PERCACINO, Grazioso
PERCACINO, Grazioso. – Nacque a Portese sulla riva bresciana del lago di Garda probabilmente nel secondo o terzo decennio del Cinquecento. Il padre, Giovanni Pietro, originario di Salò, era attivo come commerciante o come produttore nel settore della carta. A sua volta aveva potuto contare su una famiglia in buone condizioni economiche: già alla fine del XV secolo, come dimostra la documentazione catastale, essa possedeva a Portese diverse residenze e attività commerciali.
Percacino si trasferì a Padova per esercitarvi l’apprendistato nell’arte tipografica prima della metà del Cinquecento. A Padova la stampa aveva mosso i primi passi intorno al 1470, ma aveva subito una netta flessione nei primi decenni del Cinquecento, scontando a lungo le conseguenze della guerra di Cambrai (1508-09), disastrosa per Venezia così come per i suoi domini di Terraferma. Percacino iniziò presto un’autonoma attività di tipografo ed editore. La prima pubblicazione, intitolata Una breve prattica di medicina per sanare le passioni dell’animo e uscita anonima tra il 1552 e il 1553, fu una delle ultime opere di Ortensio Lando, medico e letterato con simpatie erasmiane, condannato dall’Indice veneziano del 1554 e dagli Indici romani del 1557 e del 1559. Nel 1554 la produzione mostra un profilo decisamente più basso: Percacino pubblicò un avviso di sole quattro carte relativo alla battaglia di Renty (13 agosto 1554), che vide una netta vittoria degli eserciti di Enrico II sulle truppe di Carlo V, e due brevi scritti encomiastici del padovano Giovanni Maria Masenetti rivolti al doge Francesco Venier; la stessa Dialectica di Michael Schoter, dedicata alla duchessa di Ferrara Renata di Francia, era composta soltanto di 32 carte. Nel 1555 gli sono attribuite due opere protestanti in lingua slovena, una di Mattia Flacio Illirico (Rasgovarange megiv papistu i gednim Luteram), una (con traduzione italiana) di Pier Paolo Vergerio (Ena molitov tih Kerszhenikou, kir so sa volo te praue Vere Viesusa Cristus, pregnani; Oratione de perseguitati e forusciti per lo Evangelo e per Giusu Cristo).
Solo dopo il 1555 impose con la forza la sua presenza: infatti, fino al 1565 (anno in cui si trasferì definitivamente a Venezia), egli pubblicò poco meno di 70 titoli, cioè il 45% di tutta la coeva produzione padovana. Gli interessi editoriali, nel contempo, si precisarono: due testi sulla pestilenza che nel 1555 aveva toccato Padova (la Patavina pestis descriptio di Grazio Maria Grazi e il Consiglio sopra la pestilentia qui in Padoa dell’anno 1555 di Francesco Frigimelica) aprirono la serie delle edizioni di argomento medico di questa prima fase di attività (tra le quali spicca il De vena in pleuritide di Vittore Trincavelli, del 1563). Per testi di questo stesso ambito disciplinare – molto coltivato presso lo Studio patavino –, utilizzò per la prima volta la filiale che aveva impiantato a Venezia: con la sua marca (una salamandra con corona in mezzo alle fiamme) e il suo motto («Sopra ogn’uso mortal m’è dato albergo») uscì nel 1557 l’Apologia pro Galeno di Oddo degli Oddi; quindi, per Marcantonio Olmo (con un’altra marca – il serpente alato attorcigliato a un bastone – e un altro motto: «Salus vitae») produsse la prima impressione (datata 1561) delle Observationes anatomicae di Gabriele Falloppia. Altre edizioni durante i primi dieci anni a Padova riguardarono l’ambito filosofico: nel 1562 il filosofo naturale Simone Simoni pubblicò con Percacino i suoi Theoremata ex omnibus philosophiae partibus sumpta. Anche la matematica fu ben rappresentata: Percacino fece uscire la prima edizione latina del commento di Proclo Diadoco agli Elementi di Euclide, a cura di Francesco Barozzi. Nell’ambito del diritto spiccano i Theoremata sul diritto imperiale, feudale e pontificio di Sebastiano Montecchio (1562) e i Commentariorum iuris Pontificij in omnes quattuor ordinarias Decretalium partes di Marco Mantova Benavides (1563).
