Grafica editoriale
Rinnovamenti
L’ultimo decennio ha rappresentato per la grafica editoriale, al di là delle diverse concezioni espressive, un periodo di maturazione per quanto riguarda le riflessioni sul tema del mezzo di comunicazione. L’introduzione delle tecnologie informatiche negli anni Ottanta e Novanta aveva sconvolto il mondo della grafica: da un lato diffondendone enormemente la pratica e generando una sorta di euforia espressiva strettamente legata alle nuove possibilità delle tecniche di creazione e produzione digitali, dall’altro aveva portato a una messa in dubbio dei tradizionali mezzi di comunicazione editoriali cartacei come la rivista e il libro. Verso la fine del secolo scorso si prevedevano mutamenti radicali come la ‘morte del libro’ e la sua sostituzione con la versione digitale, l’e-book, l’imporsi di Internet su tutti i mezzi di informazione cartacei, sia riviste sia giornali, per la loro fisica impossibilità di competere con la velocità di aggiornamento della rete. Queste prime riflessioni sul mezzo di comunicazione che comportavano ripercussioni immediate sull’oggetto portante della grafica editoriale, si sono evolute nel corso degli ultimi anni giungendo a una visione più complessa e inclusiva, coerente con molti aspetti della cultura contemporanea. È ormai chiaro che, nonostante lo sviluppo di software che rendono sempre più agevole la lettura di libri da video simulando addirittura l’atto di sfogliare, dotati di agevoli sistemi di spostamento del punto di vista sulla pagina, il libro in formato cartaceo continuerà a non essere completamente sostituibile, come suggerisce il titolo del saggio-conversazione di Umberto Eco e di Jean-Claude Carrière, N’espérez pas vous débarasser des livres (2009; trad. it. 2009).
Anche nell’ambito della produzione giornalistica si assiste a una situazione di generale convivenza tra i due mezzi. La conseguenza logica di questa dinamica concorrenziale tra la carta e il supporto informatico è una continua ricerca di rinnovamento in entrambi i settori. Il cambiamento si è verificato su più fronti: da un lato, sul piano delle strategie di mercato, vi è stata la polarizzazione dimensionale degli attori che producono l’editoria con la quasi scomparsa delle case editrici tradizionali nazionali di medie dimensioni e con la creazione di grandi gruppi editoriali, anche internazionali, per fare fronte alla crisi delle vendite di libri e riviste, e la proliferazione di piccoli e piccolissimi editori indipendenti, che puntano a prodotti di alta qualità. Dall’altro lato il rinnovamento del mondo editoriale si è configurato attraverso la trasformazione dell’oggetto: libri, riviste e quotidiani, sia cartacei sia informatici, sono mezzi in continua evoluzione dove la ricerca grafica dialoga strettamente con quella editoriale nell’esigenza di differenziazione (anche nel fare emergere le peculiarità del mezzo editoriale) in un mercato saturo, ma con una domanda sempre più esigente e consapevole. Il progetto grafico editoriale sembra aver recuperato il contatto con il lettore in un tentativo di ridimensionare la supremazia del mezzo sul contenuto. Una consapevolezza affiorata dall’inizio del 21° sec.: Neville Brody, protagonista della grafica editoriale internazionale dagli anni Ottanta (la sua rivista «The face», chiusa nel 2004, rappresenta un punto di riferimento per tutte le testate del settore lifestyle) nel 2004 ha dichiarato: «La maggior parte del mio lavoro avviene davanti al computer, ma oggi vedo meno il computer come strumento generatore di idee». E ancora: «Per qualche tempo l’accelerazione della distribuzione dei messaggi è diventata fine a se stessa, il designer dovrebbe fare un lavoro che consenta più riflessione e partecipazione» (Showroom. Neville Brody/Research studios, «Novum», 2004, 2, p. 59).
Alcuni grafici coetanei di Brody (come gli statunitensi David Carson, Emigre, April Greiman o lo svizzero Wolfang Weingart, seppure di una generazione precedente) negli ultimi quindici anni del secolo scorso sono partiti dalla rivoluzione digitale per trasformare la grafica, soprattutto attraverso le loro riviste indipendenti, scardinando ogni schema di derivazione funzionalista, sia in ambito tipografico sia come rapporto tra testo e immagine. Grazie poi alle nuove tecnologie digitali, questi designer hanno portato alle estreme conseguenze alcune ricerche delle avanguardie di inizio Novecento (Futurismo, Costruttivismo, Dadaismo) sfidando ogni regola di leggibilità. Il lavoro di questi progettisti rimane un fondamentale riferimento per gli sviluppi più recenti della grafica, soprattutto nell’ambito della progettazione delle riviste.
