GRANO (dal lat. granum; fr. blé; sp. trigo; ted. Weizen; ingl. wheat)
Questo nome indica collettivamente i frutti del frumento che comprende le specie praticamente piò importanti del gen. Triticum (v. anche cereali). I sostantivi grano e frumento si usano spesso per indicare sia la pianta sia i frutti - erroneamente detti anche semi - da questa prodotti. Sembra potersi fondamentalmente accettare l'assunzione del grano a indice, se non a esatta misura, del grado di civiltà raggiunto da un popolo; entrato nella coltivazione da tempi preistorici, il grano ha infatti alimentato i popoli civilmente più evoluti dell'antichità. Seguendo a passo a passo la lenta penetrazione della civiltà nei paesi barbari, ha incessantemente esteso la propria zona colturale, fino a raggiungere l'area vastissima attuale - la massima fra tutte le piante agrarie - e che è lungi dall'aver toccato i suoi estremi confini. La produzione mondiale s'è accresciuta più che in proporzione dell'area perché al continuo perfezionarsi della tecnica corrispondono adeguati continui incrementi del prodotto nell'unità di superficie coltivata.
Anche i più antichi scrittori: Teofrasto, Varrone, ecc., che hanno trattato di questo cereale, conoscevano grani di vario tipo, che denominavano il più spesso dal paese di produzione; ma vere classificazioni botaniche non si hanno prima del sec. XVIII. Ricordata quella di M P. Tournefort (1719), che istituiva 14 specie, indicheremo le principali, riassumendo l'elenco illustrativo compilato (1921) da John Percival e aggiornato (1930) da Stefano Popescu.
C. Linneo, Species plantarum (1753) 5 specie; id., 2ª ediz. (1764) aggiunto Tr. polonicum; id., supplemento (1781) aggiunto Tr. compositum; J. B. Lamarck, Encyclop. métod. (1781) 5 specie; D. Villars, Histoire des plant. d. Dauphiné (1787) 7 specie; F. Schrank, Bayer. Fl. (1789) 2 specie; R. Desfontaines, Flora Atlantica (1800) descr. Tr. durum; N. T. Host, Icones graminum austracorum (1805) 11 specie; Clemente S. de Royas, Agricult. gener. di Herrera (1808) 20 specie; G. Bayle-Barelle, Monogr. agronom. dei cereali (1809) 11 specie; J. J. Roemer e J.A. Schultes, System. veget. (1817) 21 specie; G. Schübler, Characteristica et descriptiones cerealium (1818) 16 specie; N. C. Seringe, Mélanges botan. e Monogr. des céréales de la Suisse (1818) 16 specie; id., Cer. européennes (1841-42) tre gen.: Triticum, Spelta, Niveria; J. Metzeger, Europäische Cerealien (1824) 3 specie; Ph. Vilmorin, Catal. méthod. et synonim. defroments (1850) 7 specie; id., supplemento (1908); F. Alefeld, Landwirtsch. Flora (1866) una sola specie (Triticum vulgare), il grano polonico forma genere a parte (Deina polonica); F. Körnicke e H. Werner, Die Arten und Varietäten des Getreides (1885) 3 specie; E. Hackel, Die natürlich. Pflanzenfamilien (1887) 2 sezioni (Aegilops e Sitopyros); C. Flaxberger, Determin. of Wheat (1915) 3 specie; J. Percival, The Wheat plant (1921) 2 specie; N. I. Vavilov, A contrib. to the classific. of soft Wheat (1922-23), divide Triticum vulgare Vill. in z gruppi: ligulatum ed eligulatum. Nel ligulatum, 4 suddivisioni: muticum, aristatum, breviaristatum, inflatum. La varietà, secondo Vavilov, comprende un aggregato di razze: è una divisione sistematica convenzionale, mentre la razza, che comprende forme genetiche pure è una concezione definita; S. Popescu, Contribuôiuni la cunoaòterea sistem. a Grâului din România (1930) adotta la classificazione di Vavilov.
