GRAZIANO
. Monaco camaldolese, nato in Italia, residente nel monastero di S. Felice di Bologna, dove insegnava teologia. S'ignora l'anno della sua nascita; è probabile che egli vivesse ancora fra il 1151 e il 1159, ma non, forse, oltre quest'anno. Egli è autore di una collezione sistematica e completa delle leggi ecclesiastiche, molte delle quali non erano allora in alcun modo raccolte o non erano sempre riportate fedelmente e con ordine, onde spesso apparivano in contraddizione fra loro. La data è discussa. Senza dubbio essa è posteriore al 1139, poiché vi si riportano i canoni del II Concilio Lateranense, tenuto in quell'anno; e sembra che sia stata compiuta prima del 1150. Lo Schulte ritiene che la data del Decretum debba essere posta fra il 1139 e il 1142. G. intitolò la sua raccolta Concordia discordantium canonum, appunto perché concepi e attuò il proposito di conciliare le apparenti contraddizioni delle leggi canoniche. Altri la chiamò Corpus iuris canonici, il nome, poi prevalso, di Decretum, le fu dato verso la fine del sec. XII.
La raccolta di G. è divisa in tre parti. La 1ª comprende 101 distinctiones, suddivise in canones o capita; le prime 20 distinzioni (initium o principium) costituiscono un'introduzione sui concetti generali e sulle fonti, le altre (tractatus ordinandorum) concernono le persone e gli uffici ecclesiastici. Questa sola divisione in parti è di G.; la suddivisione in distinctiones è opera di Paucapalea, discepolo di G. La seconda parte del Decretum è divisa in 30 causae; ciascuna causa è suddivisa in quaestiones e queste in canones. Ogni causa rappresenta un caso controverso di diritto; le quaestiones sono i diversi quesiti giuridici a cui esso dà origine, e ai quali G. risponde, confortando la sua soluzione con l'autorità dei canones. Questa parte contiene il diritto penale e quello processuale, le norme sui beni ecclesiastici, il diritto dei religiosi e il diritto matrimoniale. Alcuni gruppi di cause, e qualche causa singola, sono talvolta indicate con un nome particolare: tractatus decretalium, causa simoniacorum, tractatus coniugii, ecc. La questione terza della causa 33 parla de poenitentia, ed è così denominata; fu divisa, non da G., ma da altri, in 7 distinctiones suddivise in canones. La terza parte del Decretum si occupa di materia liturgica, ed è denominata de consecratione, o anche liber de Sacramentis; essa pure fu, da Paucapalea, ripartita in 5 distinctiones e in canoni. Le distinzioni e le questioni delle causae furono più tardi divise in partes da Guido da Baiso.
In seguito i canoni furono numerati e per la prima volta nell'edizione di Carlo Dumoulin del 1554. Opera degli editori sembra pure la divisione in paragrafi. Forse le rubriche sono di G. Nelle diverse distinctiones, fra i canoni si trovano alcuni brevi commenti, che servono a congiungere fra loro i passi riportati, ovvero a chiarirli e interpretarli, ovvero, più spesso ancora (in conformità dello scopo dell'opera), a conciliare le apparenti contraddizioni: ratione significationis, chiarendo, cioè, il senso delle disposizioni; ratione temporis, ossia dimostrando come i diversi precetti si riferiscano a tempi differenti; ratione loci, cioè rilevando come si tratti di una disposizione locale in eccezione al diritto generale; ratione dispensationis, vale a dire spiegando la contraddizione con l'intervento di una dispensa. Questi commenti (detti paragraphi o dicta Gratiani) sembra che debbano attribuirsi a G. Fra i canoni si trovano dei passi che sono stati detti Palae Decreti; si ritiene che siano testi omessi da G., e aggiunti dai suoi discepoli, primo fra tutti da Paucapalea.
Le varie parti si citano nella maniera seguente. Per la prima e per la terza s'indicano prima il canone (col numero, e, più anticamente, con le prime parole), e poi la distinzione, aggiungendo la lettera D; si aggiungono, per la terza parte, le parole de consecratione, per non confonderla con l'altra. Così: c. miramur, D. LXI, ovvero c. 5, D. LXI; c. de his iero, D. V de consecr., ovvero c. 3, D. V de consecr. Per la seconda parte si citano prima il canone, poi la causa, e quindi la questione. Così: c. quia iuxta, C. XVI, q. 1, ovvero c. 51, C. XVI, q. 1. Per la questione terza della causa 33 si segue lo stesso sistema di citazione della prima e della terza parte, aggiungendo de poenitentia. Così: c. qui egerit, D. VII de poenit., ovvero c. 3, D. VII de poenit.