Stemperati i radicalismi della prima rivoluzione digitale, oggi questo tipo di ricerca convive con tendenze visivamente opposte, come il minimalismo (e il suo manierismo), che ha avuto la massima affermazione, tra la fine del 20° sec. e l’inizio del 21°, con la britannica «Wallpaper*», fondata nel 1996 e diretta fino al 2002 dal giornalista e art director di origine canadese Tyler Brûlé, e con una serie di tendenze e linee di ricerca che si sono sviluppate nei singoli Paesi.
Nonostante il dibattito sulla grafica editoriale, soprattutto grazie alla rete (ma anche attraverso alcune testate specializzate), abbia un respiro internazionale, nell’ultimo decennio si è confermata la supremazia culturale dei Paesi anglosassoni (con la Gran Bretagna in testa) seguiti da Germania e Paesi Bassi. L’Italia e la Francia mantengono alto il livello di alcuni singoli prodotti editoriali e alcune figure di professionisti, ma faticano a emergere nel dibattito internazionale. La Svizzera vanta ancora una notevole scuola (grazie al supporto di istituzioni pubbliche) di giovani, che portano avanti una ricerca volta al perfezionamento della tradizione classica, di derivazione razionalista. La Spagna conta invece numerosi esempi di grafica sperimentale legati all’editoria indipendente e al fenomeno delle fanzines (pubblicazioni a carattere amatoriale distribuite gratuitamente). Esperienze simili arrivano anche dall’Australia: tra queste «Refill», fondata da Luca Ionescu nel 2003, modello per molte free presses che catalizzano una comunità di artisti e grafici, e «Is not a magazine», esperimento grafico ed editoriale in formato poster che viene affisso sui muri di Melbourne e Sidney. Dall’Europa settentrionale arrivano sporadici ma eclatanti esperimenti come la rivista «Carl’s cars»: fondata nel 2001 a Oslo da Karl Eirik Haug e Stéphanie Dumont, narra di personaggi, arte, musica, uniti dalla passione per le automobili vintage, tutto raccontato dall’immaginario Carl. Mentre dall’Est europeo si affacciano le prime pubblicazioni indipendenti, come, per es., la romena «Omagiu» (omaggio), fondata a Bucarest nel 2004, che seppure un po’ convenzionale nella grafica propone nei contenuti un’interessante versione locale della rivista lifestyle. Unico, tra i Paesi non occidentali, ad avere un ruolo di reale influenza sul dibattito è il Giappone (in particolare con le riviste «Bull-dog» e «Street/fruit/tune»).
In questa panoramica, che vede ancora protagonista la cultura occidentale, si registra un rinnovato interesse per il settore nell’ambito della cultura islamica in cui l’uso dell’alfabeto arabo ha sempre suscitato attenzione per il carattere come elemento grafico.
Nell’analizzare lo stato dell’arte della grafica editoriale dell’ultimo decennio, è utile partire proprio dall’analisi del progetto del singolo prodotto editoriale: la rivista, il libro, il giornale e l’editoria on-line. Ciascuno per le specificità e per la ricerca di differenziazione sul mezzo (e all’interno dello stesso mezzo) che caratterizza la cultura grafica contemporanea.
