Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’epoca carolingia le discipline liberali che componevano il “trivio” di base della formazione scolastica attraversano una fase di recupero e sistemazione, basata sulla ripresa di manuali della tarda antichità, ma anche di riformulazione, legata alle nuove esigenze di un pubblico non più di madrelingua latina, alle necessità di standardizzazione della comunicazione da parte delle istituzioni politico-religiose e al rapporto con la cultura cristiana.
Carlomagno
Riforma dell’insegnamento elementare
Admonitio Generalis
I sacerdoti coinvolgano sia i ragazzi di condizione servile sia i figlio di uomini liberi: vogliamo che si aprano scuole per insegnare i ragazzi a leggere. In ogni monastero e diocesi insegnate i Salmi, le note, il canto, il computo, la grammatica, e correggete con cura i libri religiosi, poiché spesso, quando si desidera pregare bene Dio, ci si riesce male a causa dell’imperfezione e degli errori dei libri. Non lasciate che i vostri allievi ne alterino il senso leggendoli o scrivendo.
Smaragdo di Saint-Mihiel
Rapporto avverbio-verbo
Liber in partibus Donati
Così provvede a produrre il significato, in modo che la parte sia più ricca del contribuente suo pari. Questa tuttavia seguendola da presso sta accanto al Verbo suo padrone come una supplice, pronta a pulirgli i pedi. Quella siede imponente sull’alto trono regale, questa ne tiene i piedi in grembo, quella estende le braccia per libri immensi, questa corre ovunque per soddisfarla.
Smaragdo di Saint-Mihiel, Liber in partibus Donati
Gotberto
Genealogia dei Grammatici
I rapporti sono ricostruiti in maniera fantasiosa con molti errori storici, ma testimoniano la coscienza di una continuità di scuola fra Roma, l’Inghilterra del VI e VII secolo, la Francia dell’VIII e del IX secolo.
Il monaco Teodoro di Tarso in Cilicia e Adriano, abate della corporazione dei Greci, che un tempo soggiornarono a Roma, sapienti sia in greco sia in latino, conoscendo tutte le arti liberali, furono mandati dal vescovo di Roma nelle isole britanniche e vi divennero famosi sia per la testimonianza salvifica della fede sia per le discipline della scienza profana. Tra i loro discepoli fu Aldelmo, uomo venerabile, che seppe trovare in Beda un successore. Poi un altro, di cui non si sa il nome, trasmise il suo insegnamento a Rabano, allievo della sua scuola. Costui, chiamato per il suo sapere dai vescovi della Gallia e dai re di Francia a venire da oltremare, rifiutato in seguito l’onore dell’episcopato, lasciò come discepolo Alcuino, soprannonimato Albino. Costui, dedicatosi allo studio della scuola in cui era stato accolto, lasciò Smaragdo nelle plaghe della dottrina filosofica. Là Smaragdo incontrò Teodulfo, poco dopo nominato vescovo di Orléans. Teodulfo approfondì le conoscenze filosofiche di Giovanni Scoto Eriugena e del compatriota Elia, uomo saggio da ogni punto di vista. Ma Elia, istruendo Eirico, ben meritò di ricevere il trono di Angoulême. Eirico istruì poi Remigio, monaco di Saint-Germain di Auxerre ed anche Ubaldo, monaco di Saint-Amand, l’uno nelle lettere, l’altro nella poesia.
in P. Riché, Le scuole e l’insegnamento nell’occidente cristiano dalla fine del V secolo alla metà dell’XI secolo, trad. di Niccolò Messina qui modificata da F. Stella, Roma, Jouvence, 1979
La riforma linguistica e ortografica promossa da Carlo Magno e dal suo circolo di intellettuali e maestri è considerata una delle operazioni di politica culturale più influenti della storia occidentale, perché standardizza uno strumento di comunicazione indispensabile per i collegamenti all’interno dell’impero, e di tutta l’Europa occidentale, e insieme interrompe il processo di trasformazione unitaria delle lingue romanze, creando un doppio binario di evoluzione: le lingue parlate da una parte, prive per alcuni secoli di una propria grammatica e di una propria struttura scolastica, e il latino scolastico dall’altra, unico mezzo di comunicazione ufficiale internazionale ma privo della capacità di rinnovamento derivante dall’uso vivo e popolare.