Siamo ancora lungi da una classificazione botanica dei grani universalmente accettata e adottata. Conforta tuttavia la più recente tendenza a semplificare e ad assumere come aggregati unitarî le razze, omozigotiche, in luogo delle varietà, le quali comprendono quasi sempre numerosi biotipi, spesso fra loro non poco differenti. Il Percival considera molto artificiali quasi tutte le classificazioni precedenti la sua, essendo principalmente basate sui caratteri delle spighe e dei granelli e riferendosi alle sole forme di singole e spesso non vaste zone colturali. Egli ha invece studiato per oltre un ventennio esemplari viventi di tutto il mondo: circa 2000 forme vennero annualmente coltivate una accanto all'altra, e furono rilevati i caratteri morfologici nella pianta giovane e nella pianta matura, nonché i caratteri di sviluppo e di resistenza all'attacco dei funghi; così pure qualche caratteristica anatomica, i risultati d' ibridazioni, ecc. Per la classificazione delle razze, oltre che agli usuali caratteri, il Percival ha dato speciale peso a quelli delle foglie e degli organi vegetativi in genere, "che subiscono lievi cambiamenti e indicano relazioni genetiche più chiare che non le spighe e i granelli". Esistono, secondo Percival, due sole specie di grano selvatico; e i grani coltivati - nessuno dei quali s'è trovato spontaneo - si possono riunire in 11 gruppi naturali, che egli presenta come razze, pur dichiarando che potrebbe essere pure giusto chiamarle specie coltivate. Salvo l'aggiunta di tre nuove "razze", la classificazione del Percival, qui appresso riportata, concorda con quella di N. C. Seringe.
Specie I: Triticum aegilopoides, Bal.: Razza 1ª, Tr. monococcum. Specie II: Triticum dicoccoides, Körn; Razza 2ª, Tr. dicoccum, Schübl; Razza 3ª, Tr. orientale, Perc.; Razza 4ª, Tr. durum, Desf.; Razza 5ª, Tr. polonicum, L.; Razza 6ª, Tr. turgidum, L.; Razza 7ª, Tr. pyramidale, Perc.; Razza 8ª, Tr. vulgare, Host.; Razza 9ª, Tr. compactum, Host.; Razza 10ª, Tr. sphaerococcum, Perc.; Razza 11ª, Tr. spelta, L.
Anche gli specialisti del Dipartimento di agricoltura degli Stati Uniti d'America, J. A. Clark, J. H. Martin e R. C. Ball, hanno seguito direttive analoghe a quelle di Percival, che conobbero solo a indagine quasi compiuta. Iniziando il lavoro, si erano proposti (1915) di classificare i grani di tutto il mondo; ma, volendo dare allo studio un carattere anche economico, le ricerche furono poi limitate ai soli grani degli Stati Uniti. Ampliando anche il piano dello stesso Percival, seguirono ogni razza in 18 differenti stati, con la collaborazione delle rispettive stazioni agrarie. Molte migliaia di semine (25.381) si fecero in 6 anni consecutivi (1915-1920) nelle classification nurseries appositamente impiantate nelle stazioni. Nella California e nell'Oregon s'ebbe la possibilità di accertare l'abito stagionale delle varie razze. Per la classificazione di queste ultime, furono assunte, come in quelle di Percival, caratteristiche, di maggiore o minor valore tassonomico, della pianta, della spiga, della cariosside, ecc.
E così:
nella pianta: abito stagionale - maturazione (precoce, tardiva) - altezza del culmo (da terra all'apice della spiga, escluse le reste) - colore e robustezza del culmo;
nella spiga: compattezza, forma, lunghezza e larghezza - posizione a maturità (eretta, inclinata, patula) - reste - glume;
nella cariosside: colore (ritenuto carattere di razza fra i più importanti) - lunghezza - frattura - forma - solco ventrale (larghezza e profondità, a margini arrotondati o angolosi) - germe (piccolo, medio, grande).
Furono anche considerate - sebbene di poco valore tassonomico - le caratteristiche di produttività, di resistenza al freddo e alle malattie; i caratteri della farina e del pane. Fra i caratteri delle glume, gli autori non hanno potuto naturalmente considerare l'"impronta", che solo nel 1928 veniva indicata da H. e M. Dénaiffe e E. Sirodot come caratteristica delle singole razze di grano tenero, epperò sufficiente per la distinzione anche di razze fra loro molto affini. (Ciò che peraltro non ha trovato piena conferma nelle ricerche di M. Bonvicini (1929) su varie razze di grano tenero dell'Istituto sperimentale di Cerealicoltura di Bologna). Relativamente alle specie, hanno adottato la classificazione di E. Hackel, molto vicina a quella di F. Körnicke e H. Werner e anche oggi, elevate al grado di sottospecie le "razze" dell'autore, largamente adottata specie in America (v. appresso).