Le riviste
Sopravvissute prima alla minaccia della televisione, poi a quella di Internet, le riviste rappresentano ancora il banco di prova privilegiato per i progettisti grafici e spesso sono il trampolino di lancio per il successo professionale. Questo è accaduto in modo ancora più evidente nell’ultimo decennio, da quando l’autoproduzione delle riviste, attraverso le tecnologie digitali, si è diffusa in maniera esponenziale. Nel complesso panorama dell’editoria periodica, accanto alle testate più popolari – dalle grandi tirature, alle strette dipendenze del mercato pubblicitario (e oggi maggiormente colpite dalla crisi finanziaria mondiale), caratterizzate spesso da una piatta uniformità grafica e di contenuti –, un cospicuo numero di riviste dalla diffusione più limitata tiene vivo il dibattito sulla ricerca di significato di questo mezzo nella cultura contemporanea: nell’epoca dei blog e dei social networks, anche la rivista cartacea sembra delinearsi come una forma di comunicazione molto individuale, espressione di una visione personale che nei casi più fortunati raccoglie attorno a sé piccole o medie comunità di interessati. Se si analizza il mercato delle riviste professionali, un fenomeno significativo dell’ultimo decennio è il grande successo delle testate genericamente definite di lifestyle, termine che indica una pluralità di contenuti che partono da un tema (che può essere la moda, il design, l’arte, ma anche la politica e l’economia) fino a comprendere una molteplicità di argomenti, legati da un punto di vista (a volte un semplice target di consumatori) che spesso porta con sé anche un lavoro di sperimentazione visuale, in cui il progetto grafico entra nel sistema dei contenuti. Si è già accennato al caso di «Wallpaper*» che, partendo dal tema del design, sull’onda del successo dell’estetica minimal inglese di inizio secolo, ha saputo imporsi a livello internazionale anche grazie alla grafica che ben riflette lo spirito dei contenuti, divenendo un vero e proprio brand e raggiungendo tirature di 40.000 copie. Dopo qualche anno di crisi, nel 2007 il nuovo direttore creativo, Tony Chambers, ha rivisto il progetto della rivista e il suo marchio: un braccio dell’asterisco (forse l’elemento più imitato nella grafica dei primi anni 2000) è stato sostituito con una freccia-cursore. Nel frattempo Brûlé, il fondatore di «Wallpaper*», nel febbraio 2007 ha lanciato un nuovo titolo, «Monocle», un mensile che mescola affari esteri, economia, viaggi, moda, design e architettura uniti da una visione cosmopolita. È stato progettato graficamente da Ken Leung (con la direzione creativa di Richard Spencer Powell) seguendo l’idea di creare un brand (allegato al numero, a volte tenuto insieme da un anello di gomma che sostituisce il cellofan, vi è un catalogo di oggetti selezionati e venduti con il marchio della rivista) a partire dal logo, una ‘M’ contenuta in un cerchio ispirata alle decorazioni dei copritombini londinesi. Il formato è compatto, denso di contenuti, l’utilizzo di simboli e lettere satura i pochi vuoti del layout ma aiuta a orientarsi tra le sezioni tematiche. Nonostante le critiche che denunciano una certa mancanza di accento e una certa monotonia nel presentare temi tanto diversi, il progetto è molto apprezzato per l’uso innovativo della fotografia (ogni articolo è infatti illustrato con immagini fatte ad hoc) e per l’impiego di carta di altissima qualità (dalla opaca alla patinata per i servizi fotografici), in uno studio sulla matericità dell’oggetto che ne sottolinea le qualità sensoriali; un esempio di ricerca che mira a valorizzare le qualità materiali dell’editoria cartacea in contrapposizione alla smaterializzazione propria del digitale.
Sempre in Gran Bretagna, tra le testate più influenti di questo settore, ma con impostazioni visuali opposte e più strettamente legata al mondo della moda, va menzionata «i-D»: fondata negli anni Ottanta da Terry Jones, ex art director di «Vogue», proprio per contrapporsi allo stile patinato delle riviste di moda di quegli anni, rappresenta la capostipite delle riviste indipendenti che per contenuti e progetto grafico si rifanno alla cultura di strada. A questo modello si riferiscono altre testate più recenti come «Dazed & confused»: fondata da Jefferson Hack e dal fotografo John Rankin Waddell nel 1992 come poster piegato in bianco e nero di cultura musicale, moda, arte giovanile, è divenuta poi rivista a colori, sviluppando una serie di progetti paralleli (anche una rete televisiva). Essa rimane un riferimento anche per la grafica totalmente antiglamour. Ancora più sperimentale e per un pubblico ‘di nicchia’, sempre nel panorama britannico, «Marmalade magazine», fondata nel 2002 da Kirsty Robinson con l’art direction di Sacha Spencer-Trace, si presenta, sia nei contenuti sia nella forma grafica, come un collage: brandelli di testi stampati, foto e illustrazioni appoggiati su una tavola e poi fotografati danno un aspetto tridimensionale all’impaginato, in un’opposizione provocatoria rispetto all’appiattimento della grafica digitale.