Delle motivazioni politiche e amministrative, oltre che religiose, di questa riforma abbiamo testimonianza nella Admonitio generalis del 789 e nell’Epistula de litteris colendis, manifesto della riforma carolingia.
La scuola carolingia si trova in realtà a fronteggiare anche un problema ben più esteso della comunicazione religiosa: l’acculturazione latina di popoli di cultura celtica e germanica e di lingua gallese, irlandese, antico tedesca e franca.
A questo scopo le grammatiche lasciate dalla latinità non sono adatte, perché si rivolgono a un pubblico di madrelingua latina. L’Ars minor di Donato, una delle più diffuse, si concentra sulle proprietà delle parti del discorso anziché sulla loro forma. L’Ars maior si concentra, invece, su unità inferiori alla parola, come lettere, sillabe o piedi metrici, oppure superiori, come le figure del discorso. Gli altri grammatici tardoantichi seguono lo stesso modello, anche se Carisio, Diomede, Consenzio e Probo offrono insegnamenti di morfologia più di Dositeo, Scauro, Audace, Aspro e Agostino. Perfino le regulae, genere grammaticale più elementare delle artes, si rivolgevano a studenti già istruiti nelle forme base della lingua (Foca, ad esempio, o l’Institutio de nomine, pronomine et verbo di Prisciano).
La soluzione tecnica è offerta dalle Declinationes nominum o Coniugationes verborum che si trovano nei codici carolingi, o dalle cosiddette grammatiche insulari, provenienti cioè da Irlanda e Gran Bretagna, come l’Ars Asporii (fine VI sec.) o le grammatiche protocarolinge di Tatuino e Bonifacio, o l’Ars Ambianensis, che completano Donato fornendo paradigmi di declinazione e coniugazione. Nei decenni di regno di Carlo Magno la diffusione di queste opere si moltiplica e specialmente l’Ars breviata di Agostino e le opere di Aspro, Donato e Scauro diventano estremamente popolari, così come le “regole” di Eutiche o Foca, mentre il IX secolo vedrà l’affermazione di Prisciano.
Prima della normalizzazione carolingia si registra lo sviluppo del tutto anomalo di una specie di fantagrammatica nell’opera di un autore del VII secolo, irlandese o francese, che dichiara di chiamarsi Virgilio Marone, con riferimento non al poeta ma a un Virgilio, alunno di Donato, a un Virgilio d’Asia inventore di dodici lingue latine e a un Marone incontrato dal sedicente Enea, suo maestro, negli scritti di un altrimenti ignoto grammatico Vulcano.
La stravaganza, ricercata o spontanea, di questo personaggio naturalmente non si limita al nome, ma invade le sue elaborazioni: le Epitomi (15, di cui se ne sono salvate 12) si interessano non solo di argomenti linguistici tradizionali come il pronome o il verbo, ma anche di fenomeni come la scinderatio fonorum (disarticolazione dei fonemi) e di etimologie più o meno fantastiche, sulla scorta di Isidoro di Siviglia; le otto Epistole si presentano come più tecniche (Polara) ma sono ricche di aneddoti curiosi come il racconto della discussione di due grammatici per quattordici giorni sul vocativo di ego, o il dibattito di massa sull’incoativo, tutti fondati su testimonianze autorevoli ma quasi sempre false. Il paradosso della storia ha voluto che queste elucubrazioni fossero recepite dalle scuole irlandesi precarolinge come vero e proprio manuale di lingua latina.
Ma la caratteristica della cultura carolingia è la produzione di sintesi dei materiali tradizionali ristrutturati e aggiornati secondo le esigenze della nuova epoca. Alla corte di Carlo gli italiani Pietro da Pisa e Paolo Diacono compongono propri manuali di grammatica: quest’ultimo si basa su una versione interpolata del Donato minor e lo completa con declinationes nominum (ce ne resta una copia nel Vat. Palat. Lat. 1746, proveniente da Lorsch), mentre Pietro si fonda su materiali insulari per completarli, cominciando a reintrodurre la forma didattica a domande e risposte già presente in Donato, che diviene caratteristica di questo periodo.
