gravidanza
Metodi di screening per l’identificazione delle malattie fetali
Vi sono 130 milioni di nascite al mondo ogni anno; di questi neonati, circa il 2÷3% (più di 3 milioni) presenta anomalie.
Possono essere di vario tipo: malattie genetiche, di cui quelle più comuni sono legate al cariotipo, anche se oggi è possibile accertare anomalie del DNA in modo sempre più preciso, al di sotto del limite diagnosticabile con il solo cariotipo; malattie strutturali, legate a difetti dell’anatomia del feto; malattie metaboliche, riferite a processi anomali, di solito enzimatici o della cellula, dovuti a difetti congeniti del metabolismo, o più raramente acquisiti. Le anomalie strutturali e metaboliche possono anche essere dovute a infezioni del feto.
Grazie a tecniche di screening sviluppatesi dagli anni Sessanta del 20° secolo in poi, è possibile diagnosticare già in utero molte di queste anomalie. È di vitale importanza distinguere tra screening e diagnosi prenatale. Per screening si intendono test che permettono di stabilire una percentuale di rischio. Per es., tramite ecografia e screening del siero materno, si può arrivare a dire a una donna incinta che il feto ha un rischio X (per es., il 90%) di trisomia 21 (sindrome di Down). È importante quindi che i test di screening abbiano particolari caratteristiche. Le tecniche di screening si dividono in non invasive e invasive. Gli screening non invasivi non prevedono di entrare nella cavità amniotica o nella placenta, e quindi non comportano rischi diretti per il feto. L’ecografia fetale è la tecnica non invasiva più usata. I risultati di questo screening dipendono direttamente dalla bravura e dall’attenzione dell’ecografista. La prima ecografia fetale è consigliata tra l’11a e la 14a settimana gestazionale. La translucenza nucale, ossia la distanza tra pelle e cranio nell’occipite del feto, è uno dei parametri meglio correlati ad aneuploidie, in partic. trisomie come la sindrome di Down, nelle quali questo valore risulta aumentato. La translucenza nucale permette, da sola, l’identificazione di circa il 70% di feti Down. L’ecografia in cui si misura la translucenza nucale viene spesso chiamata ecografia genetica.
La seconda ecografia (o ecografia morfologica) è consigliata tra la 18a e la 22a settimana gestazionale. In questa ecografia, più dettagliata, sono accuratamente sottoposti a screening tutti gli organi fetali più importanti per anomalie strutturali. Le anomalie più comuni e significative sono quelle cardiache, tra le quali la più frequente è il difetto del setto intraventricolare. L’ecografia di screening del secondo trimestre permette l’identificazione di oltre il 90% delle alterazioni strutturali maggiori, come per es. la spina bifida. L’identificazione delle anomalie cardiache invece è solo del 20÷50%. Per questo motivo, nelle gravidanze ad alto rischio di anomalie cardiache fetali si effettua un’ecocardiografia fetale che, se fatta da esperti ecografisti, può raggiungere il 90% di sensibilità (ossia di identificazione dell’alterazione). L’ecografia fetale può anche essere usata per screening di altre alterazioni fetali. Per es., il feto a rischio di anemia può essere studiato tramite la velocità del flusso sanguigno dell’arteria cerebrale media. L’esame può anche servire a identificare caratteristiche fetali associate a infezioni, quali per es. il citomegalovirus.
Tra gli screening non invasivi rientra anche quello mediante siero materno. Il siero delle madri di feti con anomalie cromosomiche, quali la sindrome di Down, ha, per alcune sostanze, valori differenti da quello delle madri di feti euploidi. Tra la 11a e la 14a settimana è possibile identificare circa l’85÷90% dei feti Down o con sindrome di Turner mediante lo screening del siero materno e l’ecografia fetale del primo trimestre. Tra la 15a e la 21a settimana, lo screening del siero materno del secondo trimestre permette, da solo, l’identificazione dell’85÷90% dei feti Down o con sindrome di Turner. Spesso, per arrivare a un’accuratezza di oltre il 90%, si usa lo screening sequenziale, che combina lo screening del primo e del secondo trimestre. Lo screening del siero materno può anche diagnosticare infezioni fetali, tramite PCR del batterio o virus (per es., parvovirus, citomegalovirus, ecc.), e altre anomalie fetali enzimatiche o molecolari.
Gli screening invasivi prevedono l’entrata meccanica in cavità amniotica e quindi comportano rischi per il feto. La decisione sul tipo di tecnica da usare dipende dalla malattia fetale che si vuole diagnosticare. Queste indagini invasive spesso seguono i test di screening non invasivi e sono frequentemente diagnostiche, cioè arrivano a una diagnosi certa al 100%. I test più comuni, in ordine di uso, sono: amniocentesi, villocentesi, prelievo del sangue fetale via umbilicocentesi, biopsia di organi (per es., cute, muscolo, fegato, rene, ecc.).
Questa diagnosi permette un management appropriato del feto e del neonato. In alcuni casi la diagnosi prenatale dà una possibilità più alta di sopravvivenza e di salute al feto malato. Il management può essere effettuato in due modi. Il primo è tramite la terapia fetale: per es., il feto con anemia può ricevere trasfusioni di sangue in utero che lo salvano da morte per insufficienza cardiaca. Il secondo si realizza tramite interventi sul neonato: per es., in caso di anomalie importanti, quali alcune malformazioni cardiache, il feto viene fatto nascere in centri di terzo livello, adeguati a un’immediata terapia medica e, se necessario, chirurgica del neonato.