greco
Denota per lo più chi era nato nella Grecia classica o comunque in Grecia dimorava: là onde poi li Greci il dipartiro (Pg IX 39); pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi / di Tebe poetando (XXII 88); quel Greco / che le Muse lattar più ch'altri mai (XXII 101, e similmente al v. 108); il gran duca de' Greci (Pd V 69; si noti, negli esempi su riferiti, il persistente uso sostantivato del termine).
All'interno di questa zona semantica l'espressione si fece greco (Pd XX 57) allude a Costantino che mutò la sede imperiale da Roma a Bisanzio; greco di Troia (If XXX 98; e vedi il v. 122) qualifica Sinone, per la sua simulata amicizia col popolo nemico (cfr. Virg. Aen. II 147-148 " quisquis es, iam obliviscere Graios; / Noster eris "); mentre il verso ed ella mi rispose come un greco (Rime LXXII 6) andrà probabilmente interpretato, col Contini, " superbamente ", in connessione con la fama di superbia che nel Medioevo accompagnava i G. (si vedano nel Contini le citazioni dall'Anonimo genovese - " Quasi ogne greco per comun / è lairaor, necho e soperbo " -, dall'Istorietta troiana, dal Tesoretto; altri rimandi pertinenti nel commento di Barbi-Maggini); di diverso avviso è il Pagliaro (Ulisse 435) che si mantiene fedele, in dichiarata coerenza con il contesto, all'interpretazione " senza dar retta ", quasi che Malinconia non abbia compreso le parole del poeta.
La tradizionale arroganza dei G. è anche tra i motivi comunemente addotti per dar senso plausibile alla frase che Virgilio rivolge a D., in presenza della fiamma cornuta dentro la quale gemono Ulisse e Diomede: Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto / ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi, / perch'e' fuor greci, forse del tuo detto (If XXVI 75). Da non trascurare tuttavia la tesi che suppone un'inconciliabilità ultraterrena fra G. e Troiani, qui rifluita per ragioni etniche nell'ostilità dei due peccatori verso D. toscano, ostilità alla quale rimane estraneo Virgilio, appartenente, come lombardo, ad altra area etnica, e non assimilabile agli alleati ‛ toschi ' di Enea (cfr. Pagliaro, Ulisse 433-464; A. Pézard, Le nom grec et le nom latin, in " Bull. Société d'Études Dant. du C.U.M. " I [1950] 1 ss).
In altri luoghi il vocabolo, talora ancora come sostantivo, riguarda principalmente la lingua dei G., oppure i G. stessi, ma in quanto autori e fruitori del loro linguaggio: la prima Mente, la quale li Greci dicono Protonoè (Cv II III 11); uno rampollo, che li Greci chiamano ‛ hormen ' (IV XXII 4); uno vocabulo greco che dice ‛ autentin ' (IV VI 5); questa è la cagione per che Omero non si mutò di greco in latino... essi [i versi del Salterio] furono transmutati d'ebreo in greco e di greco in latino (I VII 15); e ancora I XI 14, III XI 5, IV I 2, XXI 13.