Il grano appartiene alla famiglia delle Graminaceae o Poaceae, tribù delle Hordeae, sottotribù delle Triticeae; al genere Triticum caratterizzato dalla spiga composta, terminale, in cui le spighette s'inseriscono sui nodi alterni d'una rachide a zigzag, scannellata, tenace, oppure fragile, cioè facilmente disarticolabile a maturità. Spighette solitarie, con 1 a 5 fiori sessili inseriti sui nodi alterni d'un piccolo asse (rachilla), continuo oppure articolato. Glume rigide, arrotondate o carenate, con 30 più nervi. Glumella inferiore arrotondata sul dorso o carenata, a molti nervi, terminante con un dente o una resta. E. Hackel divide il gen. Triticum in due sezioni: Aegilops (glume arrotondate) e Sitopyros (glume carenate), riferendo a quest'ultima tutte le specie coltivate - che A. Fiori comprende nella sezione Eutriticum - le quali egli distribuisce come appresso:
Tr. monococcum: Spiga aristata, compatta, in ogni spighetta non matura d'ordinario che il fiore più basso. Come in tutte le specie selvatiche di questo genere, i segmenti della rachide si staccano facilmente a maturità. La glumella interna bipartita a maturità, permette di distinguere questa da tutte le altre specie. Tr. sativum spelta: Spighe lasse, allungate, mutiche o aristate, bianche o nere, a rachide fragile. Tr. sativ. dicoccum: Spighe compatte, appiattite, quasi sempre aristate, a rachide fragile; pedicello (frammento della rachide) molto più ottuso e consistente che nelle spighette dello spelta; cariosside, rispetto a questo, più dura, più compressa sui lati e più rossa. Tr. sativ. vulgare: Spighe mutiche o aristate: reste generalmente più o meno divaricate; glume non carenate, paglie cave, non midollose; cariossidi in prevalenza o nella totalità a frattura farinosa. Tr. sativ. compactum: differisce dal precedente soprattutto per la spiga compatta e più corta, il culmo di taglia bassa e generalmente molto robusto. Tr. sativ. turgidum: È tanto affine al duro, da rendere in qualche caso molto difficile una netta distinzione. Differisce soprattutto nelle spighe, grosse e spesso più corte, a reste meno lunghe, e più ancora nelle cariossidi: tozze, d'ordinario gibbose sopra il germe, farinose nella maturazione normale, non precipitata. Glume, come nel duro, carenate; culmo generalmente pieno, almeno nell'internodo apicale. In alcune varietà, di nessun valore agrario, spiga ramificata (grano del miracolo: Tr. compositum, L.). Tr. sativ. durum: Spighe, come nel turgido, sempre aristate, salvo in qualche razza, non ancora pervenuta alla coltura comune, proveniente da ibridazione; reste generalmente poco o punto divaricate, più sviluppate che in tutti gli altri grani; cariossidi allungate, dure, a frattura vitrea o ambracea. Triticum polonicum: Glumella interna meno lunga - metà circa, anziché eguale come negli altri grani - della corrispondente esterna o inferiore; glume cartacee, di lunghezza eguale o anche superiore a quest'ultima. Molto allungate e smilze le cariossidi, che ricordano quelle della segale.
Le specie comprese nel genere Triticum sono tutte annue, di taglia varia e generalmente non molto elevate, e in tutte si hanno razze vernine e razze primaverili. Queste ultime si possono quasi sempre assumere, in uno stesso ambiente, anche nelle semine preinvernali; delle prime, alcune si adattano alle semine di fine inverno e primavera; altre, in queste semine, non giungono a spigare, spesso nemmeno a tallire, nell'annata. Tutti i grani vestiti furono oggetto di coltivazione in tempi antichissimi: granelli di Tr. monococcum si sono rinvenuti nelle abitazioni lacustri dell'età della pietra; il T. spelta era il più importante cereale dell'Egitto e della Grecia, e fu largamente coltivato nell'Impero Romano; più ristrettamente, ma forse per primo nella più remota antichità, fu coltivato il Tr. dicoccum. Nell'agricoltura d'oggi si hanno appena tracce del T. monococcum, e più come pianta foraggera che come cereale; il T. spelta, molto soggetto alle ruggini, solamente nella Spagna settentrionale avrebbe ancora una non trascurabile importanza come cereale; il T. dicoccum viene qua e là coltivato nella Germania meridionale, nella Svizzera e anche in Italia, particolarmente nell'Appennino Emiliano, ma d'ordinario come foraggera; largamente in Russia, come cereale, soprattutto nella regione del Volga. Dei grani nudi. il tenero (Tr. vulgare) occupa il primo posto nella produzione granaria mondiale, contribuendo a questa con una quota di gran lunga superiore a tutte le altre. Estesamente coltivato è il T. compactum negli stati americani delle coste del Pacifico e delle Montatagne Rocciose; nel Chile, nell'Abissinia. Coltivati qua e là anche altrove, i grani turgidi hanno più frequente ricorrenza nelle regioni caldo-aride del Mediterraneo, il Mar Nero compreso. Meglio di tutti, essendo molto resistenti all'alidore e ai forti calori, mostrano di rispondere alle regioni calde e con scarse piogge i grani duri.
