. Nel 1698 realizzò una grande tela con Orfeo straziato dalle baccanti, probabilmente su commissione di Vettor Correr, procuratore di S. Marco. Il dipinto, paradigma del classicismo accademizzante sul quale si stava definitivamente assestando lo stile del L. in questi anni, era collocato in un ambiente del palazzo Correr a S. Giovanni Decollato insieme con il Combattimento tra Centauri e Lapiti di Molinari e all'Ercolee Onfale di Bellucci, tutti oggi conservati a Ca' Rezzonico.
Nel 1700 il L. partecipò alla decorazione del portego del palazzo Corner a S. Polo con i Fasti di casa Corner, eseguendo una sovrapporta raffigurante L'ambasciatore Corner avverte Venezia della Lega di Cambrai, attualmente in collezione privata americana (ripr. in Knox, 1992, fig. 30). Tra la fine del XVII e l'inizio del secolo successivo si data generalmente la Presentazione di Cristo al tempio, dipinta per la Scuola della Carità a Venezia (ora nella Quadreria delle Gallerie dell'Accademia) molto probabilmente in un momento prossimo alla Nascita della Vergine, oggi perduta, che Da Canal (p. LVIII) ricorda essere stata eseguita per la stessa Scuola nel 1701.
Cronologicamente vicine a quest'ultime opere dovrebbero essere la Nascita e la Morte della Vergine per l'oratorio delle dimesse di Vicenza, oggi proprietà della Pinacoteca di Brera ma in deposito presso la chiesa di S. Stefano a Vedano al Lambro; per le due opere, attribuite al L. dalla maggior parte della letteratura recente sul pittore, è stata tuttavia avanzata da parte di Magani (1995, p. 86) l'ipotesi dell'autografia di Bellucci.
Ai primi anni del Settecento si deve datare, per ragioni stilistiche, anche il dipinto con Rebecca ed Eleazaro di Ca' Rezzonico (Pedrocco), già ritenuto, con ogni probabilità erroneamente, la versione realizzata per il prete Serena nel 1686.
Sono da ascrivere allo stesso momento, inoltre, la tela con Giunone sulle nubi, ora in palazzo Labia a Venezia, ma proveniente dalla collezione Donà dalle Rose e il Giudizio di Paride del Museo civico di Vicenza, assegnato al L. da Claut (p. 77). Nelle opere di questo periodo si definisce la cristallizzazione dei tratti espressivi tipici dell'ultimo trentennio dell'attività del L., prodotti di una progressiva sofisticazione degli strumenti rappresentativi già ampiamente utilizzati nell'impresa di S. Pietro di Castello.
Per i Correr della riva di S. Biagio dipinse nel 1702 la Psiche condotta da Mercurio in Olimpo, identificabile con la tela ora in palazzo Pisani a S. Stefano, che fu forse portata nella sede attuale nel 1711, in occasione del matrimonio di Isabella Correr con Almorò Francesco Pisani (Moretti, p. 150). Licenziò nel 1704 l'Adorazione dei magi e I pastori invitati dagli angeli ad adorare Gesù per la sala capitolare della Scuola dei Carmini. Nel periodo compreso tra il 1699 e il 1714 il L fu impegnato nella realizzazione di un cospicuo nucleo di dipinti per i padri Savoldello e Quarti di Ss. Giovanni e Paolo a Venezia.
A fronte delle evidenze documentarie relative alla cronologia e alle specifiche committenze, permangono, in ragione della genericità delle fonti, molte incertezze in rapporto al numero complessivo e alla collocazione originaria delle tele che decoravano gli ambienti della basilica e del convento. Dalla Vita di Da Canal (pp. LVII-LXI) risultano eseguite per il padre Savoldello lo Sposalizio di s. Caterina (1699), la Predica del Battista (1700) e la Presentazione al tempio (1703), che si conservano attualmente nella sala S. Tommaso, già albergo della Scuola del Santo Nome di Dio, annessa all'edificio basilicale. Per lo stesso committente il L. dipinse inoltre una Carità (1700), identificata da S. Moschini-Marconi (p. 37) con la versione delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, il Sacrificio di Abramo (1705), la Caduta della manna (1706) e Mosè fa scaturire l'acqua dalla roccia (1707), tutti oggi nello stesso museo veneziano; nonché la Punizione di Core, Daton e Abiron (1707) e il Castigo dei serpenti (1707) custoditi nell'ambiente domenicano già menzionato, come anche la Strage degli innocenti realizzata per padre Quarti tra il 1710 e il 1714. Diversi altri dipinti un tempo nella basilica e puntualmente registrati dal biografo sono dispersi.