Accanto alla colonia italiana opera a corte un gruppo di maestri irlandesi, fra i quali si occupa di grammatica Clemente Scoto e l’anonimo autore dell’Ars Bernensis. Nel IX secolo si diffonde un’approccio relativamente nuovo, l’analisi grammaticale, sempre in forma di domanda e risposta, secondo lo schema: “Che parte del discorso è regina? Un nome. Cos’è un nome? Una parte del discorso che ecc. Che proprietà ha un nome? Sei: qualità, derivazione, genere, numero, composto/semplice, caso. Qual è la sua derivazione? Da rexecc.”. La grammatica analitica, rappresentata da un alto numero di opere anonime ma anche da compilazioni di maestri come Usuardo di Saint-Germain, diviene la forma principale di manuale di lingua fino al Rinascimento e oltre.
L’altra novità della grammatica carolingia è considerata unanimemente la riscoperta della sintassi, alla quale non era stato dedicato alcun manuale in epoca antica, finché Prisciano non aveva composto i 20 libri delle sue Institutiones grammaticae. La valorizzazione di quest’opera è ricondotta al monastero di Tours, dove vengono redatte tre delle 14 copie del manuale, prodotte fra VIII e IX secolo. Alcuino, abate di Tours, ricava infatti da Prisciano le nozioni di base utilizzate nella sua Grammatica, nota anche come Dialogus Franconis et Saxonis de octo partibus orationis (Dialogo fra un Franco e un Sassone sulle otto parti del discorso), che mette a confronto alcuni insegnamenti di Donato con l’interpretazione di Prisciano. Ma soprattutto estrae dalle Institutiones una raccolta di brani che avrà larga circolazione nei secoli successivi ed è alla base della grammatica redatta da Aelfrico di Eynsham nell’XI secolo. Il suo modello viene seguito da due grandi intellettuali della generazione successiva ad Alcuino, Rabano Mauro e il suo allievo Walafrido Strabone.
La rivalutazione della grammatica e la centralità che acquisisce nel programma educativo carolingio sono testimoniate sia dai documenti “ufficiali” citati sopra, che riconoscono nella grammatica il fondamento della possibilità di trascrivere e comprendere i testi (finalizzato alla retta interpretazione e assimilazione della Bibbia) sia dalle tesi di Alcuino, ispiratore della riforma, che nella Disputatio de vera philosophia definisce la grammatica “scienza del parlar bene, origine e fondamento delle arti liberali” e la pone, pur essendo una disciplina tecnica basata su esempi pagani, a fondamento del sistema culturale cristiano.
Si pone con ciò il problema, presente nell’epoca patristica e in tutto il Medioevo, della potenziale conflittualità fra il patrimonio letterario pagano, sul quale si apprendeva la lingua, e la fede cristiana, che di quei testi profani non poteva condividere i contenuti “immorali”. Queste remore si trovano espresse con acuta lucidità in trattati come il Commento a Donato di Smaragdo di Saint-Mihiel-sur-Meuse, che riferisce l’argomento principale delle obiezioni “fondamentaliste”: “nella disciplina grammaticale non si legge né si nomina Dio, ma risuonano soltanto i nomi e gli esempi dei pagani”. Una via d’uscita, come sempre, è fornita dall’esempio agostiniano degli oggetti d’oro che gli Ebrei portarono via fuggendo dall’Egitto e misero al servizio del proprio culto; ma Smaragdo, sulla scia di Giuliano di Toledo, pur ricordando questa autorevole giustificazione sperimenta sistematicamente anche una strada nuova, sostituendo agli esempi classici citazioni bibliche o da poeti cristiani. Alcuino fornisce una formulazione più raffinata e insieme più strutturale del metodo, paragonando le sette arti liberali “pagane”, fra cui la grammatica, a colonne del Tempio di Salomone come simbolo della formazione cristiana, che culmina nella cultura esegetica e teologica.
