GREGORIO IX papa
Ugo o Ugolino dei Conti di Segni, nato ad Anagni, studiò filosofia a Parigi e acquistò dottrina di scienze sacre e profane. Da Innocenzo III, suo congiunto, fu creato cardinale diacono (1198) e vescovo di Ostia e Velletri (1206). Dimostrò singolare fermezza in una legazione a Marcovaldo d'Anweiler (1199), attività grande in due legazioni in Germania per il negozio dell'impero (1207-8 e 1209). Favorì l'elevazione di Federico II e gli fu amico, sperando di trovare nel giovane pupillo di Innocenzo il campione della Chiesa. Ebbe parte decisiva nella politica dei primi anni di Onorio III; fu legato nell'Italia settentrionale e in Toscana nel 1217, nel 1218-19, e di nuovo nel 1221 con pieni poteri da parte del papa, con larghissime facoltà da parte di Federico II, che ne lodava (10 febbraio 1221) la pietà, la purezza di vita, la dottrina, la facondia (Huillard-Bréholles, II, p. 125). Si adoperò allora con energia e accortezza a mettere pace, a reprimere l'eresia, a preparare la crociata, ma soprattutto a difendere la "ecclesiastica libertas" e a rafforzare l'autorità della Chiesa. Ciò lo distaccava da Federico; forse lo raffreddò pure con il debole Onorio. Certo, negli ultimi anni di questo, egli rese più intensa la sua azione religiosa, come uomo nel quale a rare doti di abilità e di operosità politica si univano fede profonda, desiderio di riposo e di elevazione spirituale. Ebbe relazioni cordiali con cisterciensi e camaldolesi; fu amico e fervente sostenitore di S. Domenico, la cui opera, intesa a guadagnare le anime per mezzo della predicazione e della dottrina, rispondeva assai alle sue vedute; ma in particolare si adoperò all'organizzazione dei minori (per i rapporti del card. Ugolino con S. Francesco e per l'azione da lui esercitata in seno al nascente movimento francescano, v. francescanesimo; francesco, santo). Diede (1218-19) alle clarisse la regola benedettina con norme più rigide di francescana povertà e di clausura.
Salì al pontificato alla morte di Onorio III, il 19 marzo 1227; e riprese, con la prudenza di un uomo già vecchio, con l'ardore di un giovane, l'opera di Innocenzo, persuaso che al pontefice spettasse la signoria suprema sulle anime e sui corpi degli uomini.
Contro gli eretici volle fossero applicate le sanzioni più severe delle leggi canoniche e imperiali; ma tolse al potere laico la pericolosa iniziativa del difendere l'ortodossia, organizzando i tribunali dell'Inquisizione e affidandoli in particolare ai domenicani (1233). Con intuizione geniale del vantaggio che alla filosofia cristiana poteva recare l'aristotelica, dichiarò che i divieti di professare questa valevano solo finché le opere dello Stagirita fossero corrette, e la correzione dei libri naturales commise a tre maestri (aprile 1231). Al domenicano Raimondo di Pennafort affidò la compilazione delle nuove decretali, promulgate in cinque libri il 5 settembre 1234 (v. decretali). Continuò favore agli ordini religiosi, appoggiò la riforma dei cluniacensi, confermò il nuovo ordine dei mercedarî, canonizzò Francesco (16 luglio 1228) e Antonio da Padova (30 maggio 1232), Domenico (luglio 1234) ed Elisabetta di Turingia (27 maggio 1235). Nei contrasti intemi dei minori (v. frati minori) prima appoggiò frate Elia e attenuò la rigida povertà francescana (bolla Quoniam elongati, 28 settembre 1230); poi, disgustato delle violenze di Elia contro gli spirituali, e forse già sospettoso di suoi accordi con Federico II, lo depose (1239). Attese alla migliore organizzazione delle diocesi, alla purezza del costume ecclesiastico; sostenne contro lo stesso re Luigi IX i privilegi della Chiesa, si adoperò a proteggere l'impero latino di Costantinopoli, a riunire la chiesa greca e latina, a promuovere la crociata, a difendere la monarchia d'Inghilterra, contro le tendenze disgregatrici dei baroni. Nel governo dello stato ebbe cura dell'approvvigionamento e dell'igiene, fu benefico ai poveri, s'adoperò a rendere effettiva la sovranità del pontefice.