La tendenza verso un progetto grafico che sembra impiegare mezzi poveri e rudimentali sta evolvendo fino alla ricerca più recente (svolta parallelamente in Gran Bretagna e in Germania dall’art director Mike Meiré), da poco etichettata dalla critica come new ugliness, ben esemplificata dalla rivista «Manzine», comparsa a Londra a fine 2008. Si tratta di una pubblicazione monocroma che contiene un insieme casuale di argomenti legati al mondo maschile, sempre con uno sguardo ironico (un taglio simile a quello della testata «Carlos», voluta dalla Virgin atlantics dopo la crisi del trasporto aereo nel 2002 e progettata dallo studio Fiftyone). Creata da un gruppo di giornalisti e designer grafici provenienti da riviste dalle grandi tirature («GQ», «Maxim» ecc.), «Manzine» si rifà in tutto (anche nel nome) alla grafica dilettantistica delle fanzines con la stampa in bianco e nero su carta formato A4 (21,0 × 29,7 cm2), senza una griglia regolare, con i caratteri di tipi e dimensioni differenti collocati senza coerenza nei titoli e sottotitoli, un insieme non disegnato ma con riferimenti a noti esempi di design (alcune pagine citano la grafica di altri giornali).
Su un fronte visivo opposto a queste esperienze, la ricerca grafica britannica viene sviluppata dalle riviste legate alla cultura progettuale. La testata specializzata sulla grafica «Eye», fondata nel 1990, rimane una delle più autorevoli a livello internazionale. Si è rinnovata attraverso diversi progetti grafici (da quello del fondatore Rick Poynor a quello dello studio UNA designers), mantenendosi nel filone della grafica più classica: dal 2005 è guidata dall’art director Simon Esterson, figura eminente della grafica editoriale internazionale (art director di «Domus» dal 2000 al 2003), uno dei promotori nel 2008 della conferenza Magazines are dead! Long live the magazine!, autore del redesign del quotidiano «The guardian» nel 1999 e creatore di «So London» (di cui sono usciti solo due numeri nel 2007), testata dedicata al lusso urbano londinese. Esterson ha maturato la sua esperienza negli anni Novanta all’interno della rivista di architettura «Blueprint», esprimendo la sua visione chiara e rigorosa del mezzo editoriale. Importante riferimento per l’editoria di architettura e design e per la ricerca grafica condotta da art director di fama, nel 2006 «Blueprint» è stata rilanciata con la grafica di Patrick Myles e l’inserimento di un nuovo font – Blueprint new era – progettato da David Quay. Tra le riviste di architettura, uno dei titoli più recenti è «Icon»: fondata nel 2003 da Alexander Boxill, sta collezionando tutti i più prestigiosi premi di editoria (due volte Magazine of the year) per il suo aspetto grafico semplice e chiaro e per un uso molto curato della tipografia.
Altre riviste di grafica in Gran Bretagna sono: «Creative review», guidata a lungo da Nathan Gale e ridisegnata nel 2008 da Paul Pensom con un interessante lavoro sul carattere tipografico. «Grafik» che, nel nuovo progetto di Sea design del 2006, spicca per la copertina grafica che nei primi numeri riporta solo il titolo e il tema affrontato, nei successivi inserisce il ritratto fotografico di un designer. La quasi omonima «Graphic», semestrale, dal 2006 è disegnata dal giovane gruppo londinese Studio8 (Matt Willey e Zoë Bather), che sta lavorando sulla grafica editoriale con particolare attenzione all’aspetto tipografico e alla qualità della stampa. Lo Studio8 segue, tra l’altro, il design e l’art direction di «Plastique», femminile di moda inglese, «Map», quadrimestrale d’arte pubblicato in Scozia, e «RA», il periodico della Royal academy of arts. Per completare la panoramica di matrice anglosassone va sottolineato che negli Stati Uniti, dopo la chiusura nel 2005 di «Emigre» – fondata negli anni Ottanta dall’omonimo gruppo guidato da Rudy Vanderlans e Zuzana Licko e protagonista della più radicale ricerca sull’innovazione della tipografia digitale –, tra le riviste di grafica, «Print» (fondata nel 1940) ha mantenuto nel corso degli anni una grande capacità di rinnovamento ed è stata completamente ridisegnata nel 2005 dall’art director Kristina DiMatteo.
