Ancor prima dell’introduzione dell’euro non erano mancate voci critiche, anche da economisti di primo piano, che rimarcavano come i paesi della futura Eurozona non rappresentassero una ‘area monetaria ottimale’. Eppure fino allo scoppio della crisi economica la scommessa dell’euro sembrava vinta, a partire dai paesi ‘periferici’ dell’Eurozona. Questi paesi avevano infatti potuto godere di bassi tassi di interesse che non riflettevano pienamente il loro quadro economico e che avevano reso meno urgenti interventi tesi a migliorare la loro competitività e a ridurre il loro crescente indebitamento. Parallelamente i paesi più forti dell’Eurozona avevano trovato nei paesi periferici della zona euro una irripetibile occasione per ottenere rendimenti più alti per i loro investimenti (da qui ad esempio l’alta esposizione delle banche tedesche e francesi verso Atene). Una apparente win-win situation le cui fragilità sono state portate allo scoperto dalla crisi. Il caso greco è decisamente emblematico perché mostra con chiarezza non tanto la fragilità dell’euro in sé, quanto piuttosto dei suoi meccanismi di governance. In altri termini sono emerse le ampie lacune legate ad un mancato coordinamento delle politiche economiche, non solo quelle legate ai bilanci nazionali, che hanno permesso a paesi come la Grecia di comportarsi da free rider arrivando addirittura a falsificare i propri conti nazionali, e a paesi più forti, come la Germania, di perseguire politiche di crescita sbilanciate e guidate da interessi troppo ‘nazionali’. Eppure si farebbe un errore se non si riconoscesse che negli ultimi anni tanto è stato fatto per cercare di mettere mano a questi difetti, soprattutto in termini di maggior coordinamento delle politiche di bilancio degli stati e per impedire che la crisi dei debiti sovrani si traduca di nuovo in futuro in una crisi del sistema bancario. Il rafforzamento del semestre europeo e l’unione bancaria sono misure che solo alcuni anni fa sarebbero sembrate impensabili, anche solo da proporre. Eppure non sono sufficienti. Non lo sono, ad esempio, quando si tratta di affrontare il nodo cruciale della bassa convergenza economica tra i paesi dell’Eurozona. La ‘Macroeconomic Imbalance Procedure’ che avrebbe dovuto allargare il controllo all’intero spettro – o quasi – delle politiche economiche appare del tutto inadeguata. A completamento del quadro va aggiunta la mancanza di un meccanismo di trasferimento all’interno dell’Eurozona che permetta di spostare risorse da un paese ad un altro soprattutto in caso di shock asimmetrici (come avviene negli Stati Uniti con i fondi federali).
In altri termini, sono mancati meccanismi di governo ‘semi-federale’ con la conseguenza che la soluzione del caso greco è stata lasciata alla continua ricerca di un compromesso tanto difficile quanto sbilanciato tra i paesi del nord sostenitori dell’austerity e quelli del sud orientati alla flessibilità. Questo complesso esercizio di negoziazione permanente ha portato fino al terzo pacchetto di aiuti alla Grecia nell’estate del 2015, che ha sì evitato la spaccatura dell’euro ma al costo di una ricetta in cui l’austerity è stato l’ingrediente principale, se non addirittura l’unico. In queste condizioni il rischio che per i greci il piatto torni ad essere presto indigesto è più che concreto.
Condannare un paese ad un avanzo primario - la differenza tra le entrate e le uscite dello stato al netto degli interessi - positivo per oltre 20 anni, non solo non ha pari nella storia ma è anche palesemente insostenibile da un punto di vista politico. Quale governo potrà rimanere in carica se condannato a queste dure condizioni?
La questione greca è quindi solo momentaneamente ‘congelata’ e il rischio che riesploda in futuro è concreto. Per evitare che questo avvenga non si può e non si deve lasciare l’onere solo sulle spalle dei greci e contare, magari in occasione di una futura tornata elettorale, sulla loro buona volontà supportata dalla minaccia - non tanto velata - dell’uscita dall’euro.
L’Europa ha oggi bisogno di nuova progettualità politica, di coraggio e visione non per cancellare ma per completare il grande disegno della moneta unica.