Vedi GRAVISCA dell'anno: 1973 - 1994
GRAVISCA (v. S 1970, p. 360)
Gli scavi, iniziati nel 1969 dalla Soprintendenza Archeologica per 1Έtruria Meridionale nel sito della colonia romana, sono proseguiti sistematicamente dal 1970 al 1979 nell'area sacra di età arcaica e medio-repubblicana, individuata poche centinaia di metri a SE dei limiti finora esplorati dell'abitato romano. In quest'area, di c.a 2500 m2, le ricerche, condotte in modo esaustivo fino ai livelli naturali del suolo, consentono un quadro esauriente della situazione archeologica del luogo di culto, mentre ancora troppo parziali sono i dati relativi all'estensione e alla topografia dell'insediamento preromano, coevo all'area sacra, di cui si ha conoscenza solo da limitati saggi condotti al di sotto dei livelli della colonia del 181 a.C. La stessa connessione topografica dell'area sacra con l'impianto coloniale e la sua presumibile collocazione nel contesto abitativo preromano (sviluppatosi forse più a S rispetto alla colonia, parallelamente alla costa) restano da accertare: al momento la posizione dell'area sacra risulta eccentrica rispetto al nucleo centrale della G. romana, costituito dal piccolo promontorio occupato in epoca medievale e moderna dal porto dementino, all'estrema punta del quale si localizzano alcuni resti del porto romano.
I ritrovamenti nell'area sacra si sono rivelati di particolare interesse per lo studio, avviato in anni recenti, dei meccanismi di scambio nell'Etruria arcaica: con evidenze sostanziali essi hanno contribuito a delineare il processo di formazione e sviluppo delle strutture di tipo emporico, attraverso le quali, a partire dalla fine del VII sec. e nel corso del VI, si organizzano le attività commerciali negli insediamenti costieri etruschi. Nell'arco cronologico che va dagli ultimi anni del VII sec. a.C. fino ai primi decenni del V, l'area sacra, le cui testimonianze più antiche datano intorno al 600 a.C., è frequentata da gruppi etnici stranieri, in grande prevalenza ellenici, ai quali fu concesso da parte della comunità locale di venerare le proprie divinità e di praticare i propri culti. Sulla provenienza dei frequentatori del luogo di culto e sulla loro connotazione come mercanti (èmporoi) ci informa una straordinaria messe di materiali rinvenuti in gran parte frammentari negli strati arcaici e di riempimento dell'area sacra. In particolare un centinaio di dediche iscritte in alfabeto e dialetto ionici (tranne due in alfabeto eginetico) insieme a un ampio e diversificato panorama di materiali di importazione dalla Grecia propria e dalla Grecia orientale, indicano che i flussi di frequentazione muovevano dai centri principali della Ionia centrale (Samo, Mileto, Efeso) per gran parte del VI sec., fino al progressivo affermarsi della componente egineta alla fine dello stesso secolo. L'entità degli scambi e la ricchezza degli èmporoi sono documentate dall'abbondanza dei materiali, tra i quali figurano anathèmata in bronzo, in avorio e in ceramica, di elevata qualità.
Le dediche iscritte, databili tutte nella seconda metà del VI sec. a.C., sono a varie divinità: trentadue a Hera, cinque ad Afrodite, tre ad Apollo, una a Demetra. Una delle dediche ad Apollo è quella ormai ben nota su un ceppo d'ancora in pietra, offerto verso la fine del VI sec. da Sostratos di Egina, il mercante ricordato da Erodoto per i suoi favolosi guadagni accumulati nell'esercizio del commercio (Herodot., IV, 152). Tra i nomi dei dedicanti prevale di gran lunga il patrimonio onomastico ionico con significative omonimie ricorrenti tra i frequentatori dell’empòrion di Naukratis, sul delta del Nilo: a Hera il lidio Paxtues, omonimo del tesoriere di Creso, dedica una coppa ionica di tipo B2; ancora a Hera il samio Ublesios offre una coppa attica dei «Piccoli Maestri», decorata con due gruppi di guerrieri affrontati; Zoilos e Lethaos sono altri due nomi che rimandano all'area ionica centrale.
I materiali arcaici di importazione sono rappresentati in quantità considerevole da ceramiche fini da mensa, da anfore commerciali (oltre un migliaio di esemplari) e da lucerne monolicni a vasca aperta. Sul piano statistico, pur non disponendo ancora di dati numerici definitivi relativi alle diverse classi di produzione, va rilevato che nella prima metà del VI sec. e poco oltre, fino al 540 a.C. circa, la percentuale dei prodotti greco-orientali è molto elevata, unita a una presenza consistente di ceramiche corinzie e laconiche (non mancano due vasi figurati calcidesi), mentre successivamente, fino ai primi decenni del V sec., in concomitanza con il progressivo affermarsi della componente egineta nella meccanica degli scambi commerciali, predominano quasi esclusivamente le ceramiche attiche.
