BAMBAGLIOLI, Graziolo
Nacque a Bologna nel 1291 circa (in un processo del 1321 è detto Bonagrazia, dal nome di provenienza materna, Francesca di Bonagrazia di Gerardo).
La famiglia, il cui nome è variamente segnato nelle carte (Bambaiuoli, Bambagnoli, Bambagioli, Bombayoli, e così via) era della buona borghesia bolognese ed abitò per lungo tempo "nel suburbio occidentale, presso il tempio francescano, ora via Borghetto" (Casini, p. 146). Il nonno, Amico, fu massaro del Comune di Crevalcore nel 1259 e notaro nel 1265; appartenne ai Savi nel 1296 e agli Anziani nel 1297 e nel 1307. Il padre, Bambagliolo di Amico, fu notaro nel 1283, proconsole della Società dei notari dal 10 al 23 dic. 1305, poi ancora notaro e "officiale" dell'arte notaria tra il 1310 e il 1325, console e infine ambasciatore del Comune a Modena nel 1326.
Il B., che ebbe sei sorelle (Margherita, Chedina, Iacopa, Misina, Belda e Zanola) e almeno due fratelli anch'essi notari (Francesco nel 1318 e Pellegrino nel 1321; il Casini ricorda anche gli zii del B.: Geminiano, notaro nel 1282, Lambertino nel 1305, Uguccione nel 1283; e così cugini ed altri parenti), si avviò ben presto alla carriera degli uffici pubblici, sia, dunque, per tradizione familiare, sia per viva inclinazione. Fu con lui che l'arte notaria, già a Bologna ricca di esempi e illustrata da maestri in oltre un secolo di vita, acquistò nuovo impulso.
Il 10 giugno 1311 il B. fu eletto notaro. Il 18 sett. 1320, ancora notaro. venne chiamato all'Ufficio dei procuratori. Nel 1321 fu eletto al Consiglio del popolo: nomina sottoposta poi a giudizio a causa di un errore di trascrizione e infine ratificata il 23 sett. 1321. Nello stesso anno, e precisamente il 26 luglio, fu chiamato alla Cancelleria, come secondo cancelliere, con un procedimento straordinario. La sua nomina infatti non fu limitata ad un semestre, come le precedenti di altri, ma fu permanente, "tamquain continuus et solicitus cancellarius", e per di più gli si diede la qualifica di "aliorum cancellariorum, ad sufficientiam non solemnium nec industrium informator", di coordinatore pertanto dei lavori di Cancelleria e di vigilanza e di "insegnamento di carattere letterario per i cancellieri transitori" (Casini, p. 150). Morto Giovanni di Bonandrea, il 26 luglio 1321 ascese alla carica di primo cancelliere il B., che la conservò fino al 1334. Nel giugno del 1324, per un trimestre, fu chiamato al consiglio degli Anziani. Il 7 luglio 1326 sposò Giovanna di Lorenzo Bonacati (o Bonaccatti), da cui ebbe certamente un figlio, Giovanni, cui si riferisce un documento del 1344. Durante questi anni bolognesi fu, sotto il card. Bertrando del Poggetto, tra il 1328-1329, notaro alle spie, carica che allora non aveva carattere di odiosità poliziesca (diversamente P. Papa, in Arch. stor. ital.,XXXIV (19041, pp. 469 ss.), ed esplicò altre attività. Nel 1329 il Vernani, in omaggio allo studioso e all'uomo di alte qualità civiche, gli dedicò il De reprobatione Monarchiae. Ma anche questo è un avvenimento che non può lasciare ombre e perplessità sulla devozione del B. per Dante.
Cacciato da Bologna il cardinale Bertrando il 28 marzo 1334 e costituitosi un governo comunale con podestà Lippo degli Alidosi, incominciarono le traversie per tutta la famiglia Bambaglioli; e non per questa sola. Come precedente lontano di contrasti politici può considerarsi un documento del maggio 1313, in cui il B. e suo zio Uguccione, insieme con altri cittadini bolognesi, furono citati come nemici dell'imperatore Arrigo VII (Livi, p. 84). Ad ogni modo, con le condanne del 1334, circa millecinquecento cittadini furono banditi da Bologna (Frati, 1893, p. 212). Il B. fu costretto ad abbandonare la città con lo zio Uguccione il 2 giugno 1334 con la "tercia muda". Con le seguenti, altri della famiglia furono allontanati; con la "sexta muda", tutti "de domo de Bambaglioli": almeno nove nell'insieme. Ma già tra il 28 aprile e il 4 maggio, nelle gravi agitazioni cittadine, case e beni, e forse anche le persone, dei Bambaglioli subirono danni.
Il bando prescriveva agli esiliati un luogo distante da Bologna, non inferiore a quaranta miglia. Il B. si staccò dai compagni di sventura (molti sì fermarono in Romagna, altri si avviarono a Venezia, Chioggia, Trento, ecc.) e andò a Napoli. Né sappiamo il perché. La sua presenza è costì attestata, come prescriveva il bando, in un documento del 14 ag. 1334 e via via in altri del 27 sett. 1334, del febbraio 1335 e del 27 marzo 1335, in cui figura come "vicario di Manfredo conte di Sartiano, capitano della città di Napoli per re Roberto" (Frati, 1893, p. 213). La sua qualifica fu di "olim Comunis Bononie Cancellarius". Null'altro si sa dopo questa data. La morte avvenne certamente prima del 1343.