Gli Stati Uniti rimangono la patria di alcuni dei più interessanti contenitori di moda. Oltre alle testate storiche come «Harper’s bazaar», che prosegue la pubblicazione ad alto livello di grafica e contenuti dagli anni Trenta, tra le patinate di rilievo vi è «V magazine», che mescola moda e lifestyle ed è stata ridisegnata nel 1999 da Peter Prathan Poopat. Sul fronte delle riviste di musica, la storica «Rolling stone» è un caso quasi unico per longevità (è stata fondata nel 1967) e per continuità di gestione (a tutt’oggi in mano al fondatore Jann Wenner) oltre che per il fatto di costituire ancora un importante riferimento per la cultura pop americana (con tutte le sue contaminazioni all’interno delle versioni di ciascun Paese) e per la grafica, oggetto di continua ricerca da parte di un team di designer di fama internazionale, prima Fred Woodward e, nell’ultimo ventennio, Amid Capeci, Devin Pedzwater e Christine Bower. «Ray gun», fondata nel 1992 da David Carson come manifesto della nuova grafica alternativa legata alla cultura musicale d’avanguardia, non è sopravvissuta al cambio di secolo; uno dei suoi fondatori, Marvin Scott Jarrett ha tuttavia continuato a fondare riviste, come la recente «Nylon» che attira molti giovani grafici americani. Nel 2004 Shepard Fairey ha fondato con Roger Gastman la rivista indipendente «Swindle», centrata sull’arte e la cultura di strada realizzata in collaborazione con Number-One, lo studio di Fairey, graffitista di spicco e protagonista della campagna elettorale americana con i suoi ritratti di Barack Obama.
I Paesi Bassi nell’ultimo decennio hanno forse la leadership nel campo delle pubblicazioni di architettura e design. «Frame», fondata nel 1995 come rivista di interior design, diretta da Robert Thiemann e disegnata dallo studio Koehorst in ’t Veld, ha guadagnato una buona diffusione mondiale riuscendo a fondere uno stile giornalistico di stampo anglosassone, in grado di stimolare il suo pubblico attraverso un’accurata selezione degli argomenti, con una grafica molto riconoscibile ma oggetto di sperimentazioni costanti sulla copertina, sui materiali di stampa e sull’impaginato che, di volta in volta, si ispirano ai contenuti. Anche «Mark», rivista lanciata nel 2005 da Thiemann e disegnata da Lesley Moore (vincitrice dell’European design award nel 2008), punta proprio sul deciso impatto grafico per comunicare il progetto di architettura con l’uso intenso del colore e una forte caratterizzazione tipografica, sia nella copertina sia nelle pagine di apertura; il carattere diventa oggetto di trattamento grafico sul tema dell’articolo.
«Volume», rivista di architettura fondata nel 2005 da Archis foundation, dallo studio OMA (Office for Metropolitan Architecture) di Rem Koolhaas e dalla americana C-LAB (Columbia-Laboratory for Architectural Broadcasting), rappresenta un’altra importan-te piattaforma di idee e di esercizi visuali. Il progetto grafico, opera di Irma Boom, tra le figure più importanti della grafica editoriale olandese, nota soprattutto per la progettazione di libri d’arte, combina una sottile identità tipografica con molti elementi visivi del quotidiano. Considerando le testate di grafica nei Paesi Bassi è da citare soprattutto «Dot dot dot»: fondata nel 2000 da Peter Bilak e Stuart Bailey (dal 2007 è sotto la guida di Bailey), è una rivista di cultura visiva che, nata sullo stile delle fanzines, dal numero 7 è disponibile in formato di libro tascabile e distribuita anche da Princeton architectural press. Volutamente e consapevolmente imprecisa nell’impostazione del linguaggio, genera un sapiente gioco di variazione dei temi che rende difficile focalizzare gli argomenti: questi passano dalla musica alla tipografia, dall’architettura alla letteratura. Anche «Items», ridisegnata nel 2003 dallo studio Dumbar, emerge dal panorama delle riviste di design e arti visive per l’impostazione tipografica costantemente in contrapposizione con la ricchezza delle immagini. Un altro protagonista interessante della grafica editoriale olandese dell’ultimo decennio è Jop van Bennekom. Profondamente influenzato dalla lettura delle riviste inglesi legate alla cultura musicale, artistica e grafica degli anni Ottanta («The face» di Brody e il lavoro di Peter Saville per le band musicali), van Bennekom ha esordito come grafico-editore nel 1997 con «Re-magazine»: inizialmente one-man magazine che mirava a una personale visione del medium, diventata poi opera collettiva nella quale ogni numero è dedicato a un personaggio al di fuori dello star system, del quale cattura le caratteristiche estreme sovvertendo i normali temi delle riviste. L’uso della fotografia è di derivazione informale ma con una certa volontà di rendere il quotidiano un po’ artificiale; la grafica e i formati variano secondo il tema del numero. Nel 2001 l’esperimento è proseguito con «Butt magazine», rivista per un pubblico gay; nel 2008, con il giornalista Gert Jonkers, ha iniziato la pubblicazione di «Fantastic Man», rivista di moda, considerata la più influente del momento, dedicata al mondo maschile: la sua grafica elegantemente modernista fa da cornice alla fotografia di altissima qualità e a una scelta di contenuti molto personali.
