DELEDDA, Grazia
Nata a Nuoro il 27 settembre 1875, si sposò giovanissima col sig. Madesani, e lo seguì a Roma. La terra natia la commosse coi suoi aspetti solenni, con la sua vita severa, con la sua popolazione appassionata e tragica; e tutto la D. ha visto sotto specie di fatalità fisica, etnica, traendo da questa visione la propria poesia. Scarse furono le sue esperienze letterarie.
Il primo romanzo della D. fu Fior di Sardegna (1892), rappresentazione di vita isolana, come i libri che immediatamente seguirono: Racconti sardi (1894), Anime oneste (1895), inframezzati di articoli o frammenti folkloristici (Laude di Santo Antonio, Tradizioni popolari di Nuoro, ecc.). Sotto la pressione della critica, essa cercò di temperare subito l'esuberanza pittorica, scarnificando le proprie figure a vantaggio della chiarezza degli sfondi e del rilievo delle persone. Così apparve più perfetta nel Tesoro (1897), nelle Tentazioni (1898), nella Giustizia (1899), nel Vecchio della montagna (1900), in Dopo il divorzio (1902; rist. 1920 col titolo Naufraghi in porto) e specie in Elias Portolu (1903), che le assicurò il riconoscimento più completo e che fu tradotto in varie lingue.
Certo si è che il senso della natura si è andato nella D. facendo a mano a mano più profondo e ha trovato sempre più efficace espressione nello stile pieno d'immagini, nel linguaggio facile, immediato fervido di quel lirismo di cui la D. è ricca. Spesso, questo basta a dar vita a un racconto, a una novelletta, a un bozzetto; ma la D. sembra trovarsi più a suo agio nella forte drammaticità dei romanzi. Ma è solo effetto di confronto: anche racconti come I giuochi della vita (1905), Il fanciullo nascosto (1915), Il flauto nel bosco (1923), Il sigillo d'amore (1926) stanno benissimo insieme coi romanzi, dei quali i più famosi sono Cenere (1904), Nostalgie (1905), La via del male (1906), Colombi e sparvieri (1912), canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), L'incendio nell'oliveto (1918). Quivi gli elementi psicologici vanno a mano a mano prendendo il sopravvento sull'osservazione paesistica, e dal particolare si assurge all'universale. La D. partecipa alla sofferenza delle sue creature esagitate fra l'entusiamo per il bene e l'orrore per il male, fra la speranza e il terrore, fra la colpa e l'espiazione. Per lei non è necessaria nessuna dissertazione, nessun chiarimento sui fatti e gli uomini: rappresenta, non disserta. L'edera (1908) e La Madre (1920) sono romanzi che si avvicinano al capolavoro. Non hanno intrecci vasti, personaggi straordinarî: una madre che muore, temendo che il figlio, sacerdote, pecchi per amore e che il suo peccato generi scandalo; un'amante che arde e si consuma, in un ardore profondamente doloroso, ma avvolto di poesia tanto più intensa, quanto più ingenua. La madre e l'innamorata, vere donne sentite da una donna, sono scolpite con robustezza non priva di commozione sottile, con un'arte che esprime una perfetta visione. Né l'essenza dell'arte della D. muta negli ultimi romanzi, nei quali l'ambiente sardo è deliberatamente abbandonato (Il segreto dell'uomo solitario, 1921; Il Dio dei vizienti, 1922; La fuga in Egitto, 1925; Annalena Bilsini, 1927; Il paese del vento, 1931).
Inutile attribuire alla D. una discendenza da questo o da quello scrittore: finora la sua forza è stata nella sua impenetrabilità a tutto ciò che è di un altro mondo, di un'altra arte, e a questa virtù essa deve, fra le scrittrici italiane, il suo meritato posto di preminenza. Il premio Nobel per la letteratura, conferitole per il 1926, è stato un solenne riconoscimento del suo alto valore nella letteratura mondiale. La Deledda ha anche scritto per il teatro. Il suo romanzo Cenere fu ridotto nel 1913 a pellicola cinematografica, l'unica interpretata da Eleonora Duse.
Le opere della D. sono tutte edite a Milano, Treves.
Bibl.: G. A. Borgese, La vita e il libro, 2ª s., 2ª ed., Bologna 1928; P. Pancrazi, Venti uomini, un satiro e un burattino, Firenze 1923; L. Russo, I Narratori, Roma 1923; L. Falchi, L'opera di G. D., Cagliari 1929; M. Mundula, G.D., Roma 1929; G. Ravegnani, I contemporanei, Torino 1930.