Alla più alta produzione mondiale del grano si è pervenuti, e a una produzione anche maggiore si tende manifestamente, sotto una crescente pressione della domanda; la quale scaturisce dai paesi di più recente penetrazione, ma più ancora, col generale elevarsi del tenore di vita, dalla sostituzione sempre più larga del grano agli altri cereali cosiddetti "minori". I quali, come avvenne nel Medioevo nelle nostre provincie del sud, conservano tenacemente il loro primato alimentare presso i popoli, come, per es., in alcuni dei balcanici, che, pur producendo molto grano, non si sono ancora messi socialmente all'altezza della diretta utilizzazione del medesimo, che viene pertanto per la massima parte esportato. La pressione della domanda sarebbe evidentemente rimasta senza efficacia agli effetti dell'estensione della zona colturale del grano, se fosse mancata la possibilità di dislocamento del cereale, con mezzi rapidi e soprattutto poco onerosi, anche a grandi distanze. Il sorgere di questa possibilità, e non si risale nel tempo neppure d'un secolo, ha determinato le maggiori espansioni della zona colturale del grano, aprendo la via del mercato mondiale alle sterminate "praterie" del Canada e degli Stati Uniti di America, alle pampas dell'Argentina, a territorî fra i più remoti e impervî della Russia, dell'Australia, ecc.
Richiamandoci alle più recenti statistiche, le quali, per ovvie ragioni, sono lungi dal poter dare indicazioni d'assoluta esattezza nell'anno 1931 possiamo ricordare che l'annua produzione mondiale del grano sembra aggirarsi fra i 1200 e i 1300 milioni di quintali con produzioni unitarie molto differenti, che dai minimi modestissimi di soli 3-4 quintali vanno ai massimi, oggi abbastanza frequenti anche nel nostro paese, di 30-40 e più quintali per ettaro. Le medie produzioni unitarie più alte si raggiungono in pochi paesi, come Danimarca, Belgio, ecc., in cui la coltura del frumento ha estensione molto limitata, così da non poter sopperire nemmeno al consumo locale. È chiaro pertanto che la parte più cospicua della produzione mondiale è data dalla coltura estensiva, o comunque tecnicamente meno evoluta, a medie non superiori agli 8-10 quintali per ettaro. Questo punto è da rilevare anche in relazione alle possibilità avvenire dell'approvvigionamento. Margini amplissimi di produzione si possono vedere non soltanto nelle nuove terre che il grano avrà presso di noi dalla bonifica e più o meno facilmente riuscirà a conquistare altrove, ma anche nella resa unitaria notevolmente più alta che, ove il bisogno prema, l'intensificazione colturale può sicuramente ottenere nel vasto dominio della coltura estensiva d'oggi, proprio nella maggior parte dei paesi più forti produttori di grano, quali gli Stati Uniti, il Canada, la Russia, ecc.
Ecco, secondo G. Mortara, qualche dato numerico:
I soli Stati Uniti, Canada e Argentina esportarono nel 1928-29 quasi 280 milioni di quintali. I tre quarti della massa di grano dislocata alimentarono come appresso i 6 principali mercati importatori europei (in milioni di quintali):
Nell'assemblea del Comitato permanente del Grano, tenutasi a Forlì il 24 settembre 1932, il Capo del governo italiano ha esposto i risultati raggiunti nei primi sette anni della "battaglia del grano". Che l'incremento sia frutto della intensificazione piuttosto che dell'espansione della coltura, è dimostrato dalle lievi oscillazioni della superficie a grano nell'ultimo ventennio. Si ha infatti:
E il graduale incremento - anzi, da ultimo, rapido e cospicuo - appare dai seguenti dati, i più recenti dei quali scaturiscono da un accertamento a così dire di precisione: dalla denuncia, di cui è fatto obbligo alle imprese di trebbiatura, della quantità di grano giornalmente trebbiato. Si ha:
Ecco infine le più recenti conquiste nei nostri maggiori centri di produzione granaria, pur nel decorso stagionale dell'annata 1931-1932 non poco avverso in molti di essi, come quelli della costa tirrenica, dell'Umbria, del Lazio ecc. Può essere sufficiente indicare l'incremento nella produzione unitaria, che risulta come appresso (per ha.):
La Lombardia, che conserva fondamentalmente il primato della produzione unitaria, registra una lievissima depressione (da q. 25,3 a q. 25,1) pur avendo avuto un incremento nella produzione complessiva. Cfr. anche cereali.