La produzione greco-orientale annovera tra le importazioni più antiche, databili entro il primo quarto del VI sec., un dèinos con sostegno del tardo Wild Goat Style riferibile all'area eolica, alcuni calici chioti, qualche coppa «rodia» con decorazione a filetti o a rosette, coppe ioniche dei tipi A1 e A2 della classificazione Vallet-Villard; seguono, nei decenni tra il 570 e il 540, un numero considerevole di balsamari configurati e di statuette (alcune delle quali in faïence), alàbastra in bucchero ionico, ceramiche dello stile di Fikellura, di fabbrica samia e milesia, alcuni vasi a figure nere di fabbrica samia (coppe dei «Piccoli Maestri» e un kàntharos del Pittore degli Arieti), una quantità assai elevata di coppe ioniche di forma B2 e B3 (non mancano alcuni esemplari del tipo B1), e infine le lucerne. Vanno aggiunte al vasellame fine da mensa le anfore da trasporto che, relativamente all'ambito greco-orientale, sono di fabbricazione samia, chiota, milesia, clazomenia, lesbia (le altre produzioni rappresentate sono quella corinzia, laconica, attica del tipo à la brosse, ionico-occidentale, marsigliese, fenicio-punica ed etrusca). Una menzione particolare meritano anche i prodotti laconici, giunti, come nel resto dell'Etruria, tramite canali greco-orientali (e i dati graviscani bene lo evidenziano): sono almeno un centinaio di esemplari che comprendono una trentina di coppe (tra cui, oltre a una a basso piede decorato a dot and square sul labbro, degli inizi del VI sec., esemplari certamente del Pittore della Caccia e del Pittore dei Cavalieri e frammenti del più antico Pittore dei Boreadi); altrettanti crateri a staffa (una decina dei quali con labbro decorato da motivi geometrici); frammenti di un cratere a volute a figure nere; una phiàle mesòmphalos con decorazione non figurata; un arỳballos a fondo piano; lekànai, anforette da tavola e anfore commerciali. Tra le ceramiche attiche, a sottolineare l'alto livello qualitativo degli ex voto, vanno segnalati un kàntharos di Exechias, un piatto firmato dal vasaio Nikosthenes, una kỳlix a figure rosse, da assegnare forse a Euthymides.
Negli anni tra il 480 e il 470 a.C., con la fine della frequentazione greca dell'area sacra, viene meno la funzione di tramite che essa aveva svolto in età arcaica per i gruppi etnici stranieri nei confronti della comunità etrusca locale. Che quest'ultima fosse contemporaneamente coinvolta nelle pratiche cultuali del santuario è documentato con evidenza da una dedica in etrusco, incisa su un cratere laconico del terzo quarto del VI sec., alla dea Turan, l'equivalente etrusca di Afrodite. D'altro canto il rinvenimento di una quantità cospicua di anfore da trasporto di fabbrica etrusca negli strati più antichi dell'area sacra attesta l'inserimento della componente locale nella meccanica degli scambi commerciali, fin dal momento iniziale di vita dell'area sacra.
Nei decenni centrali del V sec., per circa un cinquantennio, dediche ed ex voto vengono a mancare e solo alla fine dello stesso secolo si registra una nuova fase di vita del santuario con una funzione del tutto diversa, tesa a soddisfare le esigenze religiose della popolazione locale, e in particolare degli strati sociali meno elevati. Le dediche, tutte in etrusco, sono a Uni, Turan e Vei, l'equivalente etrusca, quest'ultima, di Demetra. Il culto, intriso di un forte sincretismo, è prevalentemente a carattere salutare, dai tipici connotati centro-italici, con ex voto anatomici e statuette fittili. A parte sporadiche sopravvivenze che arrivano fino alla prima età imperiale e riguardano in particolare il culto di Adone, attestato epigraficamente solo in quest'epoca, l'area sacra è di fatto abbandonata con la fondazione della colonia romana del 181 a.C., ma già nel corso del III sec. si registra una netta recessione.
