GREGORIO da Catino
Nacque in Sabina intorno al 1060 da nobili genitori, Dono e Tederanda, nel castello di famiglia a Catino (oggi Poggio Catino, in Sabina). La storia di G. non può essere slegata da quella dell'abbazia di S. Maria di Farfa dove egli visse per tutta la vita. Ancora fanciullo, insieme con il fratello Donadeo, egli entrò come oblato nel cenobio farfense. Di tale fatto rimane traccia in due documenti del cenobio. Nel primo, del 1064, i genitori di G. vendono ai loro due figli alcuni beni che, con ogni probabilità, costituivano la dotazione dei due fanciulli destinati a entrare in monastero. Nel secondo documento come moglie di Dono viene citata Rogata e non Tederanda, il che potrebbe significare che la madre di G. era morta e che il padre aveva contratto nuove nozze. I due fratelli entrarono insieme nel monastero dove furono accolti come oblati dall'abate Berardo (I), ma quasi subito, intorno al 1068, Donadeo morì e G. rimase solo a ricevere la propria educazione nella scuola abbaziale.
Sulla sua formazione culturale e religiosa è lo stesso G. a dare informazioni nella prefazione alla sua prima opera, il Regestum Farfense, nella quale afferma di non essere stato erudito "in scholis poetarum […] neque grammaticorum", ma di aver ricevuto la sua istruzione "ab ipsis cunabulis" nella scuola del cenobio farfense (Il Regesto, II, p. 6). Benché G. affermi, con monastica modestia, di aver ricevuto solo un'istruzione religiosa, le sue opere, e la sua stessa affermazione, non ignara dei dettami della retorica, dimostrano che egli ebbe una notevole conoscenza non solo delle Sacre Scritture, ma anche degli scritti dei Padri della Chiesa, dei principali storici cristiani e delle leggi canoniche.
La giovinezza di G. trascorse tra i codici del fornito scriptorium dell'abbazia, durante il lungo abbaziato di Berardo (I).
Tale periodo fu segnato da uno sforzo intenso da parte del monastero di riacquisizione, consolidamento ed espansione territoriale, che contrassegnò tutto il secolo XI, caratterizzato dai due lunghissimi abbaziati di Ugo (I), dal 998 al 1038, e Berardo (I), dal 1047 al 1089. Tra gli inizi del nuovo millennio e i primi decenni del XII secolo Farfa raggiunse il culmine della sua parabola, accrebbe la sua rilevanza politica e svolse un ruolo di considerevole rilievo nell'ambito della lotta per le investiture, come alleato fedele del partito filoimperiale e tenace antagonista della Curia pontificia, negli ultimi decenni del secolo e nei primi del successivo.
Un imponente processo di riordinamento documentario e un'intensa produzione libraria accompagnarono e sostennero l'ascesa economica e politica del monastero. L'attività scrittoria dell'abbazia, ripresa con rinnovato vigore durante l'abbaziato di Ugo, dopo la grave crisi del monastero nel X secolo, proseguì per tutto il secolo XI raggiungendo il culmine proprio con l'opera di Gregorio da Catino.