I maggiori centri di produzione, scriveva Percival nel 1921, sono nella Russia, negli Stati Uniti, nell'India, nella Francia, nel Canada, nell'Italia e nell'Argentina. Tutti questi paesi, eccettuate la Francia e l'Italia, producono più del loro bisogno ed esportano. In maggiore o minor misura, importano grano tutti i paesi dell'Europa occidentale. In tutti i mesi dell'anno si raccoglie grano nell'uno o nell'altro dei paesi occupati dal frumento nella sterminata su1 zona colturale. Ecco il calendario del grano compilato da Edgar.
Il diffondersi di razze molto precoci tende a generalizzare in Italia la mietitura del grano nel mese di giugno; ma giova anche ricordare che si va all'agosto e perfino ai primi di settembre nelle più elevate zone che il grano può toccare sugli Appennini e sulle Alpi.
Da nessun altro cereale si può ottenere un pane paragonabile a quello di grano per valore alimentare e appetibilità. Questa preminenza gli è conferita dalle particolari caratteristiche del suo glutine, al quale s'avvicina molto solamente quello della segala. Con implicito riferimento alla panificazione, il Percival scrive che i grani migliori sono prodotti, per la maggior parte, da paesi a inverno rigido ed estate relativamente calda; ma, a prescindere anche da ogni elemento di valutazione soggettiva, si può osservare che sulla qualità delle farine in relazione al pane s'enunciano giudizî molto disparati; e ciò anche perché con i varî processi di panificazione, anche da una stessa farina si può ottenere pane di qualità molto differenti.
La ricchezza della farina in glutine separato alla mano, come dicono i Francesi, fu in un primo tempo reputata condizione fondamentale, se non unica, della buona qualità del pane. E sulla percentuale più o meno elevata di glutine si basava fondamentalmente la distinzione delle farine, in forti o di forza, che dànno pane bene sviluppato e a porosità uniforme, e deboli, da cui si ottiene pane più denso, meno buono. È ora accertato che farine a pari contenuto di glutine possono dare pane buono o non buono a seconda delle differenti proporzioni per le quali entrano nella costituzione del glutine i due proteidi: glutenina e gliadina, che ne sono componenti. E del probabile esito della panificazione si tende oggi a giudicare soprattutto dal contenuto enzimatico.
Hanno qualità e attitudini molto differenti i grani che s'ottengono nei varî paesi del frumento; questo nelle più recenti sue espansioni, particolarmente con le varietà a semina postinvernale, tende a guadagnare superficie soprattutto nelle più elevate latitudini e giaciture, a clima più rigido e non arido. Nei paesi caldi e aridi prevalgono generalmente i grani duri (Triticum durum) che, insieme col Triticum compactum, le cui cariossidi non differiscono essenzialmente da quelle del grano tenero (Triticum vulgare), possono produrre anche con minime precipitazioni atmosferiche; si citano coltivazioni di grano duro giunto a buon fine, pur essendo totalmente mancata la pioggia dalla semina alla mietitura. I grani duri sono in Italia usati pressoché esclusivamente nella fabbricazione delle paste alimentari: industria fiorente, che conferisce al nostro paese un primato forse mondiale e dà reputati prodotti anche all'esportazione. In altri paesi, particolarmente nell'America Settentrionale, i grani duri sono utilizzati anche nella panificazione, come appropriato correttivo dei teneri, con più alta proporzione di amido e più poveri di glutine. Nelle regioni a clima temperato, in cui si trovano forse i 3/4 dell'attuale zona del frumento, si producono in forte prevalenzai spesso anche esclusivamente, grani teneri; i quali provengono principalmente dalle moltissime varietà del Triticum vulgare, in rari casi da varietà del T. compactum, più proprie, come si disse, dei climi caldo-aridi. Le poche varietà del Triticum turgidum sono sporadicamente coltivate nella maggior parte dei ierritorî della zona agraria del frumento, senza giungere mai, forse in nessun territorio, a divenire preponderanti. Ciò forse per il fatto che il loro glutine, pure in generale non scarso, risponde meno bene alle esigenze sia del fornaio che del pastaio.
Variano molto nei diversi grani la forma, la mole, la densità, la frattura e il colore del granello. La forma e il colore, entro certi limiti anche la mole, del granello caratterizzano le varie specie del frumento, spesso anche varietà singole o gruppi di varietà tra loro affini; sono invece estremamente variabili, fluttuanti, non ereditarie, la densità e la frattura.
