LAMANNA, Gregorio
Nacque a Scigliano, presso Cosenza, l'11 apr. 1754, da Giuseppe e Caterina Santangelo, entrambi appartenenti a distinte famiglie del luogo. Compiuti i primi studi nella città natale e abbandonata, per il deciso intervento del padre, l'intenzione di indossare l'abito ecclesiastico e ritirarsi a Mesoraca, tra il 1765 e il 1770 il L. si recò a Napoli per completare il proprio percorso formativo. Seguì le lezioni di A. Genovesi, avvicinandosi alle correnti culturali più caratterizzate in senso newtoniano e lockiano, e si interessò in particolare alle questioni economiche. Laureatosi inutroque iure, iniziò la pratica forense, dedicandosi a comporre liti in sede extragiudiziale. Quando entrò in contatto con G. Filangieri, che dalla primavera del 1780 aveva avviato la pubblicazione della Scienza della legislazione, anche al giovane L. apparvero chiare le complesse implicazioni politiche dell'insistenza genovesiana su problematiche di tipo morale. In un clima culturale vivissimo pubblicò il primo di una serie di scritti sui problemi agricoli dell'altopiano silano (Considerazioni politico-economiche su la necessità e la direzione dell'agricoltura nella Selva Bruzia, Napoli 1782).
Le tesi esposte, pur se in parte contraddette nelle opere successive, consentono di inserire il L. tra quanti si mostravano consapevoli della necessità di una nuova e più marcata attenzione alle province, per elaborare programmi di riforma in grado di risolvere i problemi del Regno. La Selva Bruzia o Sila, come più comunemente veniva detta, era una vasta area segmentata in maniera eterogenea dal punto di vista del possesso fondiario, in cui ricadevano anche alcune proprietà della famiglia Lamanna. I boschi presenti sul più ampio demanio del Regno di Napoli costituivano una cospicua riserva di legno e di resina per i bisogni della Marina borbonica. Con un editto sollecitato dal ministro della Marina John Acton, nel 1782 il preside di Cosenza G. Danero ordinava di ripristinare i boschi su tutte le terre abusivamente disboscate e coltivate. Prendendo spunto da tale provvedimento il L. pubblicò le Considerazioni politico-economiche, subito ristampate con una dedica ad Acton e con aggiunte relative agli effetti del terremoto calabrese del 1783 (Considerazioni…, ristampate con nuove note a riflesso del tremuoto in Calabria, Napoli 1783). Si schierò apertamente in favore dei proprietari di "difese", sforzandosi di dimostrare che i loro interessi erano sovrapponibili a quelli dell'economia locale. Favorevole ai dissodamenti e alla privatizzazione, invitò con forza il governo ad alienare i beni ecclesiastici e propose ai gentiluomini calabresi il modello di vita che ritrovava nella pubblicistica inglese, basato sull'indissolubile legame tra amore della patria e impegno in favore dello sviluppo e della modernizzazione dell'agricoltura.
Tornato a Scigliano, dopo l'uccisione del fratello in circostanze non chiare (ottobre 1785), il L. riprese la via della capitale; nel 1788 divenne uditore nella regia udienza di Catanzaro e assessore del delegato per la Sila. Nella nuova veste istituzionale scrisse, contro le pretese dei privati possessori di "difese", le Ricerche su gli affari della Regia Sila relativamente al dominio e alla pubblica economia (parte I, Napoli 1791), per difendere le università dei casali cosentini e i diritti del Fisco. Nel 1792, in occasione della visita di G.M. Galanti nelle Calabrie, presentò all'inviato del governo una memoria sul sale calabrese, in cui risulta rilevante soprattutto l'analisi delle modalità di gestione delle miniere di sale.
Nella seconda metà degli anni Novanta si colloca una tappa decisiva della carriera del L. come funzionario pubblico. In un periodo cruciale per la dinamica politica del Regno, l'intensificarsi soprattutto nelle province del malessere sociale e dei conflitti che ne derivavano, lungi dal suscitare una risposta in termini di organiche riforme economiche e amministrative, spinse il governo centrale a potenziare l'azione repressiva, ricorrendo a misure speciali, come la delegazione straordinaria. Il L. fu affiancato a F. Marulli, prescelto allo scopo, in qualità di assessore per Lecce e Trani, a partire dall'agosto 1797. L'incarico gli consentì di maturare una esperienza in questioni criminali, che negli anni successivi avrebbe messo a frutto.
Promosso "soldato Giudice" della Suprema Giunta di buon governo (preposta a comminare la deportazione nelle isole a vagabondi, evasi e altri soggetti pericolosi) con la proclamazione della Repubblica nel 1799 il L. si schierò risolutamente in favore della causa realista. Le capacità investigative dimostrate e l'attaccamento alla monarchia, di cui aveva dato prova nel periodo della rivoluzione, certamente favorirono, nel 1801, la sua designazione ad assessore del duca di Ascoli Trojano Marulli, investito di amplissimi poteri quale vicario generale per riportare l'ordine in alcune province particolarmente turbolente. Senza limitare il suo impegno alla mera azione esecutiva, si mostrò particolarmente attivo anche sul piano dell'elaborazione di programmi di riforma degli apparati preposti al controllo dell'ordine pubblico. L'8 apr. 1801 inviò ad Acton la prima parte di un progetto di "Codice per la Polizia di Napoli", inserito nel riordinamento della polizia borbonica protrattosi dal 1780 al 1803 (De Martino; Alessi), che avrebbe gradualmente sottratto le funzioni di polizia alle istituzioni giudiziarie, per farne un settore autonomo dell'amministrazione pubblica. Il progetto assegnava in maniera esclusiva alla polizia il compito di assicurare l'ordine, vigilando sulla condotta di tutti e la uniformità delle azioni, di fatto limitando le attribuzioni dei tribunali ordinari alla semplice applicazione della legge per singoli reati.