Il suo pontificato fu tuttavia in molta parte assorbito dalla nuova lotta fra la Chiesa e l'Impero. Quando Federico II, imbarcatosi alla fine per la crociata per le insistenze papali, ritornò indietro adducendo come scusa la peste scoppiata a bordo, G. lo dichiarò caduto nella scomunica (29 settembre 1227) e in un'enciclica ne pose in luce l'ingratitudine verso la Chiesa e la fede violata (10 ottobre); ma, forse più che il mancamento del voto, lo spingeva il timore per la potenza e l'ambizione dell'imperatore, nel quale sentiva ormai un nemico della Chiesa. Federico rispose, nel dicembre, recando a sua volta ad universalen noticiam il procedere del pontefice, provocatore di odio, e ai re denunziò con parole violente la rapacità e l'avarizia della curia, che voleva rendersi tributarî principi e re (Huillard-Bréholles, III, pp. 37, 49).
L'anno dopo fu guerra aperta. Mentre l'imperatore scomunicato conduceva un'apparenza di crociata, il suo esercito invadeva la Marca, e un esercito papale crociato conquistava parte del Regno. Federico respinse gl'invasori (1229); ma il pontefice, che un partito spalleggiato da lui aveva cacciato da Roma (Pasqua 1228), vi ritornava desiderato e acclamato (febbraio 1230), e la Germania si agitava contro l'imperatore. Furono quindi conchiusi a S. Germano patti assai favorevoli al papa e ai comuni lombardi, che ne erano aperti alleati (luglio-agosto 1230): Federico fu assolto (28 agosto); e un cordiale colloquio di lui con G. ad Anagni (10 settembre) parve avere ristabilito il vincolo di carità fra il sacerdozio e l'impero (Epist. sel., IV, 81). Durò a lungo l'apparenza della pace; anzi il papa fu arbitro fra l'imperatore e i comuni (13 giugno 1232). E, quando una nuova ribellione dei Romani costrinse G. a rifugiarsi nell'Umbria (maggio 1234), e la rivolta del figliolo Enrico e l'alleanza di lui con i Lombardi minacciarono Federico, questi offrì il suo aiuto al papa, il quale, sconfitti i Romani a Viterbo (ottobre 1234), poté vederli sottomessi (maggio 1235) e rientrare in Roma festante (ottobre 1237); G. condannò recisamente "l'eccesso" del figliolo ribelle (13 marzo 1235). Ma la forte organizzazione statale, che Federico imponeva al regno, feriva i diritti e i privilegi della Chiesa; e il disegno suo di rendere l'Italia "sua eredità" (H-B., IV, p. 881) minacciava al papato, nel campo non solo temporale, ma nello spirituale, la servitù. G. vide nei comuni lottanti per la loro libertà difensori preziosi della libertà del pontificato, diede a essi favore, si adoperò a rafforzare il partito guelfo. Vinta la lega a Cortenuova (27 novembre 1237), rese per mezzo del legato Gregorio da Montelongo più intensa la sua azione, mentre alle altre ragioni di contesa con l'imperatore si univa il matrimonio di Enzo con l'erede del regno di Torres e di Gallura e quindi l'occupazione della Sardegna, feudo della Chiesa. Il 20 e 24 marzo 1239 G. denunziò in S. Pietro come scomunicato Federico, colpevole di attizzare rivolte in Roma, di violare i diritti e le persone degli ecclesiastici, d'impedire il negozio di Terrasanta; i sudditi furono sciolti dal giuramento di fedeltà. La lotta divampò. L'uno e l'altro dei contendenti si rivolgeva con encicliche alla cristianità: Federico denunziava i novercalia deliramenta del papa, profeta stolto, uomo infedele, profanatore del santuario, seme di Babilonia, e domandava un concilio perché il gregge di Dio non fosse traviato da un tale pastore (20 aprile 1239; H.