La ricostruzione delle diverse fasi di sviluppo dell'area sacra, con una situazione religiosa complessa che evidenzia una pluralità di culti variamente accolti nel VI sec. e poi trasformati nel corso del V, attende ancora la lettura completa della documentazione archeologica in relazione ai dati stratigrafici di scavo. Al momento, nella storia edilizia del complesso, ristrutturato e modificato a più riprese nell'arco di tempo tra la fine del VII e il I sec. a.C., si sono individuate tre fasi costruttive. Verso il 580 a.C., in una ristretta area che resterà nel tempo la zona centrale del santuario, attorno a un'ampia depressione del suolo vergine, probabilmente artificiale, sorge la prima costruzione di destinazione sacra. Si tratta di un piccolo edificio a pianta rettangolare, orientato all'incirca E-O, costruito con muri a secco in ciottoli e soprastrutture in mattoni crudi, in cui si distinguono una sorta di pronao con ante, una cella di 3,25 x 1,80 m, accessibile da una larga apertura, e un àdyton di proporzioni simili. Il sacello, distrutto intorno al 520-510 a.C., era destinato sicuramente al culto di Afrodite, come attestano le dediche e il carattere delle offerte, rinvenute nel riempimento interno e negli strati immediatamente circostanti. Parecchi degli ex voto sono tra i più ricchi del santuario: oltre a una kỳlix attica dei «Piccoli Maestri» decorata con scene erotiche e dedica iscritta alla dea, una coppia di statuette greche in bronzo raffiguranti una divinità femminile in atteggiamento di pròmachos (forse Afrodite armata, secondo l'interpretazione di M. Torelli), varie faïences raffiguranti Bes e Horus, resti di un cofanetto in avorio con decorazione a traforo raffigurante una dea seduta su dìphros e un fedele, vasetti miniaturistici corinzi e di bucchero, statuette e balsamari in gran numero variamente configurati di produzione greco-orientale. Nei pressi del sacello si collocano due pozzi, da uno dei quali proviene un'anfora di fabbrica greco-orientale recante l'iscrizione incisa ύδρίη μετρίη («un'idria giusta»), che ne indicherebbe il probabile utilizzo nelle pratiche rituali come contenitore-misura per l'acqua prelevata dal pozzo. Alle spalle dello stesso edificio era scavato un bòthros circolare, di m 2,30 di diametro, ricolmo di ex voto, tra cui numerose anfore commerciali depositate forse come offerte alimentari alla divinità, mentre in un'area circostante più ampia, occupata in epoca successiva anche da altri edifici, si sono rinvenute numerose buche per pali, di dimensioni e distribuzione le più diverse, da riferire forse a strutture provvisorie (tende o ripari) legate comunque a esigenze cultuali. Non si conservano altri resti di costruzioni attribuibili a questa prima fase arcaica del santuario, nel corso della quale al culto di Afrodite si affiancano ben presto quello di Hera e poco più tardi quelli di Demetra e di Apollo, documentati tutti dalle iscrizioni, con riscontri anche nella tipologia delle offerte. È probabile che qualche altro edificio sorgesse nella zona a O del sacello di Afrodite, dove si è rinvenuta gran parte della stipe con dediche a Hera (ma le iscrizioni che menzionano questa dea sono numerose anche nel settore a SE del sacello), e nella zona a SO, dove è venuta in luce la dedica a Demetra insieme ad anathèmata peculiari del culto della dea, come alcune punte di aratro in ferro e numerosissime lucerne, quest'ultime presenti per altro in notevole quantità anche nella stipe di Hera.
Alla fine del VI sec. si registra una parziale riorganizzazione dello spazio sacro. Sul più antico sacello di Afrodite si impiantano due vani quasi quadrati, affiancati in direzione N-S, con una sorta di porticato a N. Più a O, nella zona occupata successivamente dall'edificio A, sorgono altre costruzioni, di cui avanza qualche muro, sempre costruito con ciottoli a secco, la cui planimetria risulta però di difficile lettura. A S del sacello di Afrodite, ove gli strati di riempimento riferibili alla fase precedente hanno restituito importanti ex voto, come una protome di grifo bronzea di fabbrica greco-orientale degli inizi del VI sec., si localizza una terza area di culto imperniata attorno a una cassa, identificata come il sepolcro di Adone (Torelli, 1977): è una piccola cassa rettangolare, di 1,80 x 0,70 m, perfettamente orientata con gli angoli in direzione dei punti cardinali, costruita con lastre di nenfro sistemate di taglio, che presenta nella parte alta uno stretto incavo per l'alloggiamento di un coperchio. Intorno a quest'area si estende una sorta di grande piazzale, livellato con grandi gettate di sabbia e terriccio friabile, che fanno da base a un piano di calpestio, costituito da un sottile battuto di macco (il calcare locale). Deposte come offerte, al di sotto di questo piano, in maniera apparentemente disordinata, si sono rinvenute parecchie olle di medie e grandi dimensioni contenenti ossa di animali sacrificati e, in qualche caso, frammenti di corallo non lavorato (il corallo era una delle produzioni più apprezzate dei fondali marini antistanti il porto di G., come ricorda Plinio (Nat. hist., XXXII, 21).
