grecismi
Le parole di origine greca che appaiono nelle opere di D. erano nella massima parte già correnti nell'uso popolare o dotto del suo tempo; qualcuna soltanto è stata attinta da lui personalmente agli scrittori latini (classici o cristiani o medievali) o da lui foggiata secondo i modelli che in essi trovava. Nessun vocabolo è stato mutuato direttamente dal greco, che nei tempi di D., all'infuori di isolati individui (e all'infuori dei dialetti parlati nelle colonie calabresi e salentine), era ignoto in Italia.
Fonte di queste voci, oltre che gli scrittori latini classici e quelli cristiani, sono stati gli scrittori latini medievali. Particolarmente importanti a questo riguardo sono le compilazioni enciclopediche e i repertori lessicali: Isidoro di Siviglia, Alessandro di Villedieu, Eberardo di Béthune, Uguccione da Pisa, Giovanni da Genova, nei quali abbondano le spiegazioni di voci dotte e in particolare di g., anche se non sempre degne di fede.
Ecco alcuni esempi tratti dal Graecismus di Eberardo di Béthune (alcuni con spiegazioni esatte, altre approssimative, altre sbagliate), che possono dare un'idea delle connessioni etimologiche offerte da quel repertorio: " Est ares virtus, hinc dicitur Areopagus " (confonde Ἄρης, " Marte ", con ἀρετή " virtù "); " Est egle caper, hinc egloga nomen habet " (falsa etimologia, che spiega il mutamento di ecloga in egloga); " Denotat erge labor, et ab hoc ergastula dicas "; " Est flegmos sanguis, indeque phlebotomus " (confonde φλέγμα, " flemma ", con φλέψ, " vena "); " Est melos dulcis, ac inde melodia dicis " (forse etimologizza il greco μέλος col latino mel, " miele "); " Est orthos rectus, orthographia fit hinc ", ecc.
In Uguccione D. trovava, per esempio, Galaxia spiegato come composto di gala, " latte ", e xios, " quod est circulus " (!); trovava hypocrita spiegato con hyper, " sopra ", e crisis, " aurum ", per confusione tra la famiglia di κρίσις " giudizio ", e quella di κρυσός, " oro " (e il passo di Uguccione gli avrà suggerito di scegliere come pena degl'ipocriti le cappe di piombo dorato); trovava nel lungo articolo sotto la voce oda la definizione etimologica di comœdia, " villanus cantus ", e di tragœdia, " hircinus cantus ", ecc.; trovava parole rare come Protonoè, " la prima mente " (Cv II III 11), o l'ipotetico latino poire, " esprimere poeticamente ", adoperato nel De vulg. Eloq. (II IV 2) in relazione con poesis.
Nel Catholicon di Giovanni da Genova D. poteva leggere la spiegazione etimologica, più o meno attendibile, di bruma, di scaena, ecc.
Di queste cognizioni D. fa volentieri partecipi i lettori, ora soffermandosi a chiarire etimologicamente qualche parola (per es. ‛ filosofo ': tanto vale in greco ‛ philos ' com'è a dire ‛ amore ' in latino... e ‛ soph[os] ' quasi sapien[te]. Per che vedere si può che questi due vocabuli fanno questo nome di ‛ filosofo ', che tanto vale a dire quanto ‛ amatore di sapienza ', Cv III XI 5; ‛ peripatetico ': Peripatetici, che tanto vale quanto ‛ deambulatori ', IV VI 15; pratico': pratico è tanto quanto operativo, XXII 10, ecc.), ovvero a precisarne il significato (come per ‛ prosopopeia ', una figura questa, quando a le cose inanimate si parla, che si chiama da li rettorici prosopopeia, III IX 2, o per ‛ anticthona ': Questo mondo volse Pittagora - e li suoi seguaci - dicere che fosse una de le stelle e che un'altra a lei fosse opposita... e chiamava quella Anticthona, V 4).
Non conoscendo la grammatica greca, D. non poteva rendersi conto che anticthona era in accusativo, e adattarla altrimenti; similmente quando cita hormen: uno rampollo, che li Greci chiamano ‛ hormen ', cioè appetito d'animo naturale, Cv IV XXII 4 (propr. ὁρμή, " impetus "); anche XXI 13. Peggio gli accadde nel noto verso poi siete quasi antomata in difetto (Pg X 128): essendosi imbattuto (forse nella versione latina medievale del De Historia animalium di Aristotele) in un entoma o antoma plurale di ἔντομον, " insetto ", credette di poter adattare la parola facendone un plurale secondo il tipo problema - problemata.
Diversa origine ha il malinteso le Naiade (Pg XXXIII 49), dovuto a un'errata lezione (Naiades... solvunt, in luogo di Laiades... solverat) in un codice di Ovidio (Met. VII 759-760).