Le fonti, da cui G. trasse i testi, furono la S. Scrittura, i Canones Apostolorum, i Canoni dei concilî, le Decretali dei pontefici, le opere dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, varî libri ufficiali della Chiesa universale e delle chiese particolari, come l'Ordo Romanus, il Liber Diurnus, i libri penitenziali (v. canoniche, collezioni); alcuni passi delle leggi romane e qualche capitolare franco. E li trasse, in generale, non dagli originali, ma dalle raccolte usate al suo tempo; particolarmente dalla collezione dionisiana (v. dionigi il piccolo), dal Decreto di Burcardo di Worms, dalle opere di Ivone di Chartres, da quella di Reginone di Prüm, dal Polycarpus, dalle collezioni di Anselmo di Lucca e del Cardinale Deusdedit, e da altre (v. canoniche, collezioni).
Il Decretum di G. ottenne, per i suoi pregi e per la sua utilità, grande favore nei tribunali, nelle scuole e presso gli scrittori; ma né da principio, né in seguito, ebbe autorità di collezione legislativa ufficiale; rimase sempre un lavoro privato; e tale lo ritennero i più antichi canonisti, i quali talvolta preferirono ricorrere ai testi originali. Più tardi, verso la fine del sec. XII, l'uso delle fonti originali divenne più raro; e l'opera di G. fu considerata come un corpus del diritto canonico vigente, che toglieva valore alle altre collezioni. Ma i testi raccolti da G. hanno soltanto l'autorità che deriva dall'origine e dalla natura loro, indipendentemente dal fatto di essere stati inseriti nel Decretum. Questo non fu mai riconosciuto come autentico dai papi, poiché le due costituzioni di Gregorio XIII Cum pro munere (1580) e Emendationem (1582) si limitarono a vietare che si facessero modificazioni al testo del Decretum, definitivamente riveduto dai correctores romani, ma non lo dichiararono codice autentico; come affermò anche Benedetto XIV. Così pure i dicta Gratiani e i sommarî si debbono considerare come pura espressione di un'opinione dottrinale. Soltanto alcuni canoni della raccolta, che concernevano casi particolari, sono stati poi dalla consuetudine estesi a regola generale; e, parimente, alcuni dicta Gratiani col tempo sono divenuti, in varie maniere, leggi universali. Resta fermo il grande valore storico-scientifico dell'opera di G., considerato fondatore della giurisprudenza canonistica: egli diede un ordinamento sistematico alla scienza del diritto canonico e un indirizzo giuridico allo studio dei canoni, distinguendolo dallo studio della teologia.
Ciò è stato recentemente negato dal Sohm, il quale sostiene essere il Decretum un lavoro teologico sul sistema dei sacramenti; il passaggio della dottrina dei canoni nel campo giuridico sarebbe avvenuto una generazione dopo, per opera dei papi Innocenzo III e Alessandro III, i quali avrebbero introdotto un mutamento nella maniera di concepire l'essenza e la natura della Chiesa, trasferendo in essa le norme che reggono altre società non religiose, facendone una corporazione sul modello romano e dando al pontefice una più ampia potestà legislativa, con facoltà di modificare il diritto tradizionale. Contro questa teoria si osserva: le opere degli antichi canonisti ci dànno la prova che la giurisdizione ecclesiastica esisteva ab antiquo; e, d'altra parte, è ovvio che non potesse un qualsiasi aggregamento d'uomini prescindere dal diritto; questo dovette esistere anche come ius humanum, per regolare i rapporti tra i fedeli, pur nei primi tempi della Chiesa, la quale fu fondata con carattere di stabilità ed eternità. Non ci fu, dunque, né introduzione, nel sec. XI, di istituti, organi e uffici ecclesiastici, che già esistevano in forma stabile; né trasformazione di potestà disciplinare in potestà giudicatrice; fu invece opera dei canonisti, e particolarmente di G., il rinnovamento della scienza canonistica; essi nulla introdussero di nuovo, ma esattamente definirono e distinsero, con sistemazione giuridica, le due potestà, di ordine e di giurisdizione, e gl'istituti corrispondenti; come del resto riconosce lo stesso Sohm, quando afferma che G. applicò al diritto ecclesiastico i principî fondamentali del diritto laico. G. fu sostenitore della supremazia gerarchica, e quindi legislativa e giudiziaria del pontefice; del quale G. proclamò l'autorità, il potere di derogare e innovare e in qualsiasi maniera modificare il diritto esistente, anche con privilegi, chiamando il papa canonum dominus et magister, sostenendo da tutti doversi osservare ciò che ordina la Chiesa romana.
