Gregorio da Rimini
Teologo e filosofo (m. Vienna 1358). Nato in Italia, prob. a Rimini, entrò nell’ordine degli eremitani di s. Agostino e trascorse a Parigi un periodo di studio, tra il 1323 e il 1329. Dopo aver svolto attività di lettore negli Studia di Bologna, Padova e Perugia, insegnò nell’univ. di Parigi, dapprima come baccelliere, poi come maestro di teologia (1345); dal 1357 fu priore generale dell’ordine. Tradizionalmente definito ‘nominalista’ e ‘occamista’, in filosofia mostra, in realtà, un’attitudine sincretistica, in cui si fondono in maniera originale elementi tratti da Aristotele, Agostino e Guglielmo di Occam. In psicologia G. rigetta la concezione averroistica dell’anima, fondata sull’idea di un intelletto possibile separato e autosussistente, unico per l’intera specie umana, rifacendosi alla definizione aristotelica dell’anima come forma sostanziale di un corpo che ha la vita in potenza. D’altra parte, collocandosi nell’alveo della tradizione tomistica, afferma, in aperta antitesi con Guglielmo di Occam, l’unicità della forma sostanziale umana, che identifica con l’anima razionale, ma al contempo, facendo dell’anima il principio diretto delle sensazioni, nega, contro l’Aquinate, che la facoltà sensitiva sia una sorta di qualità distinta. Analogamente, quando affronta il problema centrale dell’oggetto della conoscenza G. prende le distanze sia da Guglielmo di Occam (che lo pone nella sostanza individuale come tale), sia da Tommaso d’Aquino (che lo identifica con l’essenza), individuandolo nell’atto del giudizio e, più in partic., nel «significato totale» (complexe significabile) della proposizione, a cui fa corrispondere una realtà extramentale strutturalmente omologa, ma al contempo distinta sia dal mero contenuto di pensiero veicolato dall’atto linguistico, sia dalla cosa designata dal termine che funge da soggetto. G. ha anche portato un contributo decisivo alla riflessione teologica del 14° sec., tanto che può essere considerato come l’ultimo grande teologo scolastico del Medioevo. Il suo insegnamento parigino, insieme con quello oxoniense di Bradwardine, segna una svolta in senso decisamente antipelagiano nella dottrina scolastica della grazia.