La propagazione di questa concezione conciliativa del conflitto culturale è ampia, pur se non esclusiva, e contribuisce comunque a diffondere la sensibilità verso una fondazione teorica delle tecniche disciplinari. Lo conferma anche il maestro irlandese Sedulio Scoto, all’epoca di Carlo il Calvo e Lotario, il quale elabora un’interpretazione antropologica delle otto parti del discorso, che rappresenterebbero le otto funzioni fondamentali dell’essere umano. La cristianizzazione degli exempla grammaticali e delle relative teorie costituisce un ponte che lega l’esercizio grammaticale all’esegesi biblica, specialmente nelle opere di Giovanni Scoto Eriugena, e alla teologia, come dimostra Gotescalco Sassone, autore di un trattatello sulla preposizione in, che impiega la teoria linguistica nella controversia sulla predestinazione.
Dopo il Dialogo fra un Franco e un Sassone che rappresenta il suo manuale di grammatica, Alcuino pensa di completare i testi scolastici sul trivio (cioè le tre discipline di base della scuola antica) componendo un De rhetorica, o meglio una Disputatio de rhetorica et virtutibus, e un De dialectica, dove il Sassone e il Franco sono identificati in Alcuino e Carlo Magno.
La retorica, arte di ben comporre un discorso, si associa frequentemente alla trattazione delle prerogative morali del regnante, in linea con la definizione dell’arte che si imparava nell’enciclopedia di Isidoro di Siviglia e che viene ripetuta nel De institutione clericorum dal grande enciclopedista carolingio Rabano Mauro, arcivescovo di Mainz e allievo di Alcuino: “la retorica è la scienza del parlar bene nelle questioni politiche, l’eloquenza la capacità di persuadere a obiettivi giusti e buoni” (Etym. 11, 1,1). In tale contesto si comprendono meglio i trattati di consigli al principe – specula principum, una novità carolingia che porterà a Machiavelli – come la Via Regia scritta da Smaragdo per Ludovico il Pio, il De institutione regia redatto da Giona d’Orléans per Pipino, figlio di Ludovico; il De regis persona et regio ministerio dell’arcivescovo di Reims, Incmaro, per Carlo il Calvo, il De rectoribus christianis composto da Sedulio Scoto per Lotario. Ma un livello più tecnico dell’arte retorica si individua nell’apprendimento dell’arte epistolare, i cui primi trattati si avranno solo alla fine dell’XI secolo, ma che si trova testimoniata nelle annotazioni didattiche a margine del codice delle lettere di Lupo Servato di Ferrières, dove le singole parti dell’epistola sono segnate da osservazioni di un maestro.
Questa prima reviviscenza degli studi retorici si accompagna a un timido ripristino dello studio della dialettica, che insegna la logica del pensiero e le tipologie di frasi dell’argomentazione filosofica, ferme alle cognizioni aristoteliche che Boezio aveva trasmesso al Medioevo, al trattato De dialectica attribuito a sant’Agostino e soprattutto al IV libro delle Nozze di Mercurio e Filologia (De nuptiis Philologiae et Mercurii) di Marziano Capella, il libro di testo più diffuso del Medioevo.
In età carolingia il recupero scolastico di queste fonti si associa alle sollecitazioni del dibattito intellettuale sulle teologie eretiche (adozionismo, lo Scisma dei Tre Capitoli, la questione del Filioque , la controversia sulle immagini, il predestinazionismo): è la dialettica che fornisce la strumentazione tecnica a queste discussioni, spesso alimentate da specifiche questioni poste dagli imperatori ai maestri che collaboravano con la corte: è il caso, ad esempio, della riflessione di Fridugiso di Tours su Il nulla e le tenebre, che suscita a sua volta le risposte argomentate di Agobardo di Lione, Teodulfo di Orléans, Benedetto di Aniane, Prudenzio di Troyes. La migliore dimostrazione del metodo carolingio la offre ancora Alcuino, che nei Dicta Albini affronta con le tecniche della dialettica problemi teologici complessi come la trinità, l’esistenza di Dio, la creazione dell’uomo, e vi arriva dopo una sequenza serrata di domande e risposte. Il suo esempio sarà seguito da una serie di allievi e imitatori, tanto che nel De clericorum institutione (La formazione dei chierici) Rabano Mauro potrà definire la dialettica come “la disciplina delle discipline, che insegna a insegnare e imparare”: la Scuola carolingia corona così la programmazione del suo slancio culturale fondandolo sostanzialmente sul rilancio della comunicazione verbale a livello sia di standardizzazione linguistica e scrittoria, sia di finalizzazione politica, sia di argomentazione filosofica.