-B., V, p. 295 segg.); G. paragonava l'imperatore alla bestia dell'Apocalisse, lo accusava di negare l'autorità della Chiesa, di considerare il Cristo un impostore (i° luglio 1239; Ep. saec. XIII, p. 646 segg.); si moltiplicarono gli scritti polemici dei loro fautori. Né furono parole. Il papa faceva predicare la crociata contro quel "preambolo dell'Anticristo" (655); sollecitava, sebbene con scarso risultato, l'aiuto dei principi cristiani; offriva invano la corona al fratello del re di Francia; si alleava con Venezia e con Genova (23 settembre 1239); diveniva l'anima della resistenza vittoriosa della lega lombarda, guadagnando alla Chiesa nuovo prestigio, come di vindice di libertà; Treviso (1239) e Ferrara (1240) erano tolte ai ghibellini. Federico, a sua volta, nell'Encyclica belli annunziava alla cristianità la sua guerra contro il papa "pubblico nemico", cagione della rovina della Chiesa (16 marzo 1240; H.-B., V, p. 840); incamerava i beni ecclesiastici e fin la badia cassinese; colpiva i frati di esilio o di morte; giungeva a due giornate da Roma, dove il popolo, commosso da una processione solenne, prendeva la croce a difesa del papa (febbraio 1240). Il pontefice convocava per la Pasqua del 1241 un concilio in Laterano (9 agosto 1240); l'imperatore, troppo temendone il giudizio, proibiva l'intervento, finché durasse la guerra; né voleva tregua, se non escludendo i Lombardi (13 settembre 1240). Dopo lunga eroica difesa, cadeva in potere di Federico Faenza (14 aprile 1241); la flotta siciliana e la pisana vincevano all'isola del Giglio la genovese, dando in mano all'imperatore, con molti prelati, tre legati papali (3 maggio); i Pavesi ghibellini vincevano i Milanesi sull'Olona (11 maggio); Federico da Grottaferrata disegnava la presa di Roma, dove già i ghibellini insorgevano; da lontano si annunziava l'onda dei Tartari. G., che, pure nella tempesta, aveva dimostrato la sua certezza che la navicella di Pietro non si sarebbe sommersa (Ep. saec. XIII, p. 716), moriva il 22 agosto 1241, si disse quasi a cent'anni.
Fonti: Lettere, nel Registro dei cardinali Ugolino d'Ostia e Ottaviano degli Ubaldini, in Fonti per la st. d'Italia (Roma 1890); Les registres de Grégoire IX, ed. L. Auvray (Parigi 1896-1910); Huillard-Bréholles, Hist. dipl. Friderici II, III-VI (Parigi 1852 segg.); Mon. Germ. Histor., Epist. saec. XIII, I (Hannover 1883); p. 261 segg.; ibid., Epist. sel., IV (Hannover 1926); Potthast, Reg. pont. Rom., I, p. 680 segg.; II, p. 2099 segg.
Bibl.: Oltre alle opere citate in U. Chevalier, Biobibl., I, Parigi 1905, colonne 1882-83, delle quali principali il Balan e il Felten, vedi R. Honig, Rapporti tra Federico II e G. IX rispetto alla spedizione in Palestina, Bologna 1896; F. Frantz, Der grosse Kampf zwischen Kaisertum u. Papsttum zur Zeit des Hohenstaufen Friedrich II., Berlino 1903; F. Graefe, Die Publizistik im letzen Kampf zwischen Kaiser F. II. u. Papst G. IX, Heidelberg 1909; E. Brem, Papst G. IX bis um Beginn seines Pontifikats, Heidelberg 1911; articoli in Arch. stor ital., s. 5ª, XXVIII (1901); in Arch. d. R. Soc. rom. di st. patr., XXXVI (1913), pp. 225 segg., 585 segg.; in Nuova riv. stor., VI (1929), p. 350 segg. E cfr. poi le storie generali del papato, le opere citate sotto federico ii, e F. Gregorovius, St. della città di Roma nel Medioevo, trad. it., II, Torino 1925, p. 2.