Anche la cultura editoriale tedesca ha prodotto nell’ultimo decennio diversi progetti rilevanti. «Shift!», fondata a Berlino nel 1997, è la creazione autoprodotta di Anja Lutz che sfida il concetto di rivista creando un oggetto editoriale di volta in volta differente, composto da un assemblaggio di contributi di diversi artisti, fotografi e designer su un tema. È apparsa sotto forma di calendario, di video e di videogioco; un suo numero è stato realizzato con inserzioni a pagamento di artisti e fotografi. Punto di riferimento per le riviste di arte è anche «Berliner» (fondata nel 2002), disegnata da Zitromat (Thees Dohrn e Philipp von Rohden): si caratterizza per l’uso di font alternativi e per la continua ricerca compositiva dell’impaginato e della tipografia seguendo il tema del numero. Tra le riviste di grafica, «Novum» (fondata nel 1924) ha saputo costantemente rinnovarsi e ha continuato a essere un importante riferimento per il dibattito internazionale. Tra le pubblicazioni a temi trasversali è da citare «Spex»: nata negli anni Ottanta come rivista amatoriale di cultura musicale sulla scia di quelle inglesi, è stata disegnata dal 2001 al 2006 da Mario Lombardo, per poi essere rilanciata nel 2007 come bimestrale a più ampio spettro di contenuti. Di grande rilievo è poi il lavoro di M. Meiré, molto apprezzato e imitato a fine anni Novanta per il disegno di «Econy» (pubblicata per soli due anni) e poi di «Brand eins», entrambi periodici di economia, tendenze e lifestyle, basati sull’uso di una tipografia classica combinata con pagine bianche e fotografia di grande qualità. Divenuto fautore di una visione grafica provocatoria, che sembra negare l’idea di perfezione grafica dei suoi precedenti lavori, con il redesign della rivista «032c», originale contenitore che spazia dalla politica alla fotografia di guerra, includendo moda, arte, design e architettura, Meiré elabora un nuovo tipo di bellezza (per i critici, come già detto, etichettata come bruttezza) che ha a che fare con il carisma, l’intelligenza, la personalità e si oppone alla corrente principale. Le pagine della rivista sembrano assemblate casualmente, la tipografia e le immagini si scontrano tra loro, risultando abilmente non disegnate, tutto è leggibile e chiaro ma i caratteri sono vari, disomogenei, a volte deformati.