Il B. proprio negli anni del pieno interesse alla cosa pubblica e del felice avvio agli uffici, tra il 1322 e il 1324,dové stendere il suo commento in latino all'Inferno di Dante, che, come si ricava da una chiosa al c. XXI, 112-14,fu condotto a termine nel 1324. Dall'ambiente di notari e lettori svegli e avidissimi, in una città che può considerarsi la prima nello studio e nell'applicazione a Dante, gli pervennero stimoli e suggerimenti. Ma prontezza d'intuito, cultura, devozione sono qualità proprie del Bambaglioli. Il commento ben presto si diffuse, se già l'Ottimo lo cita in due luoghi (VII, 88;XIII, 91) e in altri liberamente lo adotta. Giustamente il Witte lo pose a capo di molte "dozzine di chiosatori" della Commedia. Notevoli, in rapporto al tempo di stesura, sono i richiami alla mitologia e alla allegoria (ch'è tutta presente nel c. I), come anche i riferimenti alla storia antica e alle vicende fiorentine. I simboli sono già quelli d'oggi. Dante, si sa, è lo scienziato "civem et huius mirandi singularis et sapientissimi operis autorem interiorum et exteriorum bonarum ac scienciarum" (ed. Fiammazzo 1915, p.1).La scienza è quella cristiana "per quani tanquam per viam magistram anima intellectualis crescit gratia et virtute" (ibid., p. 7). Il Vernon pubblicò nel 1848come di anonimo un commento all'Inferno chedeve però considerarsi una traduzione del testo del B. (Rocca, p. 47). Spetta il merito, dopo certi assaggi del Witte (v. C. Vassallo, Lettere di C. Witte in La Sapienza, V [18831, pp. 180 ss. e ancora le notizie di A. Reumont, Carlo Witte, Ricordi dì A. R., in Arch. stor.,XVI[18851,pp. 47-88) e di altri (il Carducci ne parla bene, ma come di anonimo), al Fiammazzo dello studio dei codici e dell'edizione critica del Commento dantesco dal Colombino di Siviglia con altri codici raffrontato (1915). È del B. anche il Trattato delle volgari sentenze sopra le virtù morali, che fu pubblicato, per la prima volta e sotto il nome di Roberto re di Gerusalemme, dall'Ubaldini nel 1642(ancora: Torino 1750),e poi restituito al suo autore dal Cavedoni (Modena 1821)ed oggi, in edizione critica, dal Frati (1915). Ivi c'è ancora il ricordo, per cui l'opera si deve porre nel periodo napoletano (e questo anche per la dedica a Manfredo conte di Sartiano), dell'"exul immerite humílis servus eius olim civitatis Bononie cancellarius" (Frati, 1915, p.3). L'opera è divisa in cento rubriche (ma c'è anche qualche bis come la XXXVIII) per un insieme di 678versi. La rubrica I, vv. 1-14, è per l'Invocatione; le rubriche II-XI, vv. 15-69,trattano, come prima parte, Virtù e amistade; le rubriche XII-LXXXV, vv. 70-521,come seconda parte, la Prudentia;le rubriche, infine, LXXXVI-C,vv. 522-678, i Vitii e difetti de la humana vita. Il trattato non si stacca dal fondo comune del tempo, ma è indubbio che sotto il formulario moralistico s'agita dolorante un'esperienza umana e personale.
Bibl.: K. Hegel, Ueber den histor. Werth der älteren Dante-Commentare, Leipzig 1878, pp. 6 ss. (che però non identifica l'autore del Commento); A. Fiammazzo, I codici friulani della Divina Commedia - Il commento del B. presso il Fontanini,Udine 1890; F. Falco, Moralisti italiani del Trecento,Lucca 1891, pp. 38-44 (su cui v. F. Flamini, in Giorn. stor. d. letter. ital.,XXII[1893], pp. 278-79); F. Frati, Notizie biogr. Di rimatori ital. dei secc. XIII e XIV,VII; G. B.,in Giorn. stor. d. lett. ital.,XVII(1891), pp. 367-80; L. Rocca, Di alcuni commenti della Divina Commedia composti nei primi vent'anni dopo la morte di Dante,Firenze 1891, pp. 43-77; A. Fiammazzo, Il commento più antico e la più antica versione latina dell'Inferno di Dante dal codice di San Daniele del Friuli con una lettera di C. Witte, Udine 1892, pp. XVII-160 (su cui v. R. Renier, in Giorn. stor. d. letter. ital.,X[1887], p. 426; XI [1888], p. 488; XIX [1892], p. 214); F. Frati, G. B. esiliato a Napoli, in Giorn. dantesco, I (1893), pp. 212-16; Id., Rimatori bolognesi del Trecento,Bologna 1915, pp. XIII-XX, e per il Trattato,pp. 3-56; A. Fiammazzo, Il commento dantesco di G. d. B. dal Colombino di Siviglia con altri codici raffrontato. Contributi,Savona 1915, pp. XLV-150 (su cui v. F. Flamini, in Rassegna bibl. d. letter. ital., XXIV[1916], p. 128; E. Rostagno, in Bullett. di Società Dantesca ital.,XXII [1915], p. 144); T. Casini, Intorno a G. B., in L'Archiginnasio, XI(1916), pp. 146-70; G. Livi, Dante, suoi primi cultori, sua gente in Bologna,Bologna 1918, pp. 77-106; E. Cavallari, La fortuna di Dante nel Trecento,Firenze 1921 pp. 175-82; O. Zenatti, L'opera di Dante lodata G. B., in Dante e Firenze, Firenze s. d., pp. 1-3; L. Sighinolfi, La prima polemica dantesca a Bologna,in Strenna storica bolognese, II(1929); N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1938, pp. 115 s.; F. Mazzoni, Per la storia della critica dantesca, L I. Alighieri e G. B. (1322-1324), in Studi danteschi, XXX(1951), pp. 157-202; Encicl. Ital.,VI,p. 15.