A trentadue anni G. decise di dedicarsi al riordino dell'archivio abbaziale, copiando ordinatamente i documenti sui quali si appoggiavano i diritti dell'abbazia. La gran mole dei documenti farfensi fu sistemata da G. nel corso di quasi mezzo secolo in quattro, fondamentali, opere: il Liber gemniagraphus, sive cleronomialis Ecclesiae Farfensis (noto come Regestum Farfense), il Liber largitorius, vel notarius monasterii Pharfensis, il Chronicon Farfense, e il Liber floriger cartarum Farfensium, di cui sono conservati i manoscritti originali e autografi. È lo stesso G. a fornire, nella sua ultima opera, il Liber floriger, la precisa indicazione del momento in cui intraprese la sua attività: "in nostre evo iuventutis, cum essemus annorum etatis XXXII, incepimus" (ed. Maggi Bei, p. 3). Quando G. iniziò la sua opera di riordino l'archivio di Farfa era molto ricco, ma non era ordinato, anche a causa della sua triplice divisione avvenuta dopo la dispersione dei monaci farfensi nell'898 in seguito all'invasione saracena. Successivamente l'archivio ritornò alla sua sede primitiva, ma risentì delle peripezie subite. G., nella prefazione al Regestum, segnala il misero stato in cui aveva trovato la documentazione: "antiquissima vetustate consumpta et a vermibus […] corrosa" (Il Regesto, II, p. 7). Anche tenendo conto dell'enfasi dell'autore nel sottolineare la difficoltà del suo lavoro, non si può dubitare che l'archivio versasse in condizioni non agevoli. Tale circostanza rappresentava un danno grave per il monastero, impegnato a difendere i suoi diritti nelle continue dispute giuridiche con le più potenti famiglie sabine, il vescovado di Rieti e la stessa Curia pontificia. L'abate Berardo (II), al quale G. aveva chiesto di potersi consacrare all'opera di riordino, in principio acconsentì senza alcuna riserva; G. compose quindi il Regestum tra il 1092 e il 1099.
Egli trascrisse milletrecentoventiquattro documenti (un centinaio dei quali sono bolle e diplomi di papi, imperatori, re e duchi) ordinandoli in ordine cronologico, ma senza indicare i fondi di origine. I documenti spaziano dal secolo VIII al XII: il primo, dell'anno 705, è una lettera del duca di Spoleto Faroaldo (II) al pontefice Giovanni VII nella quale veniva presentato l'abate farfense Tommaso di Morienna e veniva richiesto un privilegio di conferma delle donazioni fatte dal duca longobardo all'abbazia. Alla raccolta documentaria G. premise due prologhi, una collezione di canoni, un catalogo degli abati farfensi e dei pontefici e una serie di annotazioni di tipo annalistico che cominciano dagli inizi dell'VIII secolo, ai tempi della seconda fondazione dell'abbazia a opera dell'abate Tommaso di Morienna. G. non inserì nel Regestum tutti i documenti presenti nell'archivio, ma operò una selezione raccogliendo soprattutto i documenti relativi alle donazioni e alle vendite fatte al monastero, ai suoi titoli e munimina. Nella sua opera G. adottò propri criteri critici nella selezione, numerazione e disposizione del materiale documentario così come nelle modalità di trascrizione. Il manoscritto autografo di G. del Regestum è conservato presso la Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 8487, I-II. Egli interviene talvolta sul latino degli originali, per correggerlo, migliorarlo o per evitare ripetizioni o passi oscuri. Nel complesso il Regestum può essere considerato come uno dei monumenti più notevoli, per qualità e quantità, della produzione storiografica medievale italiana. Il Regestum costituisce praticamente l'unica e comunque la più importante fonte per la storia del Ducato longobardo di Spoleto e riveste una grande importanza anche per la storia di Roma nel X e XI secolo. In particolare la raccolta di G. offre un insieme di valore eccezionale per la storia dell'VIII e IX secolo grazie ai più di trecento documenti relativi a quei periodi, che rappresentano la base principale per la ricostruzione dei rapporti politici, economici e sociali tra i poteri e le istituzioni locali. Di grande interesse nel Regestum sono, oltre alla raccolta documentaria, i prologhi, nei quali l'autore avvia il processo di riflessione e indagine sulle origini e la storia del monastero che continuò e perfezionò nelle sue opere successive, e una raccolta di canoni. La Collectio canonum inserita da G. nel Regestum mostra le sue competenze giuridiche e canonistiche e l'uso che egli ne fece a sostegno dei diritti di Farfa sia nel Regestum, sia, successivamente, nel Chronicon. La raccolta presenta un notevole interesse anche per il suo contenuto e il suo orientamento. Essa, infatti, riflette la posizione ideologica di G. e, quindi, di Farfa, schierata su una linea tenacemente filoimperiale al punto che non tiene conto dei testi canonici elaborati dai pontefici riformatori a partire da Leone IX.