In Spagna molte riviste indipendenti uscite nell’ultimo decennio tengono alto il livello della grafica e dell’editoria. Ormai quasi un classico del genere è «Neo2»: nata negli anni Novanta a Madrid come fanzine locale del gruppo di grafici Ipsum placet (Rubén Manrique, Javier Abio e Ramón Fano), si è evoluta in un bimestrale internazionale (con una tiratura di 60.000 copie in edicola) che copre temi legati alla creatività, alle arti, alle tecnologie, con una predilezione per la cultura spagnola, sperimentando continuamente sull’impaginazione e sulla tipografia. Un altro esempio del genere è «H», nata, anche se con uno stile meno provocatorio, nel 1998 come pubblicazione indipendente locale a Barcellona per iniziativa di José Manuel Bejarano e Óscar Ferrer che ne hanno ampliato la visibilità fino all’attuale versione patinata prodotta ogni mese in 45.000 copie, la cui grafica è molto sobria e curata. Più fedele alla radice alternativa, ma anch’essa ormai nota a livello internazionale, risulta «Rojo», fondata nel 2001 a Barcellona come progetto di laurea dei grafici David Quiles Guilló e Marc Mascort i Boix; la rivista è un assemblaggio di singoli progetti artistici e grafici privo di testi, e la pubblicità è progettata da artisti selezionati ad hoc: un importante esperimento che riflette anche un nuovo modo di concepire la relazione tra media e pubblicità. Anche «Belio», nata nel 1999 per mano di Pablo e Javier Iglesias Algora, si occupa di grafica mescolando la pubblicazione libera di progetti di vari artisti con una parte più tradizionale di interviste e informazione. Si propone inoltre come un network di iniziative in campo musicale e artistico. Sempre a Barcellona viene prodotta dal 1994 «Grrr», rivista molto dinamica curata da un collettivo di grafici che si alternano nella progettazione di ciascun numero generando un’interessante variazione di impostazioni e temi. Di particolare rilievo nel panorama spagnolo è anche il lavoro di Fernando Gutiérrez (di formazione inglese) che, dopo aver fondato nel 1990 lo studio Grafica, si occupa ampiamente di progetti editoriali. Nel 1998 ha ridisegnato «Vanidad», rivista indipendente di moda e lifestyle di grande successo, puntando sulla forte presenza della fotografia e riducendo all’essenziale gli elementi grafici. Inoltre ha creato uno dei progetti editoriali più innovativi degli anni Novanta, «Matador» (fondata nel 1995): una rivista annuale (la pubblicazione è provocatoriamente a scadenza, in quanto verranno realizzati tanti volumi quante le lettere dell’alfabeto) che si lega ogni volta a un tema (nel 2008 ‘il Tempo’) su cui viene richiesta una riflessione ad artisti, scrittori e fotografi. Anche in questo caso l’impostazione grafica è ridotta all’essenziale. Dal 2006 l’art direction è passata a Pablo Rubio dello studio Erretres. Dal 2000 Gutiérrez è diventato art director dell’italiana «Colors» e sempre nello stesso anno è entrato a far parte della grande agenzia londinese Pentagram, per poi allontanarsene nel 2006 dopo aver deciso di fondare un suo studio. Nel panorama spagnolo merita un cenno anche «Apartamento», una rivista indipendente (che esce dal 2008) dedicata all’interior design con un taglio decisamente nuovo: una sorta di reazione verista alle foto ritoccate di case che vengono allestite appositamente per i servizi fotografici delle riviste di interior. Anche nella grafica di Albert Folch (Folch studio) gli elementi sembrano mischiare vecchio e nuovo in un’estetica del ‘non artefatto’.
In Francia rimane alta la qualità di alcune testate indipendenti di moda: «Purple fashion magazine» è nata nel 2004 da un’idea di Olivier Zahm e Christophe Brunn- quell e, anche se i contenuti hanno via via perduto un po’ di originalità, l’ingresso dello studio M/M Paris (art director di «Vogue Paris» fino al 2003) come consulente per la grafica ha arricchito ulteriormente il progetto con un uso raffinato della tipografia e del colore. Anche «Self service», nata nel 1995, rimane un punto di riferimento per la scelta dei contenuti e la grafica di Work in progress (Patrick Li, Suzanne Koller, Ezra Petronio) che si occupa anche della pubblicazione. Più legata alla cultura urbana risulta «Wad», una testata fondata nel 1999 e disegnata da Mari Pietarinene.
