graphic novel
<ġrä'fik nòvl> locuz. sost. ingl., usata in it. al femm. – Espressione introdotta nel 1964 su una rivista amatoriale statunitense per designare certo tipo di fumetti europei 'sofisticati'; questo perché graphic in inglese non indica solo il «visivo», ma anche un contenuto «forte» e «impegnativo». La locuzione è divenuta nota ai più solo dal 1978, con la pubblicazione del libro a fumetti di Will Eisner A contract with god and other tenement stories, presentato con tale etichetta editoriale per distinguerlo dall’albetto mensile con storie di supereroi per adolescenti, formato allora dominante negli Stati Uniti. Con g. n. si è passati poi a indicare libri a fumetti dall’intento – e talvolta dagli esiti – romanzeschi, benché la definizione in sé non salvi molti g. n. dalla mediocrità. Ritenuto da certa stampa generalista una forma espressiva distinta dal fumetto (nelle sue manifestazioni seriali e popolari), di fatto il g. n. non è un genere né una forma a sé, bensì un’etichetta commerciale con cui il fumetto è riuscito a conquistarsi, specie a partire dai primi anni del 21° sec., un settore delle librerie e una miglior reputazione nei circoli intellettuali; lo dimostrano i molti fumetti seriali di tutti i generi raccolti in volumi antologici e presentati come graphic novel. È a ogni modo indubbio che il g. n. privilegi determinati generi comunicativi e di racconto: la storia lunga di stampo letterario (accento sulla trama, sulle psicologie dei personaggi e su una poetica d’autore, e più raramente su eroi ricorrenti o avventure fantastiche), la biografia e l’autobiografia, il diario di viaggio, il reportage (articolato in un genere ormai autonomo detto ), le vicende minimaliste e talvolta composizioni sperimentali, caratterizzate da una narrativa destrutturata e da una figurazione a volte ai limiti dell’astrattismo.