Discussa è l'attribuzione a G. della raccolta canonica in 74 titoli intitolata Diversorum sententiae Patrum, conservata in un codice farfense ora presso la Biblioteca Casanatense di Roma (Casanat., 2010) e pubblicata da J. Gilchrist: Diversorum Patrum sententiae, sive Collectio in LXXIV titulos digesta.
Se G. poté cominciare la redazione del Regestum in condizioni favorevoli e con il benestare dell'abate Berardo (II), ben presto la situazione mutò e l'atteggiamento di Berardo nei confronti di G. e della sua opera divenne ostile e persecutorio. Lo stesso G. racconta che dovette dapprima ricorrere al sostegno economico di un certo prete Pietro in quanto l'abate "non ad […] illud perficiendum aliquid sumptus tribuit"; quindi, in seguito alle molestie e alle ingiunzioni vessatorie, fu obbligato a lavorare all'aperto nel chiostro e infine ad abbandonare per la prima e unica volta nella sua vita il monastero, costretto all'esilio (IlRegesto, II, p. 6; V, p. 115; Chronicon Farfense, II, pp. 224, 226). Molto probabilmente nel corso del suo esilio G. raggiunse il preposito farfense di Offida insieme con altri monaci che avevano abbandonato il monastero in opposizione all'abbaziato di Berardo (II). Con essi egli fece ritorno a Farfa il 23 maggio 1099, allorché il preposito di Offida fu eletto abate con il nome di Berardo (III). G. fu in ottimi rapporti con il nuovo abate e riprese la stesura del Regestum che, però, lo stancò molto, tanto che per un periodo dovette sospenderne la redazione a causa di un grave affaticamento agli occhi che lo rese quasi cieco. Durante la malattia la sua opera fu continuata dal nipote Todino, anch'egli monaco farfense, fino a quando G., ristabilitosi, poté riprendere la sua attività.
Intorno al 1103 G. avviò la stesura del Liber largitorius, vel notarius monasterii Pharfensis, chiamato anche Liber emphiteuseos terrarum monasterii Pharfensis.
La compilazione, assemblata su richiesta dell'abate Berardo (III), raccoglie più di duemila documenti a partire dall'anno 792 ed è preceduta da un prologo nel quale è riportata la dedica dell'opera all'abate. I documenti sono riportati in forma abbreviata e non sono tutti trascritti da G., che anche in questa occasione fu coadiuvato dal nipote Todino. Mentre il Regestum riguarda i titoli e i diritti dei possessi farfensi e in esso sono raccolti documenti attestanti le donazioni e le vendite fatte al monastero, nel Liber largitorius sono contenuti documenti relativi a beni concessi dall'abbazia ai coloni, in enfiteusi o sotto altre forme di contratto, e sono riportati i periodi, le condizioni delle concessioni e le valutazioni dei beni.
Il Liber largitorius fu completato verso il 1107 e intorno a quella data G. diede inizio al Chronicon Farfense, che portò a compimento verso il 1119. Terza opera di G. in ordine di tempo, il Chronicon presenta una forma narrativa ed è una ricostruzione della storia dell'abbazia e dei suoi possessi con l'ausilio della documentazione, rispetto alla quale l'autore opera selezioni consapevoli e mirate.
Come già il Regestum, anche il Chronicon si apre con una serie di cataloghi degli imperatori, dei re, dei pontefici, cui segue un prologo dedicato, come quello del Liber largitorius, all'abate Berardo (III) e un sermone sul primo fondatore di Farfa, Lorenzo, che è stato anche attribuito a Ugo (I). Anche del Chronicon si conserva l'originale, per gran parte autografo di G. (Roma, Biblioteca nazionale, Farf. 1 [297]). La composizione dell'opera risale agli anni di maggior contrasto tra l'abbazia sabina e la sede pontificia. Farfa, per tradizione monastero di confine geografico e culturale tra Ducato di Spoleto e Ducato romano, era come già detto uno dei più fedeli alleati del partito imperiale. Essa era inoltre situata in una posizione strategica, a ridosso di importanti vie di comunicazione come la Flaminia e la Salaria, a un solo giorno di viaggio da Roma. Ciò rendeva i rapporti con la vicina sede romana estremamente tesi nella fase cruciale della lotta per le investiture.