I suggerimenti del L. non furono subito tradotti in pratica, ma l'apprezzamento che ricevette certamente contribuì alla sua designazione a collaboratore del duca di Ascoli, incaricato nel 1803 di redigere il codice di polizia. Nello stesso anno il L. - già componente della Giunta dei delitti atroci (che condannava senza appello), sovrintendente del reale albergo de' poveri e membro del Sacro Regio Consiglio con l'onorificenza di caporuota della Vicaria criminale - divenne anche direttore della polizia.
Nel 1806, con il nuovo re Giuseppe Bonaparte, il L., come molti altri esponenti della passata amministrazione borbonica, ottenne significativi benefici: divenne presidente della Gran Corte della Vicaria, consigliere di Stato (29 genn. 1807) e, in quanto tale, presidente dell'appena costituito Consiglio delle prede marittime (preposto a giudicare della loro legittimità), nonché componente della commissione incaricata di redigere il codice di procedura civile (7 sett. 1807). Il 13 apr. 1807 era stato inserito anche nella prima commissione istituita per predisporre il codice di procedura penale. La sua competenza in materia trovò una efficace sintesi in una memoria contenente le linee guida di un progetto di codice di procedura penale (lettera del L. al re, 29 luglio 1807; Parigi, Arch. nat., 381.AP.6, dossier 1). Sebbene rimaste prive di attuazione (anche perché il sovrano il 7 settembre successivo variò la composizione della commissione escludendo il L.), non poche delle sue proposte erano meritevoli di attenzione. In particolare egli insisté sull'opportunità di inserire nell'impianto inquisitorio del processo penale alcuni correttivi di tipo accusatorio, modellati sulla procedura romana e sulla prassi inglese, in sintonia con le idee esposte nelle Considerazioni sul processo criminale di F.M. Pagano (Napoli 1787; cfr. Mastroberti, 1997, p. 98).
Il L. diede ulteriore prova di dimestichezza con le problematiche criminalistiche in un parere, espresso in Consiglio di Stato durante la lunga discussione sulla riforma giudiziaria che precedette la legislazione del 20-22 maggio 1808, stampato per ordine del sovrano (Motivi esposti in Consiglio di Statonella seduta de' 12 maggio 1808 relativamente ad alcuni articoli del rapporto e del progetto sull'organizzazione de' tribunali e sulla procedura criminale, Napoli 1808).
Lo scritto - i cui presupposti teorici tradivano le trascorse frequentazioni illuministiche dell'autore, in special modo la lezione di Genovesi e l'attenta lettura della Scienza della legislazione - criticava il progetto presentato in Consiglio, fondamentalmente perché non rispondeva alle richieste di riforma dell'antico processo penale (Mastroberti, 1997, p. 127). La sincera preoccupazione garantista del L. trovava modo di esaltarsi nella opposizione alla prevista inappellabilità delle sentenze criminali, ritenuta capace di ingenerare nell'opinione pubblica la sensazione dell'esistenza di "un potere arbitrario, illimitato e assoluto" (Motivi…, p. 16). Un secondo esame presso un tribunale superiore avrebbe assicurato la difesa della "civil libertà", minacciata anche dal proposito di non obbligare i giudici alla scrittura del dibattimento. Il L. si opponeva inoltre con tenacia alla rilevanza attribuita al cosiddetto "criterio morale", cioè al libero convincimento del giudice nel pronunciare la sentenza, ribadendo l'efficacia del sistema delle prove legali e dei fatti tangibili (Dilucidazione del motivo contro il criterio moralee se col criterio legale si possa dar luogo alla gradazione delle pene straordinarie, proporzionandosi co' gradi non solo del dolo, ma delle pruove, stampata unitamente ai Motivi).
Nonostante gli impegni legati ai suoi molteplici incarichi, il L. continuò a interessarsi alle problematiche dello sviluppo economico del Regno. Incaricato da Giuseppe Bonaparte di preparare un progetto di legge sui boschi privati, con le Osservazioni relativamente al progetto di legge sulla censuazione e registrazione de' boschi nel Regno (Napoli 1808) offrì una sintesi di quanto precedentemente espresso sulla complessa questione boschiva meridionale (Vecchio, pp. 221-223). Con l'avvento di re Gioacchino Murat, il L. subì una progressiva emarginazione, anche per la divulgazione di anonime note denigratorie.
Dimessosi il 26 luglio 1809 dall'ultima carica ricoperta, quella di prefetto di polizia, morì a Napoli il 30 genn. 1810.
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