Verso la fine del V sec., dopo un periodo di stasi che coincide con la fine della frequentazione greca del luogo di culto, l'area sacra subisce una radicale ristrutturazione. Ai lati di una strada, che corre in direzione N-S, si dispongono almeno cinque edifici, tre a E, due a O di essa. Le costruzioni, non allineate fra di loro, presentano planimetrie irregolari, più simili a strutture abitative che non a edifici sacri canonici; i muri sono costruiti a secco con pietre, talvolta rinforzati da blocchi di calcare, quasi a riproporre una sorta di tecnica a telaio; assai limitato risulta l'impiego di terrecotte architettoniche. A E della strada, sul sito all’Aphrodìsion arcaico, troviamo l'edificio Γ, costituito da un cortile (I), da due vani quasi quadrati a E (L e M) e da costruzioni tipo stoài lungo il lato Ν (Ν, O, Q), affacciate su un vicolo trasversale alla strada N-S. Al centro del cortile I, lastricato lungo il perimetro interno, sono sei basamenti, orientati con gli angoli disposti verso i punti cardinali, riferibili ad altari e a basi di donarì; un altro altare, intorno al quale è stata rinvenuta la maggior parte degli ex voto anatomici di IV-III sec., è all'interno dell'ambiente M, con accanto il basamento per una piccola edicola, forse per una statua di culto. Più a S dell'edificio Γ, separato da esso da uno stretto stenopòs, sempre sul lato orientale della strada, si trova l'edificio Δ, costituito da un vano porticato rettangolare (S), aperto verso S, con annesso ambiente retrostante a pianta quadrata (V), e da un cortile scoperto rettangolare (T): sia il portico S che il cortile Τ sono pavimentati con lastre di macco, che presentano segni evidenti di riutilizzazione. Nel cortile, sopra la cassa di nenfro della fase precedente, se ne impianta una seconda, assai più grande (m 2,40 x 1,20) con lo stesso orientamento della prima, salvo una leggera variazione di pochi gradi. È costruita con blocchi di calcare posti di taglio che presentano superiormente un incavo per la posa del coperchio, ed è solidale con una zona intenzionalmente non pavimentata del cortile, di forma all'incirca rettangolare: che non si tratti di una semplice lacuna, bene lo evidenzia la risega che corre sui blocchi di calcare lungo i bordi della zona non pavimentata. In relazione con essa sono un pozzo con una vera «a campana» di terracotta e due basi di donari, anche in questo caso orientati. Questo singolare apprestamento è stato identificato con il kèpos sacro di Afrodite e la cassa, strettamente connessa con esso, con la «Tomba di Adone». Dai pressi della cassa, per altro, proviene l'attestazione epigrafica di età imperiale che menziona il nome del dio. Il terzo edificio a E della strada, l'edificio E, non presentando caratteristiche cultuali, era probabilmente destinato ad accogliere magazzini e ambienti di servizio.
A O della strada, in questa terza fase di vita del santuario, si collocano due edifici. Il primo, a N, l'edificio A, è costituito da un cortile (A), da due vani allungati in direzione N-S (B e C) e da due ambienti verso O che sembrano indipendenti dai primi tre, il cortile F e il vano E. Il cortile A presenta due altari, uno dei quali con gradino di pròthysis, e un pozzo, la cui vera è ricavata in un blocco di calcare quadrato (m 0,90 di lato), addossato a un ampio basamento costituito da due lastre in calcare (m 1,50 x 1,20). Da segnalare nel cortile F la presenza di una cassetta costruita con tegole poste di taglio, all'interno della quale si sono rinvenute un'olla biansata di impasto e un'olletta ovoide contenenti resti di ovini, di un volatile, e alcuni semi vegetali. La cassetta, così come un'altra olla posta nell'angolo NE del cortile A, contenente anch'essa resti di ossa di animali, sono da ritenere depositi votivi connessi al rito di fondazione dell'edificio, forse destinato al culto di Uni, in base agli ex voto in esso rinvenuti. Il secondo edificio a O della strada, l'edificio B, è costituito da un grande vano rettangolare, coperto (G), e da una sorta di pronao (H), forse colonnato e affacciato su uno stenopòs che separava le due costruzioni su questo lato della strada. Collocati al coperto, nel vano G, erano un altare e, anche in questo caso, un pozzo, ma con vera molto piccola. Dall'edificio provengono un buon numero di ex voto anatomici e di statuette votive, oltre alle dediche a Demetra e alla equivalente etrusca Vei.
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