In molteplici occasioni è possibile riscontrare nel Chronicon testimonianze delle relazioni tese tra Farfa e la sede romana così come dei dissidi continui tra il monastero e i ministri del Patrimonio pontificio in Sabina. In un passo eloquente G. scrive: "nos a sancte Romane Ecclesie auctoribus multotiens sustinuisse incommoditates, et non benivolentiam sed potius invidiam, non benignitatem sed contradictionem, non augmentationem sed minorationem, non iustitias sed preiudicia, non diligentiam sed calumniam, non augmentum sed amplius detrimentum in suis bonis" (Chronicon Farfense, I, p. 300).
Il coinvolgimento sempre crescente dell'abbazia nello scacchiere politico comportò la composizione di una serie di opuscoli a sostegno delle pretese del monastero e, negli ultimi decenni dell'XI secolo e nei primi decenni del XII secolo, del partito imperiale.
Nel Chronicon G. inserì un trattato conosciuto come Liber Beraldi (Chronicon Farfense, II, pp. 234-240, 242-255) che presenta notevole interesse in quanto riflette le posizioni ideologiche e le concezioni politiche e religiose del monastero imperiale, certamente frutto di una lunga tradizione, ma giunte a piena maturazione nel corso dell'abbaziato di Berardo (III). Il Liber, con ogni probabilità opera di G., fu scritto agli inizi del 1106 ed è conservato anche presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (Lat. Monac., 148). Del testo tramandato da questo testimone l'edizione è stata curata da K. Heinzelmann. L'occasione immediata alla base della compilazione del Liber fu una causa, descritta con dovizia di particolari da G. nel Chronicon, che vide opporsi a Farfa la potente famiglia dei conti Ottaviani di Sabina della famiglia dei Crescenzi (Chronicon Farfense, II, pp. 232 ss.). La contesa si tramutò ben presto dall'ambito degli interessi e delle forze locali a una dimensione di vastissima portata. Gli Ottaviani impostarono le loro rivendicazioni su argomenti storico-letterari e tirarono in causa la donazione di Costantino. Dietro un'argomentazione di tale entità è facile intravedere la presenza, pur non mai manifestata, della Curia romana, nel tentativo di affermare il diritto della Chiesa a considerare l'Italia, in generale, e i vasti possessi farfensi in particolare, come suo patrimonio. Il Liber costituì la replica farfense - e imperiale - articolata su una serie di punti fondamentali, a partire dall'interpretazione squisitamente religiosa e non politica del costituto costantiniano fino alla presentazione della versione imperiale del decreto di Niccolò II relativo all'elezione pontificia.
G. partecipò, dunque, direttamente alle vicende che videro protagonista il monastero durante la sua vita. Attraverso le sue opere, in special modo i prologhi e i trattati, egli appare perfettamente calato nel clima politico e ideologico della sua abbazia, rispetto al quale egli ha giocato sicuramente un ruolo di primo piano nella tenace difesa dei diritti e nell'affermazione convinta delle sue posizioni ideologiche. Per l'autorità e l'influenza di G. come personalità di maggior rilievo culturale del monastero, vi è stato chi gli ha attribuito la redazione della Orthodoxa defensio imperialis, uno degli scritti di punta nel quadro della produzione politica e polemica farfense nei primi decenni del XII secolo.
L'opera è conservata solo in un manoscritto tardo, del secolo XVI, il cod. D.XIII della Biblioteca Casanatense di Roma ed è stata edita dapprima da I. Giorgi in Il Regesto di Farfae le altre opere di G. di C., in Arch. della Soc. romana di storia patria, II (1879), pp. 460-473, e nel 1892 da L. De Heinemann. Il trattato fu composto intorno all'estate del 1111 in seguito all'esigenza di Farfa di difendersi da coloro che sostenevano che a causa della sua fedeltà all'Impero il monastero si trovava al di fuori della Chiesa.
