GRANELLO, Nicolosio, detto il Figonetto
Non si conosce la data di nascita di questo pittore attivo a Genova tra la fine del quinto decennio e l'alba degli anni Cinquanta del XVI secolo.
Secondo Raffaele Soprani, suo primo biografo, il G. proveniva da un paese situato nelle vicinanze di Pieve di Teco (Riviera di Ponente). La data di nascita dell'artista, non riportata dall'erudito genovese, deve essere collocata, come proposto nei contributi più recenti, verosimilmente intorno alla metà degli anni Venti del Cinquecento; ciò si deduce dal fatto che il figlio Nicola, nato dall'unione con Margherita, nel 1571 fu nominato da Filippo II pittore di corte e pertanto, a quella data, doveva essere quantomeno maggiorenne (Boccardo, 1989, p. 130 n. 46).
Soprani riporta la notizia dell'ingresso del G. nella bottega del pittore Ottavio Semino, nato a Genova intorno al 1527 e morto a Milano nel 1604. La critica più recente (Caraceni Poleggi, 1987, pp. 289 s.; Boccardo, 1989, p. 123; Parma, 1999, p. 396) ha tuttavia ritenuto più attendibile l'ipotesi di un primo apprendistato del G. a fianco del padre di Ottavio, Antonio Semino, morto nel 1555.
Tale artista occupava del resto un ruolo di spicco nell'ambiente culturale genovese di pieno Cinquecento, essendo per di più a capo di un nutrito gruppo di giovani pittori specializzati soprattutto nella decorazione ad affresco, alcuni dei quali divennero nell'arco di poco tempo tra le personalità più apprezzate dall'aristocrazia locale.
Probabilmente proprio grazie al rapporto instaurato con la rinomata bottega di Antonio, il G. ottenne la commissione di affrescare alcune sale della villa che Adamo Centurione, importante banchiere di Carlo V e stretto alleato di Andrea Doria, stava edificando nel corso del quinto decennio del XVI secolo nel sobborgo genovese di Pegli. Questa decorazione costituisce, sia dal punto di vista delle scelte iconografiche sia per quanto riguarda il linguaggio pittorico, contraddistinto da una preponderante matrice romana, una puntuale derivazione - e ideale "continuazione" - degli affreschi realizzati da Pietro Buonaccorsi (Perin del Vaga), tra la fine degli anni Venti e l'inizio del decennio successivo, nel palazzo di Andrea Doria a Fassolo.
I forti legami esistenti tra l'ammiraglio e Centurione, dal 1537 resi ancor più saldi grazie al matrimonio della figlia di quest'ultimo, Ginetta, con Giannettino Doria, nipote di Andrea e suo erede, si manifestarono anche tramite analoghe scelte in ambito artistico, con l'utilizzo da parte del banchiere genovese di artisti locali profondamente influenzati dalla produzione di Perin del Vaga e dai coevi esiti della cultura pittorica dell'Italia centrale. Ritornano, infatti, con continuità nelle varie raffigurazioni disseminate nelle sale della villa i ricercati e aulici temi mitologici desunti dalla decorazione perinesca del palazzo Doria, che funse da imprescindibile modello "politico-culturale" per Centurione.
L'intervento del G. all'interno della villa di Pegli è verosimilmente collocabile a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta: iniziato forse a partire dal 1549, anno in cui ad Adamo Centurione venne conferito il titolo di marchese di Estepa e Pedrera, fu con probabilità concluso prima dell'avvio, nel 1552, dei lavori nella sua cappella in S. Maria degli Angeli a Promontorio; nell'ultimo decennio del Cinquecento la decorazione fu ampliata con altre scene, raffiguranti sempre soggetti mitologici, eseguite da Lazzaro Tavarone per volere di Giovanni Andrea Doria, figlio di Ginetta, divenuto nel frattempo proprietario dell'edificio.