Formazioni corrette, e dovute, sembra, personalmente a D. sono le voci teodia (Pd XXV.73) ed Eunoè.
Non è il caso di dar qui un'analisi fonetica e morfologica del modo di adattamento dei grecismi. Basti ricordare che spesso i vocaboli della terza declinazione greca si presentano con la terminazione in -a, come poteva essere in latino quando erano declinati alla greca: etera, orizzonta (If XI 113, in rima, accanto a orizzonte, che si ha sei volte nell'interno del verso e una volta in rima, e a un esempio di orizzòn, pure in rima), peana; simile è il trattamento di molti nomi propri: Flegetonta, accanto a Flegetonte (ma sempre Acheronte), Simoenta, Elicona, Calcanta (e qui, a rigore, potremmo catalogare anche l'Anticthona citato più su). Del resto, probabilmente per influenza dantesca, ancor oggi sono rimasti nell'uso letterario peana, Simoenta, Elicona. In alcuni casi D. si attiene al nominativo: Apollo, Tale (non Talete).
Ma dobbiamo soffermarci un poco su un punto importante, sull'accento dei nomi propri. Nel Doctrinale, Alessandro di Villedieu distingue fra parole greche, le quali si devono pronunziare secondo l'accento latino (" Graeca per accentum debes proferre latinum ", v. 2329) dalle voci ‛ barbare ' (cioè per lo più ebraiche) non declinate alla latina, che vanno pronunziate ossitone. Ma Giovanni da Genova estende questa ossitonia agl'indeclinabili in genere, anche greci, e alle parole declinate alla greca: nel suo Catholicon troviamo per es. Peàn, Titàn e, per i nomi ebraici, Absalòn, Ierusalèm, Ioachìm. E Bartolomeo da San Concordio, coetaneo di D., distingue Jùda-Jùdae da Judà (naturalmente, in latino). In D. alcuni dei nomi propri greci sono adattati secondo il latino: Aletto, Diomede, Dioscoride, Omero, Pasife, Platone (anche Plato), Serse, Ulisse, ecc.
Non sempre è rispettata la quantità latina: si pensi a Pisistràto, Polissèna, Ipocràte (sicuramente in Pg XXIX 137, probabilmente in If IV 143), con probabilità Eteòcle; non sappiamo come D. accentasse Proserpina, Pg XXVIII 50, ma per es. il Pulci leggeva Proserpìna; Tesifòn sembra troncamento di Tesifone.
L'ossitonia predomina senz'altro, sia nei nomi propri greci in consonante, come Caròn, Eritòn, Fetòn (due volte, di cui una in rima, accanto a Fetonte), Iasòn, Iliòn; Flegiàs, Cleopatràs (altrove Cleopàtra), Caòs, Eliòs, Minòs (sette volte, una volta Minòi), Diogenès, Empedoclès, Eufratès, Lachesìs (accento dubbio), Semiramìs, Parlìs. Per i nomi in vocale citiamo Antigonè, Caliopè, Climenè, Deifilè, Ismenè, Penelopè, Semelè; Eunoè, Letè; Cliò e forse Clotà. Obbediscono a questa regola anche i nomi comuni idropesì (If XXX 52) e poesì (Pg I 7); inoltre, come si è già accennato, le parole ebraiche.
Un altro punto in cui l'accentazione delle parole greche è molto incerta è la serie delle parole di origine greca in -ia, non sempre conforme all'accentazione latina (classica o medievale): abbiamo così làtria, elitròpia, Efigènia, ma comedìa, tragedìa, teodìa. Qualcuno legge Polimnìa (Pd XXIII 56), ma Polimnïa è lettura più probabile (accolta dal Petrocchi).
La semantica dei g. è essenzialmente quella che i vocaboli avevano assunto nella latinità medievale: per es. comedia e tragedia non significano più due tipi di rappresentazioni teatrali, ma componimenti di stile basso o di stile alto. Similmente presentano significati medievali parole derivate come istoriare e n'usaico. Non di rado, poi, la libertà metaforica dello scrittore ci presenta le parole con accezioni particolari: archimandrita per " capo di un ordine religioso in genere ", musa per " poeta ", paroffia per " parte del cielo ". Nell'adoperare tetragono nel noto verso di Pd XVII 24 il poeta non intendeva scostarsi né dal valore grammaticale di sostantivo né dal significato geometrico (probabilmente di " cubo "): solo dai posteri, attraverso il contesto, la parola fu intesa come aggettivo e con il significato di " incrollabile ".
Bibl. - Per l'accento dei g., v. PARODI, Lingua 232-235, 327, 361-363.