Il recupero e la sistemazione della tradizione documentaria, resi necessari dall'urgenza di avere a disposizione saldi appigli per difendere gli interessi dell'abbazia, favorirono nell'attività di G. un processo di riflessione sulla storia dell'abbazia e un'attenzione particolare per la ricostruzione della memoria riguardo alle origini e la codificazione dell'identità storico-agiografica del monastero. Un'attenzione consapevole alla dimensione storica e al suo valore nel presente, specialmente come strumento funzionale alle scelte politiche degli abati del monastero, informa - specificata già nel prologo - il Chronicon Farfense, ma è riscontrabile in tutti i lavori di Gregorio da Catino. Tanto nel Chronicon quanto nei prologhi delle altre opere G. inserì sempre un excursus sulle origini e la storia del cenobio, intrecciando notizie mutuate dalla tradizione storica e da quella agiografica di Farfa e assemblandole con fonti di carattere più generale, patristiche (Gregorio Magno e Agostino) o più specificatamente storiche (Paolo Diacono, Orosio, Isidoro di Siviglia, Liutprando e il Liber pontificalis).
Egli non fu così solo l'archivista che sistemò la tradizione documentaria, ma fu lo storico, il vero e proprio architetto della ricostruzione della memoria del cenobio farfense, di cui tratteggiò gli aspetti determinanti l'identità monastica, istituzionale e territoriale di monastero imperiale, fieramente indipendente dalla Sede pontificia.
Per quanto riguarda le fonti a disposizione di G. per la ricostruzione delle origini e della storia del monastero farfense, oltre alle carte egli poté contare anche sulle opere dell'abate Ugo (I), in particolare la Destructio monasterii Farfensis, e sulla Constructio monasterii Farfensis, la più antica fonte sulla storia del cenobio. In realtà, a giudicare dalle citazioni di G. tratte dalla Constructio, essa non sembra essere stata uno strumento risolutivo nella sua opera di ricostruzione delle origini e della storia farfense ed egli compì in larga misura una indagine originale, testimoniata dal fatto che nel prologo della sua ultima opera legò Lorenzo, il fondatore dell'abbazia, a un'altra tradizione agiografica rispetto a quella che aveva proposto nella sua prima opera, mutando parere in seguito a più approfondite ricerche. Egli infatti mise in collegamento Lorenzo con la leggenda agiografica relativa ai XII fratrum qui e Siria venerunt. In questo epilogo della sua lunga ricerca si può rintracciare anche il tentativo da parte dell'anziano storico, in un momento cruciale della storia del suo monastero che ormai aveva perso la sua autonomia dalla Sede pontificia, di rivendicare la propria identità indipendente nella sua origine, legata al territorio spoletino e all'autorità laica dei duchi longobardi.
L'ultima opera di G., il Liber floriger, fu composta intorno al 1130, in un momento particolarmente delicato per Farfa (coinvolta nello scisma tra Anacleto II e Innocenzo II), quando ormai G. aveva raggiunto i settant'anni d'età.
L'opera è un indice topografico dei documenti riguardanti i possessi farfensi, divisi in quattro elenchi. I primi due riguardano i "vocabula ecclesiarum" e i "vocabula rerum", mentre i secondi contengono citazioni dal Regestum e dal Liber largitorius relative alle chiese e alle località registrate nei primi due elenchi.
Quella della composizione del Liber floriger è l'ultima data conosciuta di G., che dovette morire di lì a poco.
Non sembra che G. abbia ricoperto cariche importanti nel monastero, ma certo il suo prestigio culturale non dovette relegarlo in una posizione oscura, salvo forse durante l'abbaziato di Berardo (II). La considerazione di cui dovette godere all'interno del cenobio farfense è evidenziata nei prologhi delle sue opere, in particolare del Liber largitorius e del Chronicon, nei quali si rivolge agli abati e specialmente a Berardo (III) in un modo che lascia intravvedere autorevolezza e confidenza.