Incline, volta a volta, ad ampliare o ridimensionare la partecipazione del G. nella decorazione delle sale della villa Centurione (attuale Museo navale e liceo G. Mazzini), la critica ha espresso pareri spesso divergenti sull'attribuzione di alcuni dei brani eseguiti in occasione del primo cantiere, specialmente quelli negli spazi del piano terreno. Alcuni di questi sono stati ipoteticamente accostati da E. Parma (pp. 304 s.) proprio alla sfuggente figura del G., coadiuvato in questa occasione da alcuni aiuti: secondo la studiosa sono in particolare da riferire al G. le grottesche e gli Episodi dell'Orlando furioso, presenti sulla volta dell'atrio, e l'affresco del salone raffigurante LaSibilla che mostra ad Augusto la Madonna (già attribuiti rispettivamente alla produzione della bottega di Giovanni Battista Castello il Bergamasco e al giovane Luca Cambiaso: Pessa Montagni, pp. 14, 17 s.), e ancora i riquadri con Marco Curzio che si getta nella voragine e la Carità romana, affiancati da divinità marine e fluviali e fregi con grottesche. Sicuramente ascrivibile alla mano del G. è l'affresco che orna la loggia a ovest del piano nobile raffigurante l'episodio di Perseo che libera Andromeda, oggi solo parzialmente leggibile, arricchito lungo i bordi del soffitto, nei peducci e nelle lunette, da raffinate grottesche dipinte su un fondo chiaro. Sullo stesso piano sono sempre di mano del G. gli affreschi nel soffitto del salone principale: il grande riquadro raffigurante Giasone che prende commiato da Pelia e quattordici Divinità mitologiche disposte lungo i quattro lati, mentre in ognuna delle diciotto lunette sono inseriti altrettanti Putti con armi e nei celetti Teste di Venti che emergono tra candide nuvole rigonfie. Ancora opera del G. sono tutte le rappresentazioni presenti sulla volta del vicino andito verso il giardino, con l'Allegoria della Musica, Marte, Venere e Amore circondati da grottesche, mentre nella lunetta è dipinto, all'interno di una cornice rettangolare, un Ritratto di Andrea Doria, colto di profilo e in piedi, stagliato su una superficie verde uniforme. Dietro questo elemento si sviluppa un profondo paesaggio costiero nel quale si svolge una battaglia navale, probabile "commemorazione" di una delle tante imprese che videro protagonista l'ormai anziano ammiraglio genovese. Sempre a E. Parma (p. 309) si deve infine l'attendibile proposta di inserire tra le scarse opere del G. anche la volta di una delle sale dell'ala est della villa, ornata al centro da una grande raffigurazione con il Suicidio di Didone e intorno da quattro riquadri che racchiudono due figure allegoriche (ipoteticamente identificate dalla studiosa con Giunone e un Fiume) e due scene con Amore in riposo presso una fonte e il Riposo di Venere e Cupido. Il ciclo appare interessato in alcune parti sia da ridipinture ottocentesche sia da più antichi ritocchi, questi ultimi realizzati con probabilità alla fine del Cinquecento in occasione della seconda fase decorativa degli interni della villa e individuabili particolarmente in corrispondenza dei magniloquenti personaggi mitologici, le cui nudità furono in più casi occultate verosimilmente da Lazzaro Tavarone con l'aggiunta di ampi panneggi percorsi da riflessi cangianti.
Gli affreschi eseguiti dal G. rivelano la sua non superficiale conoscenza delle novità provenienti dalla cultura pittorica romana, introdotta in Liguria principalmente in concomitanza con la sosta in città di Perin del Vaga, ma anche grazie alla vasta circolazione di incisioni, in particolare tratte dalle scene che ricoprivano la volta della cappella Sistina. Proprio dalle opere michelangiolesche e dalla decorazione degli appartamenti Farnese in Castel Sant'Angelo, realizzati nel corso degli anni Quaranta del Cinquecento da Perin del Vaga e dai suoi numerosi collaboratori, paiono infatti desunti vari particolari compositivi, certe posture monumentali, una simile resa plastica dei corpi e un'analoga raffinata tavolozza cromatica; si riscontrano poi numerosi puntuali rimandi a determinati particolari della decorazione della sala Paolina, più specificatamente a certi brani dipinti da Pellegrino Tibaldi. Boccardo (1989, p. 124) pone inoltre in evidenza i legami, sia tematici sia "strutturali", esistenti tra l'episodio con Giasone davanti a Pelia e la stessa scena, oggi perduta, affrescata da Giovanni Antonio de' Sacchis, detto il Pordenone, sulla facciata meridionale della dimora di Andrea Doria a Fassolo, documentata unicamente da un disegno attribuito alla sua bottega (Berlino, Staatliche Museen).