Negli anni intorno alla conclusione del Concilio di Trento non potevano mancare interventi di argomento dottrinale: nel 1562 pubblicò l’Oratio habita ad patres sacri Concilii Tridentini di Juan Fonseca, uno dei cosiddetti teologi minori del Concilio; l’anno successivo fu la volta della predica di Juan de Ludeña De tribus domini nostri Iesu Christi, et eius sponsae tentationibus (congiunta con una Disputatio theologica de coelibatu sacerdotum contra Lutheranos); nel 1565 diede alle stampe il Decreto del sacro concilio Tridentino sopra la riforma delle monache. Tuttavia nel vivo dei dibattiti Percacino si era altresì dimostrato non necessariamente allineato con le posizioni della Sede apostolica romana: fece infatti uscire anche l’orazione tenuta nell’assemblea tridentina dal vescovo di Titina, il croato Andreas Dudith (5 settembre 1562), in favore dell’ipotesi di concedere il calice ai laici.
Negli anni padovani, anche la poesia era ben rappresentata dal catalogo del Porcacino: fra gli altri, egli pubblicò nel 1563 le Stanze del poeta bresciano Bartolomeo Arnigio e nel 1564 la prima traduzione in volgare italiano dei cinque libri iniziali dell’Iliade (opera di Paolo Badessa da Messina); in precedenza (1558), egli aveva pubblicato La prima parte de le rime di Magagno, Menon, e Begotto del poeta e pittore Giovanni Battista Maganza, uno dei primi testi in vernacolo padovano.
Tra il 1565 e il 1566, si trasferì a Venezia, insediandosi presso il campo Ss. Apostoli (dove ebbe casa, tipografia e libreria). Guadagnò presto la stima degli altri stampatori e ricoprì anche incarichi nella corporazione di mestiere, giungendo al grado di priore nel 1581. Fino alla fine del XVI secolo pubblicò circa 115 titoli. Il 20% sono opere di argomento religioso (segno di un clima ormai cambiato, con il consolidamento della Controriforma). Incappò però nelle censure ecclesiastiche quando pubblicò il Missale Romanum, ex decreto Sacrosancti Concilii Tridentini restitutum (1573), senza averne il relativo privilegio.
Il 15% delle sue opere sono di medicina, il 10% di diritto, l’11% pubblicazioni d’occasione (compresi avvisi, relazioni di festeggiamenti, descrizioni di apparati funebri); il 10% trattati di filosofia e di matematica. Fra i restanti ambiti culturali, solo cinque opere sono di letteratura, ma tutte di alto profilo: fu sua una delle prime quattro edizioni della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso; ci furono poi un Orlando furioso corredato di 51 figure xilografiche, la traduzione italiana dell’Amadigi di Gaula, le Epistole familiari di Cicerone commentati da Francesco Priscianese a uso degli studenti di grammatica e retorica. Inoltre, Percacino pubblicò nel 1581 la decima edizione della Civil conversazione di Stefano Guazzo, pilastro della cultura cinquecentesca della corte, uscito per la prima volta a Brescia nel 1574.
Dal 1600 al 1612, si aggiunsero poco più di venti testi, fra cui il Corso di guerra di Piermaria Contarini (1601) e diverse opere di argomento astronomico di Giovanni Antonio Magini. Oltre alle insegne già citate, egli ne utilizzò altre: una con Minerva e la pianta di ulivo e il motto «Oliva Minerva», una con la raffigurazione di un’ancora sacra e di un serpente.
Percacino morì in data non precisata, verosimilmente a Venezia all’inizio del secondo decennio del Seicento.
Fonti e Bibl.: B. Saraceni Fantini, Prime indagini sulla stampa padovana del Cinquecento, in Miscellanea di scritti di erudizione in memoria di Luigi Ferrari, Firenze 1952, pp. 421 s., 436; G. Zappella, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, I, Milano 1986, ad ind.; G. Nova, Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Cinquecento, Brescia 2000, ad ind.; C. Amedei - P. Randi, Cinque secoli di libri: tipografi, editori, librai a Padova dal Quattrocento al Novecento, Padova 2001, ad indicem.