Le opere di G. sono state pubblicate in: Il Regesto di Farfa, a cura di I. Giorgi - U. Balzani, I-IV, Roma 1879-1914; Liber largitorius, vel notarius monasterii Pharphensis, a cura di G. Zucchetti, I-II, Roma 1913-32; Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino: precedono la Constructio Farfensis e gli scritti di Ugo di Farfa, a cura di U. Balzani, I-II, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XXXIII-XXXIV, Roma 1903; Il Liber floriger di Gregorio di Catino, a cura di M.T. Maggi Bei, Roma 1984; Orthodoxa defensio imperialis, a cura di L. De Heinemann, in Mon. Germ. Hist., Libelli de lite, II, Hannoverae 1892, pp. 534-542; Die Farfenser Streitschriften, a cura di K. Heinzelmann, Strassburg 1904, pp. 40-64; Collectio canonum Regesto Farfensi inserta, a cura di Th. Kölzer, in Monumenta iuris canonici, s. B, V, Città del Vaticano 1982, pp. 7-9, 13-25, 110 s.; Diversorum Patrum sententiae, sive Collectio in LXXIV titulos digesta, a cura di J. Gilchrist, ibid., s. B, I, ibid. 1973, pp. XLIII-XLVI.
Fonti e Bibl.: I. Giorgi, Il Regesto di Farfa e le altre opere di G. di C., in Arch. della Soc. romana di storia patria, II (1879), pp. 409-473; P. Fournier, Le premier manuel canonique de la Réforme du XIe siècle, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XIV (1894), pp. 147-223; Id., La collezione canonica del Regesto di Farfa, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XVII (1894), pp. 285-301; I. Giorgi, Appunti intorno ad alcuni manoscritti del Liber pontificalis, ibid., XX (1897), pp. 247-312; U. Balzani, Le cronache italiane nel Medioevo, Milano 1900, pp. 141-176; P. Kehr, Urkunden zur Geschichte von Farfa, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, IX (1906), pp. 170-184; I. Schuster, Spigolature farfensi, in Riv. storica benedettina, IV (1909), pp. 587-596; V (1910), pp. 42-88; Id., L'imperiale abbazia di Farfa, Roma 1921, pp. 218-227; V. Federici, L'origine del monastero di S. Vincenzo al Volturno secondo il prologo di Autperto e il "Libellus constructionis Farfensis", in Studi di storia e diritto in onore di C. Calisse, III, Milano 1940, pp. 4-14; G. Brugnoli, La biblioteca dell'abbazia di Farfa, in Benedictina, V (1951), pp. 3-17; Id., Catalogus codicum Farfensium, ibid., VI (1952), pp. 287-303; VII (1953), pp. 85-120; M. Fornasari, Un manoscritto e una collezione canonica del secolo XI provenienti da Farfa, ibid., X (1956), pp. 199-210; G. Brugnoli, Note sulla minuscola farfense, in Riv. di cultura classica e medievale, III (1961), pp. 332-341; S. Boesch Gajano, Berardo, in Diz. biogr. degli Italiani, VIII, Roma 1966, pp. 767-775; H. Schwarzmeyer, Der Liber vitae von Subiaco, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XLVIII (1968), pp. 80-147; H. Grundmann, Eine neue Interpretation des Papstwahldekrets von 1059, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, XXV (1969), pp. 234-236; H. Zielinski, Studien zu den spoletinischen "Privaturkunden" des 8. Jahrhunderts und ihrer Überlieferung im Regestum Farfense, Tübingen 1972, pp. 25-112; W. Kurze, Zur Kopiertätigkeit Gregors von C., in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LIII (1973), pp. 407-456; H. Zielinski, Gregor von C. und das Regestum Farfense, ibid., LV-LVI (1976), pp. 361-404; P. Supino Martini, "Manuum mearum labores". Note sulle "chartae rescriptae" farfensi, in Scrittura e civiltà, II (1978), pp. 45-101; I. Lori Sanfilippo, I possessi romani di Farfa, Montecassino e Subiaco, secoli