La cariosside smilza, allungata, a sezione trasversale pressoché triangolare, trasparente, d'aspetto ambraceo, è caratteristica dei grani duri. Si a qualche raro caso (per es., nel Cologna) di forma allungata e smilza in grani teneri, i quali si possono comunque facilmente distinguere dai duri per la frattura più o meno farinosa, che li rende anche non trasparenti. La cariosside ovoidale o tondeggiante, a sezione trasversale quasi circolare, è comune ai grani teneri e ai turgidi; ma è possibile distinguere questi ultimi dai primi per la loro mole generalmente maggiore e la forma più tozza (donde la qualificazione specifica - turgidum - e l'indicazione di grano "grosso" usata qua e là nel nostro paese); per la maggiore compattezza della loro massa, per la caratteristica gibbosità verso l'estremo basilare. Contrariamente a ciò che si riscontra nei grani teneri e, sebbene più limitatamente, nei duri, non differisce molto la forma della cariosside nelle diverse varietà del Triticum turgidum.
L'accertamento della densità dei grani non viene fatto abitualmente, neppure nei laboratorî, con la determinazione del loro peso specifico; si preferisce nella pratica determinare il peso specifico apparente (peso dell'ettolitro). Sono in uso varî apparecchi che forniscono indicazioni rapide e tanto più esatte quanto meglio assicurano l'uniformità di carico del piccolo recipiente (il più spesso 1/4 di litro) destinato ad accogliere il grano da "pesare": si può ricordare tra i migliori l'apparecchio a quadrante di Sommer e Runge. Oltre che dalla densità dei granelli, il peso dell'ettolitro dipende dalla loro mole e più ancora dalla forma: evidentemente i granelli più minuti e tondeggianti - assestandosi meglio, col minimo di spazio vuoto, nel recipiente - raggiungono, a pari densità, i più alti pesi dell'ettolitro. Pur con eccezioni, il peso dell'ettolitro determinato con sufficiente esattezza indica approssimativamente la percentuale in peso della resa del grano in farina, nella cosiddetta alta macinazione dei molini a cilindri. Anche nei grani d' una stessa razza, in conseguenza della vegetazione più o meno prospera o stentata, il peso dell'ettolitro può variare notevolmente nei varî centri di coltivazione e nelle diverse annate. Nel nostro paese si considerano buoni i grani nei quali il peso dell'ettolitro si aggira intorno ai 7375 kg.; buonissimi quelli che raggiungono o superano gli 80 kg.
I caratteri di frattura si rilevano nei laboratori esaminando a occhio, o eventualmente con leggiero ingrandimento, la sezione trasversale praticata, mediante i cosiddetti farinatomi, verso la metà circa della cariosside, e s'indicano con riferimento a 100 granelli. I grani teneri e i turgidi, detti spesso, questi, erroneamente semiduri, presentano frattura bianca, farinosa al 100%, se provengono da piante che hanno potuto giungere a maturità svolgendo interamente il loro ciclo vegetativo. Nei casi, frequenti in Italia, specie nelle zone basse e nei territori più caldi, di maturazione affrettata, una quota più o meno rilevante di granelli, fino a raggiungere a volte la totalità, non presenta frattura farinosa: si dicono semiteneri o semiduri, secondo che s' avvicinano dippiù alla frattura tipicamente farinosa o alla frattura ambracea, che peraltro non raggiungono mai in pieno, caratteristica dei grani duri. Con poche eccezioni, fra cui si può forse citare il "gentile bianco" di Toscana, i grani teneri coltivati in Val Padana e, più a sud, anche nelle zone di basso poggio, producono generalmente granelli a frattura mista, caratterizzati da quote più o meno alte di semiduri e semiteneri. Analoghe vicende vegetative ricorrono nell'America Settentrionale, dove questi grani a frattura mista sono detti hard (duro), se contengono in prevalenza granelli semiduri, in contrapposto al grano decisamente farinoso (soft), mentre son detti macaroni i grani propriamente duri. Questi ultimi (varietà del Triticum durum e T. polonicum) presentano frattura ambracea se derivano da piante che hanno potuto maturare normalmente e completamente; la vegetazione troppo prolungata o particolari azioni ambientali non ancora ben determinate dànno percentuali più o meno alte di granelli parzialmente o anche totalmente farinosi, da cui avranno origine però granelli tipicamente duri, a frattura ambracea, in condizioni di vegetazione normali per questa specie di frumento. A chiarire gli effetti che, qualunque possano essere la specie o la razza, la composizione del grano risente dal procedere più o meno rapido della vegetazione, soprattutto tra la spigatura e la maturazione, giova qui ricordare, con Th. F. Hunt, che l'endosperma si sviluppa più tardi del germe, il quale è il primo a sviluppare. Decresce generalmente, a misura che il grano si avvicina alla maturazione, la percentuale di ceneri, azoto e cellulosa, in conseguenza dell'incremento di tutti i carboidrati tranne la cellulosa, pur rimanendo immutate, se non accrescendosi, le precedenti quantità assolute dei varî componenti della cariosside. I cambiamenti di composizione appaiono molto lievi, dopo che il granello ha raggiunto la consistenza pastosa. La più alta percentuale di azoto nei grani primaverili è probabilmente dovuta, almeno in parte, a una deficiente maturazione.