Forse contemporanea di alcuni dipinti di Ss. Giovanni e Paolo si può ritenere una parte almeno dei tanti lavori menzionati da Da Canal (pp. XLVII-LI) che il L. eseguì per il palazzo (oggi Moro-Lin) già residenza di P. Liberi, che A. Lin aveva acquistato nel 1691 dall'erede del pittore.
La mancata precisazione da parte del biografo della cronologia delle opere, andate in gran parte disperse, ha generato una complessa controversia critica. Gli argomenti in merito più convincenti, non privi tuttavia di incertezze, risultano al momento quelli avanzati da Sponza (pp. 248 s.), propenso a spostare la datazione almeno delle opere note all'inizio del XVIII secolo, correggendo una precedente ipotesi di Ganzer (1982, pp. 67 s.), che aveva proposto una collocazione cronologica ai primi anni Novanta, a ridosso dell'acquisto del palazzo. I dipinti provenienti dalla raccolta attualmente individuati, quasi tutti in collezione privata, costituiscono un gruppo esiguo rispetto alla mole di opere fornite dal pittore ai Lin, e comprendono una Rebecca e Eleazaro, una Deposizione di Cristo e un Cristo e l'adultera, identificabili con quelli descritti nella "prima camera del palazzo" da Da Canal (Ganzer, 1983, pp. 206 s.). Nella "camera seconda" si trovavano un Giudizio di Paride, un Ratto di Proserpina e una Porzia che mangia i carboni ardenti, databili secondo Sponza entro il primo lustro del XVIII secolo in ragione delle analogie con le opere contemporanee di Ss. Giovanni e Paolo, così come la Diana cacciatrice di ubicazione ignota e un S. Giovanni Battista, identificato dallo stesso Sponza (p. 249) con il dipinto attualmente in S. Nicolò di Lido, che Rizzi (p. 16) riteneva invece del nono decennio. Sono state inoltre ricondotte alla decorazione dello stesso ambiente, sia pure in linea ipotetica, due tele raffiguranti Rinaldo addormentato e Armida e Erminia fra i pastori, entrambe in collezione privata veneziana (ripr. in Sponza, figg. 20 e 21) e per le quali non è da escludere la collaborazione di Elisabetta, sorella del pittore, la cui identità artistica rimane in larga parte ancora da definire. Nelle "stanze basse" del palazzo, situabili cronologicamente qualche anno più avanti (Sponza, p. 253), erano collocati due Baccanali (collezione privata), che già Da Canal riferiva dubitativamente a Elisabetta, ipotesi poi ripresa da Baldissin Molli (pp. 112 s). G. Wagner, tuttavia, trasse due incisioni dai dipinti menzionati, attestandoli come opere del L.; pubblicò inoltre due altre stampe tratte dalla stessa serie di Baccanali, una delle quali è conservata a Ca' Rezzonico (Pilo, Opere…, p. 19). Infine, Magani (1999, p. 170) ha di recente attribuito al L. un tondo raffigurante l'Allegoria della Scultura (collezione privata), ipotizzando che possa trattarsi di ciò che rimane degli affreschi eseguiti dall'artista insieme con Bellucci e Molinari nella "sala lavorata a stucchi con nicchie" (Da Canal, p. XLVI), anch'essi di datazione incerta.
Una lettera datata 16 luglio 1707, indirizzata dal L. a S. Conti, collezionista lucchese, consente di datare con precisione tra il gennaio del 1705 e il giugno dell'anno successivo la serie di dipinti che il pittore realizzò per la raccolta toscana, ricca di tele di quegli artisti veneziani prossimi stilisticamente alla maniera bolognese (Zava Boccazzi, pp. 136 s.).