Se, attraverso lo studio delle opere di Perino e del Pordenone, il G. ebbe l'opportunità di accostarsi a nuovi esiti pittorici, forse solo in seguito a un suo diretto contatto con i grandi cantieri aperti a Roma negli anni Quaranta del Cinquecento, in particolare proprio la decorazione degli appartamenti Farnese in Castel Sant'Angelo, si possono spiegare certi intensi rimandi che sembrano spesso colti e rielaborati senza la mediazione di un'altra personalità. Non si può quindi assolutamente escludere, come avanzato anche da Causa (p. 167), un possibile soggiorno del pittore a Roma, collocabile forse intorno alla metà del quinto decennio, quasi a ridosso dell'avvio del cantiere di Pegli. Ipoteticamente potrebbe essere in occasione di questo viaggio che il G. ebbe peraltro modo di conoscere Giovan Battista Castello il Bergamasco, anch'egli presente a Roma in quel lasso di tempo come protetto del nobile genovese Tobia Pallavicino.
Forse fu proprio grazie a questo comune momento formativo che si possono spiegare le tangenze, già riscontrate da vari studiosi, esistenti tra il ciclo eseguito dal G. per la villa di Pegli, in particolare l'episodio con l'incontro tra Giasone e Pelia, e alcune opere del Bergamasco, come l'affresco raffigurante l'Assegnazione delle armi di Achille, già nella villa Lanzi a Gorlago (ora Bergamo, palazzo della Prefettura), terminato dall'artista nei primi anni Cinquanta del XVI secolo. A testimoniare l'esistenza di un probabile legame tra i due pittori (Boccardo, 1989, p. 131 n. 58) è il fatto che il Bergamasco sposò in seconde nozze la moglie del G. e che sicuramente ricoprì il ruolo di maestro nei confronti del figliastro Nicola.
Alle esigue testimonianze pittoriche riferibili al G. sono stati aggiunti negli ultimi anni alcuni disegni, uno dei quali messo in relazione con gli affreschi nella villa di Pegli; Causa, in particolare, ha accostato al riquadro con Giasone davanti a Pelia un foglio (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, inv. 1134), in precedenza inserito nel corpus grafico di Francesco Salviati, raffigurante nel recto la parte centrale della scena mitologica, qui ambientata in un paesaggio disseminato di alberi e rovine classiche che nella versione pittorica sarà sostituito dal brano con la costruzione della nave. Il disegno, considerato un primo progetto per la suddetta scena, presenta nel verso vari studi raffiguranti una Madonna con Bambino,s. Giovannino e due sante (esemplata su un modello di ambito raffaellesco), un Paesaggio con rovine e uomini a cavallo, uno schizzo con Ercole che strozza il leone nemeo, ripreso dall'affresco di Baldassarre Peruzzi eseguito nella loggia di Galatea della Farnesina a Roma, e ancora due rilievi dell'arco di Costantino con la Presentazione di un capo barbaro a Marco Aurelio e i Prigionieri che vengono condotti davanti all'imperatore. Proprio la presenza di queste ultime composizioni, verosimilmente studiate sul posto, può costituire una delle prove tangibili per avvalorare la proposta di un soggiorno romano del Granello. L'articolato gruppo composto dalla Madonna e il Bambino circondati dalle tre figure di Santi potrebbe costituire poi una prima debole testimonianza della sua per ora ignota produzione di pale d'altare o dipinti da cavalletto, con probabilità da ricercare tra le numerose opere genericamente ascritte al Cambiaso o alla sua cerchia.
Nel corpus grafico del G. sono stati inseriti inoltre da M. Newcome (1985) due fogli (inv. 9314 e 9440) raffiguranti rispettivamente Galatea con putti e una Cerimonia nuziale (Louvre, Cabinet des dessins), opere che evidenziano però una sostanziale difformità stilistica rispetto al disegno fiorentino; Causa ha ipoteticamente accostato al G. anche una Madonna col Bambino, s. Elisabetta e una santa (Oxford, Ashmolean Museum).