IX-XII, in Arch. della Soc. romana di storia patria, CIII (1980), pp. 13-39; F.J. Franz, Zur Geschichte der Klöster Farfa und S. Vincenzo al Volturno im 8. Jahrhundert, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXII (1982), p. 5; T. Kölzer, Codex libertatis. Überlegungen zur Funktion des "Regestum Farfense" und anderer Klosterkartulare, in Il Ducato di Spoleto. Atti del IX Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Spoleto… 1982, Spoleto 1983, pp. 609-653; P. Supino Martini, La produzione libraria negli "scriptoria" delle abbazie di Farfa e di S. Eutizio, ibid., pp. 581-607; L. Pani Ermini, L'abbazia di Farfa, in La Sabina medievale, a cura di M. Righetti Tosti Croce, Rieti 1985, pp. 34-59; P. Supino Martini, Roma e l'area grafica della romanesca, Alessandria 1987, pp. 11-15, 249-284; M.T. Maggi Bei, Per un'analisi delle fonti del Liber floriger, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, LXXXVIII (1989), pp. 317-348; M. Selig, Un exemple de normalisation linguistique dans l'Italie médiévale. Grégoire de C. et le Regestum Farfense, in Latin vulgaire-latin tardif, III, Actes du IIIe Colloque international sur le latin vulgaire et tardif. Innsbruck… 1991, a cura di M. Iliescu - W. Marxgut, Tübingen 1992, pp. 327-339; M.T. Maggi Bei, Studi farfensi, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XLVII (1993), 2, pp. 561-568; P. Supino Martini, Itinerario monastico in area romanesca, in I luoghi della memoria scritta, a cura di G. Cavallo, Roma 1994, pp. 49-52; T. Leggio, L'abbazia di Farfa tra "Langobardia" e "Romania". Alcune congetture sulle origini, in I rapporti tra le comunità monastiche benedettine italiane tra alto e pieno Medioevo. Atti del III Convegno del Centro di studi farfensi, Santa Vittoria in Matenano… 1992, Negarine di San Pietro in Cariano 1994, pp. 161-164; E. Paoli, Questioni di agiografia montelucana, in Monteluco e i monti sacri. Atti dell'Incontro di studio, … 1993, Spoleto 1994, pp. 287-317; M.T. Maggi Bei, I possessi dell'abbazia di Farfa in Umbria, in Boll. della Deputazione di storia patria per l'Umbria, XCI (1994), pp. 47-86; T. Leggio, Momenti della riforma cistercense nella Sabina e nel Reatino tra XII e XIII secolo, in Riv. storica del Lazio, II (1994), pp. 17-61; M. Stroll, The Medieval abbey of Farfa. Target of papal and imperial ambitions, Leiden-New York-Köln 1997, pp. 7-13, 70-72, 88-144, 240-247; E. Paoli, I santi siri dell'Umbria e della Sabina, in Id., Agiografi e strategie politico-religiose …, Spoleto 1997, pp. 3-50; E. Susi, Strategie agiografiche altomedievali in un leggendario di Farfa, in Cristianesimo nella storia, XVIII (1997), pp. 277-302; L. Feller, Les Abruzzes médiévales. Territoire, économie et société en Italie centrale du IXe au XIIe siècle, Roma 1998, pp. 51-53; C. Gnocchi, Contributo ad un'indagine sui culti farfensi nei secoli IX-XI. Festività, titolazioni di chiese e toponimi nelle opere di G. di C., in Riv. di storia della Chiesa in Italia, LIV (2000), 1, pp. 31-69; Id., Un sondaggio sui documenti farfensi dei secoli XI e XII, in Atti del Convegno "Santi e culti del Lazio. Istituzioni, società, devozioni". Roma… 1996, Roma 2000, pp. 83-99; U. Longo, Dialettiche agiografiche, influssi culturali e pratiche liturgiche in ambito monastico, ibid., pp. 101-126 passim; Id., Agiografia e identità monastica a Farfa tra XI e XII secolo, in Cristianesimo nella storia, XXI (2000), pp. 311-341; Rep. fontium hist. Medii Aevi, V, pp. 223-225.