L'opera di G. fu ampiamente studiata, e attorno ad essa si formò una vasta letteratura. Si dissero decretisti gli studiosi del Decretum, i quali esplicarono la loro attività nella forma di glosse, di summae, e simili. Il primo di essi fu Paucapalea. Dopo di lui Rolando Bandinelli, che fu poi papa Alessandro III; Ognibene; Ruffino, nativo della Francia, che studiò a Bologna e insegnò a Parigi diritto canonico; Stefano di Tournai; Giovanni Faentino, vescovo di Faenza; Simone di Bisignano; Sicardo, vescovo di Cremona; Tancredi; Bassiano; il pisano Uguccione, vescovo di Ferrara; Giovanni Teutonico, che fece la glossa ordinaria al Decretum, riveduta poi da Bartolomeo da Brescia. Tutti questi scrittori vissero nella seconda metà del sec. XII e nei primi del XIII.
Del Deeretum si fecero numerose edizioni, talvolta con glosse e note, e alcune con tentativi di correggere gli errori infiltratisi nel testo. La più antica è quella del 1471, a Strasburgo, a cura di Enrico Eggesteyn. Importanti sono quelle di Parigi del 1505, a cura di Giovanni Chappuis, e di Lione, del 1554, a cura di Carlo Dumoulin. Nel 1582 fu pubblicata dai correctores romani l'Editio Romana, il cui testo fu dichiarato definitivo da Gregorio XIII. Altre edizioni in seguito sono quelle dei fratelli Pithou (Parigi 1585) e del Bohmer nel 1747. Le più moderne sono quelle del Richter, del 1839, e del Friedberg, del 1879, pubblicate nelle rispettive edizioni del Corpus iuris canonici (v.).
Bibl.: A. Augustinus, De emendatione Gratiani dialogorum libri duo, Tarragona 1587, II; J. H. Böhmer, Dissertatio de Varia Decreti Gratiani fortuna. Prolegomena all'ediz. del Corpus iuris canonici, Halle a.d. Saale 1747; J. F. Schulte, Geschichte der quellen und Literatur des canonischen Rechts von Gratian bis auf die Gegenwart, I, Stoccarda 1877, paragrafi 13-15; E. Friedberg, nei Prolegomena all'ediz. del Corpus iuris canonici, I, Lipsia 1879-81; E. Laurin, Introductio in Corpus iuris canonici, Friburgo in B. 1889; P. Fournier, Deux controverses sur l'origine du Décret de Gratien, in Revue d'histoire et de littérature religieuses, III (1898), pp. 97-116, 253-280; D. Mocci, Nota storico-giuridica sul Decreto di Graziano, Sassari 1904; J. B. Sägmüller, Lehrbuch des katholischen Kirchenrechts, Friburgo 1909, par. 41 (con ampia bibliografia); F. Pometti, Il Decreto di Graziano nei suoi precedenti storici e nelle sue conseguenze storico-ecclesiastiche, Corigliano Calabro 1910; F. X. Wernz, Ius Decretalium, 2ª ed., Roma 1905, I, nn. 230-36; R. Sohm, Das altchristliche Kirchenrecht und das Dekret Gratians, in Festschrift für Ad. Wach, Monaco e Lipsia 1918; F. Brandileone, Perché Dante collocò in Paradiso il fondatore della scienza del diritto canonico, in Atti R. Acc. dei Lincei, Roma 1926, e gli autori citati ivi a p. 123, nota 1; G. Oesterle, Graziano e l'opera sua giuridica, in Rivista Camaldolese, 1926, I, pp. 62-79.