Non si conosce la data di morte del pittore, collocabile all'incirca all'inizio del sesto decennio del Cinquecento, probabilmente prima del compimento del venticinquesimo anno di età.
Il G. non appare infatti tra i maestri elencati in quel momento nella matricola dell'arte genovese, all'interno della quale si veniva inseriti solo dopo aver compiuto i venticinque anni; egli del resto non risulta neppure partecipare all'équipe di maestri genovesi - composta da Luca Cambiaso, Andrea e Ottavio Semino - voluta da Adamo Centurione in occasione della decorazione, a partire dal 1552, della propria cappella in S. Maria degli Angeli.
Fonti e Bibl.: R. Soprani, Le vite de' pittori, scultori, ed architetti genovesi…, Genova 1674, pp. 30 s.; A. Orlandi, Abcedario pittorico, Firenze 1731, p. 341; R. Soprani - C.G. Ratti, Vite de' pittori, scultori, ed architetti genovesi… rivedute, accresciute ed arricchite…, I, Genova 1768, pp. 73 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia…, V, Bassano 1809, p. 304; A. Merli - L.T. Belgrano, Palazzo del principe D'Oria a Fassolo in Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, VIII (1874), pp. 75 s.; C. Marcenaro, Uno sconosciuto ritratto di Andrea Doria nel palazzo Bianco di Genova, in Emporium, CVI (1949), 7, p. 247; L. Grossi Bianchi, Villa Doria, in Catalogo delle ville genovesi, Genova 1967, p. 265; F. Caraceni Poleggi, La committenza borghese e il manierismo a Genova, in La pittura a Genova e in Liguria dagli inizi al Cinquecento, Genova 1970, pp. 289 s., 313 s.; L. Secchi, Pegli. Museo navale di villa Doria, Genova 1977, pp. 6, 10; P. Boccardo, L'esordio della facciata dipinta nelle ville genovesi del Cinquecento: rapporti tra committenza e iconografie, in Facciate dipinte: conservazione e restauro. Atti… Genova…, 1982, a cura di G. Rotondi Terminiello - F. Simonetti, Genova 1984, pp. 242, 244; Id., L'episodio genovese del Pordenone all'interno di una nuova proposta cronologica per la decorazione di palazzo Doria, in Il Pordenone. Atti… Pordenone… 1984, a cura di C. Furlan, Pordenone 1985, p. 167; M. Newcome, Le dessin à Gênes du XVIe au XVIIIe siècle (catal.), Paris 1985, pp. 21-23, nn. 11 s.; L. Pessa Montagni, Gli affreschi della villa Doria di Pegli: un unicum del Cinquecento genovese, in Paragone, XXXVII (1986), 437, pp. 3-24; F. Boggero, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1987, I, pp. 28 s.; M. Bartoletti, ibid., II, p. 737; F. Caraceni Poleggi, La committenza borghese e il manierismo a Genova, in La pittura a Genova e in Liguria dagli inizi al Cinquecento, Genova 1987, pp. 228, 230, 289 s.; L. Magnani, Il tempio di Venere. Giardino e villa nella cultura genovese, Genova 1987, pp. 49-52; P. Boccardo, Andrea Doria e le arti. Committenza e mecenatismo a Genova nel Rinascimento, Roma 1989, pp. 44, 123-125, 130 s.; M. Newcome Schleier, Disegni genovesi dal XVI al XVIII secolo (catal.), Firenze 1989, p. 25 n. 4; S. Causa, Rivendicazione di un G., in Napoli, l'Europa. Ricerche di storia dell'arte in onore di Ferdinando Bologna, a cura di F. Abbate - F. Sricchia Santoro, Catanzaro 1995, pp. 163-167; L. Magnani, Luca Cambiaso da Genova all'Escorial, Genova 1995, pp. 45 s., 54, 57, 118, 253, 270; E. Parma, Pittori a Genova nella seconda metà del Cinquecento, in La pittura in Liguria. Il Cinquecento, a cura di E. Parma, Genova 1999, p. 69; R. López Torrijos, La pittura genovese in Spagna, ibid., p. 148; E. Parma, Palazzo di Tomaso Spinola (Pessagno), ibid., p. 207; Id., Villa di Adam Centurione (Doria), ibid., pp. 304 s., 308 s.; Id., G., N., ibid., p. 396.