Delle sette opere che il L. spedì a Conti solo tre sono state rintracciate: il Mosè fa scaturire l'acqua dalla roccia, ultimato nel gennaio 1705 e conservato a palazzo Mansi, Lucca (Betti, pp. 38 s.); il Riposo dalla fuga in Egitto (giugno 1706: Potsdam, Sanssouci, Bildergalerie) e l'Angelica e Medoro (giugno 1706: Ibid., Neues Palais). Il nucleo comprendeva inoltre una Rebecca al pozzo (luglio 1705), una S. Cecilia (febbraio 1706), una Testa della Madonna (giugno 1706) e una Testa di Cristo giovinetto (giugno 1706).
La produzione del L. suscitava interesse, all'inizio del nuovo secolo, anche nell'ambiente romano, certo in virtù del giudizio positivo di Maratta, come testimonia l'esecuzione di una Sacra Famiglia, di cui si ignora l'attuale collocazione, voluta dal cardinale P. Ottoboni, forse già non estraneo nella selezione dei pittori attivi nel presbiterio di S. Pietro di Castello (Magani, 2001, pp. 603, 616 n. 88).
Il L. realizzò due altre opere per committenti romani, entrambe non rintracciate: un Adamo ed Eva per il principe Altieri, in data imprecisata, e una Morte di Cleopatra nel 1709 per il marchese Gabrielli; inoltre, stando a Da Canal (p. LXIX), egli declinò in almeno un paio di circostanze l'invito a trasferirsi nella città pontificia.
All'inizio del secondo decennio del Settecento il L. lavorò per i Buonaccorsi di Macerata, inviando una Carità nel 1712, difficilmente identificabile tra le quattro versioni oggi note, e un Cristo con angeli, di cui non si conosce la data e l'attuale collocazione; eseguì inoltre due tele con storie virgiliane per la galleria dell'Eneide nel palazzo della famiglia, la Battaglia tra Enea e Mezenzio nel 1712 e Didone sul rogo con Anna nel 1714, ancora in loco. Nel corso dello stesso periodo con l'anziano pittore si formò G. Tiepolo, ricordato da Da Canal nell'elogio diffuso delle qualità didattiche del L., insieme con un buon numero di altri allievi, tra i quali occorre citare G. Camerata, S. Manaigo e G. Diziani.
Nel 1719 realizzò la Probatica piscina per la chiesa di S. Angelo, ora alla Fondazione Cini, tornando a costruire, secondo una formula piuttosto usuale nel suo repertorio, una imponente macchina scenica in grado di articolare l'interazione di una gran massa di personaggi. Tra il secondo e il terzo decennio del XVIII secolo il L. fu largamente impegnato a soddisfare commissioni provenienti da diversi centri della diocesi di Concordia e in particolare da Portogruaro, dove si trovavano 41 opere del pittore, di cui 18 in collezioni private e ben 22 nella chiesa di S. Francesco.
Dei dipinti di S. Francesco, distrutta nel 1830, si conservano oggi solo l'Immacolata Concezione (1718), la Vergine, s. Orsola e le compagne in gloria (1720) e Cristo in gloria (1722) nel duomo di S. Andrea. È possibile che molte di queste commissioni fossero dovute all'interessamento del vescovo di Concordia P. Vallaresso, che il L. ritrasse in una tela conservata presso il collegio vescovile Guglielmo Marconi di Portogruaro (Zamper, pp. 134-136). In casa Vallaresso a Venezia, almeno fino al 1809, erano inoltre due vaste tele con l'Incoronazione di Joas e lamorte di Atalia e Salomone sulla mula di David, dipinte dal L. nel 1724, ora nella chiesa di Prompicai ad Agordo.
Nel 1722 ricevette la commissione per dipingere il S. Paolo, nella serie degli apostoli della chiesa di S. Stae a Venezia. Di datazione incerta ma collocabile nell'ambito dell'ultima produzione del L., nel secondo lustro del terzo decennio, è la Probatica piscina della chiesa veneziana dell'Ospedaletto, un tempo accoppiata, nel secondo vano di destra, al Sacrificio di Isacco di Tiepolo.
Nel settembre del 1730 si trasferì a Villa Bona nel Polesine presso il fratello Antonio, arciprete del borgo, dove morì il 10 nov. 1730 (Da Canal, p. LXVIII).
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