Per dire del colore dei grani e per un necessario accenno ai principali prodotti della macinazione, daremo qui appresso, traendola principalmente dal Percival, una breve descrizione della struttura anatomica d'un granello o cariosside del frumento.
È un frutto simile a una noce: frutto a unico seme il quale è racchiuso in un guscio molto sottile. Anziché libero come in molte noci, il seme è aderente alle pareti interne del guscio, o pericarpo, da cui non può essere facilmente separato. Il pericarpo è costituito da 4-5 strati di cellule che formano l'epidermide esterna e l'interna, fra le quali si hanno 2-3 strati di cellule parenchimatiche ispessite. Il seme consiste di 4 parti: tegumento o testa, embrione, strato nucellare ed endosperma.1. Il tegumento copre l'embrione e l'endosperma ed è formato di due strati di cellule; quasi incolore lo strato esterno, rosso o bruno (nei granelli rossi) lo strato interno, da cui dipende principalmente il colore del granello. 2. Lo strato nucellare o strato ialino è l'epidermide della nucella; si presenta come una grossa linea incolore a struttura cellulare non apparente, quasi a segnare il limite interno del tegumento. 3. L'endosperma, con l'embrione che ne occupa una piccolissima parte, riempie l'interno del granello. Presenta all'esterno uno strato di grosse cellule, altra volta indicate come cellule aglutine, mentre questo fu dimostrato da H. Schenk (1872) completamente assente: è lo strato ad aleurone. Segue, all'interno di questo, il parenchima amido -glutinoso, che costituisce la parte maggiore dell'endosperma ed è formato da cellule poliedriche: piccole presso l'embrione, a mano a mano più grandi procedendo verso l'interno; sono quasi tutte riempite di granuli di amido inclusi in una matrice protoplasmatica da cui proviene il glutine che si estrae, a mano, trattando la farina con acqua. 4. L' embrione è collocato presso la base del granello in corrispondenza del lato dorsale. La sua parte essenziale è l'ipocotile che reca al proprio apice la plumula o la gemma, composta di foglie rudimentali circondate da una guaina (coleoptile) e alla base il sistema radicale racchiuso dalla coleoriza o guaina della radice. La parte maggiore dell'embrione è però rappresentata dallo scudetto, massa carnosa conchigliforme provvista di uno strato epiteliale (epitelio colonnare) a cellule cilindriche allungate che sono in contatto con l'endosperma. Queste cellule secernono la diastasi, l'enzima che solubilizza le riserve amilacee dell'endosperma, e, funzionando come austorî, assorbono da questo tutte le sostanze plastiche e le trasmettono all'embrione durante la germinazione.
Il pericarpo è traslucido e nei grani maturati in stagione calda e asciutta ha una tinta crema pallida come la paglia. I grani "bianchi" hanno tegumento incolore; i colorati presentano molte gradazioni del rosso, per la presenza d'un materiale oleoso o glutinoso che si forma durante la maturazione nelle cavità cellulari e fra le pareti dei due strati del tegumento. Oltre che dalla colorazione più o meno intensa del tegumento, il colore della cariosside, più nettamente rilevabile nei grani farinosi, dipende dalla grossezza, dalla tinta, dalla trasparenza del pericarpo e dall'essere l'endosperma farinoso o corneo. L'apparenza bianca opaca dei grani farinosi è dovuta alla presenza di piccole fessure, vuote o parzialmente riempite d'aria, che nel corso della maturazione si formano tra le cellule dell'endosperma o anche nell'interno delle medesime. Questi spazî mancano nell'endosperma dei grani duri, a cellule completamente riempite di granuli d'amido tenuti insieme da una matrice protoplasmatica che ne forma una massa coerente. Molti accurati accertamenti sui grani più diffusi nella coltivazione, hanno consentito al Percival di stabilire i seguenti rapporti medî ponderali fra le varie parti del granello: embrione 2,8-3,5%; endosperma amido-glutinoso 87-89%; pericarpo, tegumento, strato nucellare e strato aleuronico 7,8-8,6%.
Il fiore è principalmente costituito dall'endosperma finemente macinato. Pur sembrando una polvere impalpabile, osservato al microscopio il fiore si mostra costituito di particelle sferiche e particelle più o meno angolose, più frequenti nel fiore di grani duri, in varia proporzione fra loro nei differenti processi di macinazione. Si preferisce generalmente il fiore di media granulazione, a particelle di media e piccola mole, il quale è dotato di maggiore attitudine all'assorbimento dell'acqua, attitudine che giova alla qualità del pane.
Il pericarpo, il tegumento, l'aleurone e l'embrione vanno nella crusca e nella semola, insieme con una piccola parte dell'endosperma che non si riesce a staccare dall'aleurone. Interessa particolarmente eliminare dal fiore l'embrione, che ne comprometterebbe la serbevolezza e immetterebbe dei composti azotati non utili al processo della buona panificazione.
Malattie e cause nemiche: Le nebbie, i geli, le piogge violente, le grandinate possono arrecare gravi danni alle colture granarie, a seconda del grado di sviluppo delle piante, così pure i venti impetuosi quando il grano è quasi maturo. Numerosi nemici e parassiti animali e vegetali insidiano le coltivazioni del grano; i principali sono i seguenti:
Animali: I granelli dopo la semina sono rosi dalle larve di parecchie specie d'insetti. I germogli delle giovani piantine sono distrutti dalle larve di alcuni ditteri (Oxinis, Cecidomya, ecc.). Le radici anche sono insidiate da larve di parecchi coleotteri, lepidotteri e ditteri. Le foglie e i culmi adulti sono insidiati da: Jassus sexnotatus Fall., Siphonophora cerealis Kalt., Aphis zeae Bon., Chlorops taeniopus Meig., Chl. lineata Fb., Siphonella pumilionis Bjerk., Camarota cerealis Rond., Haltica vittula Rutb., Hadena didyma Esp., Anerasia lotella Hb., Agrotis crassa Hb., Tetranychus telarius L., Aphis avenae H. Attaccano le spighe: Thrips secalina Lind., Cecidomya destructor Say., Epidosis cerealis Sant., Eurytoma noxyale Portsch, Cephus pygmaeus L., Siphonophora cerealis Kalt. I granelli, in via di formazione o bene sviluppati, sono insidiati da: Tylenchus tritici Needh., Zabrus gibbus Fb., Anisoplia sp. pl., Hadena sp. pl., Coleophora tritici Lind., Phloeothrips frumentaria Bel., Thrips cerealium Halid.
I granelli raccolti sono corrosi da: Tinea granella L., Sitotroga cerealella Oliv., Calandra granaria Oliv., C. oryzae L., Bruchus granarius L.
Vegetali: I parassiti vegetali sono tutti funghi. Le piantine giovani sono danneggiate da Piroctonum sphaericum Prunet.; le radici sono distrutte dal marciume. Le foglie e i culmi adulti sono insidiati da: Puccinia graminis Pers., P. rubigo vera Wtr., Pleospora infectoria Fckl., P. vagans Niessl., Phoma lophiostomoides Sacc., Dilophia graminis Sacc., Leptosphaeria tritici Pass., Septoria graminum Desm., Gibellina cerealis Pass., Urocystis occulta Rchb., Erysiphe graminis DC., Septoria tritici Desm., Ascochyta graminicola Sacc.
Le spighe sono attaccate da: Ustilago tritici Jens., Urocystis occulta Rhb., Dilophia, Puccinia, Ophiobolus herpotrichus Sacc., O. graminis Sacc. I granelli da: Tilletia tritici Wtr., T. laevis Kühn, Claviceps purpurea Tul., Cladosporium herbarum Lk., Fusarium heterosporum N.v.E., F. trititi Ericks., Phoma Hennebergi Kuhn., Septoria glumarum Pass.
I granelli raccolti sono attaccati da Micrococcus tritici Prill.
Bibl.: Th. F. Hunt, The cereals in America, Londra e New York 1904, ristampa 1924; A. Fiori, Flora analitica d'Italia, I, Padova 1908; J. Percival, Agricultural Botany, Londra 1921; id., The Wheat Plant., Londra 1921; J. A. Clark, J. H. Martin, R. C. Ball, Classification of American Wheat varieties, Washington 1923; H. e M. Denaiffe, Colle e E. Sirodot, Les blés cultivés, Carignan 1928; F. Milone, Il grano, condizioni geografiche della produzione, Bari 1928; M. Bonvicini, L'impronta nelle glume del grano, Piacenza 1929; U. S. Department of Agriculture, Milling and Baking qualities of World Wheats, Washington 1930; St. Popescu, Contributiuni la cunoaòterea sistematica a grâului din România, Bucarest 1930; H. D'André, R. Newton e J. G. Malloch, C. La Rotonda e G. Leone, U. Pratolongo: opuscoli e articoli varî.