In Italia sono pubblicate alcune delle più antiche riviste di architettura e design: nel 2008 «Domus» e «Casabella» hanno festeggiato gli ottant’anni e «Abitare» va verso i cinquanta. Mentre «Casabella» mantiene una continuità di progetto grafico – dal 1995 l’art direction è affidata a Leonardo Sonnoli, Paolo Tassinari e Pierpaolo Vetta (dal 2002 studio CODEsign) – l’art direction di «Domus» è cambiata tre volte nell’ultimo decennio nella continua volontà di rinnovarsi nei contenuti e nell’immagine; dal 2000 al 2003 è stata guidata dal collaudato team inglese costituito da Deyan Sudjic e S. Esterson (direttore e art director) reduci dall’esperienza di «Blueprint». L’impianto grafico è stato così ridefinito secondo un’impronta visiva neofunzionalista, con l’uso di colori primari, mentre ampio spazio è stato dato alle immagini. Nel 2004 il nuovo direttore Stefano Boeri ha impostato il progetto con l’art direction di Mario Piazza (studio 46xy) scegliendo di tornare a un’immagine più eclettica in grado di aderire al nuovo progetto editoriale che introduce una sorta di filo narrativo nel numero, più vicino alle dinamiche di comunicazione dei nuovi media. La sperimentazione di Piazza è culminata nella creazione di un numero senza testo con cui ha concluso la sua esperienza per lasciare spazio alla nuova direzione di Flavio Albanese, il quale ha affidato il nuovo progetto grafico a Onlab, un gruppo di giovani con sede a Berlino guidati da Nicolas Bourquin e Sven Ehmann. L’elemento più evidente della nuova «Domus» è l’idea di trasformare la gabbia in qualcosa di più fluido, meno rigido, libero e aperto per costruire un sistema che permetta di passare dalla struttura a un flusso. Nel frattempo la coppia Boeri-Piazza è passata alla guida di «Abitare» sostituendo Italo Lupi, storico art director e da anni anche direttore. Il lavoro di Piazza, in questo caso, punta a un’idea di rivista di architettura e design per un pubblico più vasto. «Case da abitare», nata a metà degli anni Novanta come testata di interior a fianco di «Abitare», è stata di recente affidata alla Winkreative di T. Brûlé per un redesign (firmato da Kuchar Swara per la grafica) all’insegna di un’immagine neomodernista. La rivista «Interni» ha sviluppato nell’ultimo decennio un network che comprende numerosi prodotti editoriali legati agli appuntamenti fieristici (la guida Fuori salone è pubblicata anche in occasione di eventi internazionali) e al mondo dei professionisti del design, ed è disegnata sotto l’art direction di Christoph Radl, grafico di fama internazionale che collabora con noti marchi di moda e design.
Tra le riviste di grafica italiane, accanto alla storica «Linea grafica» (fondata nel 1946 e dal 1980 diretta da Giovanni Baule), sono da segnalare, soprattutto come elemento che testimonia un rinato interesse per la disciplina, il nuovo periodico dell’Aiap – Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva, «Progetto grafico», nato nel 2003, il trimestrale «Artlab», nato nel 2001 e di recente rivisto nel progetto grafico e nell’impostazione dal direttore Carlo Branzaglia e dall’art director Mario Benvenuto. Meno tecniche e teoriche, e più pratiche e grafiche, «Un sedicesimo» e «Fefè» entrambe nate nel 2007. La prima nasce da un’idea dell’editore Pietro Corraini di fare una rivista senza redazione, ogni volta affidata a un grafico diverso che usi il sedicesimo come tabula rasa da cui partire per un progetto completamente libero dai condizionamenti del mercato. Tra gli invitati, oltre a maestri della grafica italiana e internazionale, anche designer giovani come il russo Protej Temen e lo spagnolo Martí Guixé. «Fefè» è invece la risposta italiana a fenomeni come la spagnola «Rojo»: si rivolge a un pubblico internazionale interessato all’arte, alla musica, al cinema, al confine tra la cultura istituzionale e quella underground-metropolitana, attraverso un grande formato, l’utilizzo di carte patinate opache e lucidature in copertina e con l’idea di legare la rivista all’organizzazione di eventi (La notte bianca di Roma, il Festival del cinema ecc.) in grado di formare una community. La rivista non ha un progetto grafico, gli artisti e i grafici vengono invitati a esprimersi liberamente sul tema del numero.
Tra i tentativi più riusciti di sperimentare nuovi mezzi espressivi editoriali, vi è «Sugo» (fondata nel 2003): redatta e autoprodotta dallo studio Camuffo (Giorgio Camuffo e Sebastiano Girardi), attraversa tutto lo scibile delle espressioni artistiche visive e non, con uno sguardo internazionale. Dal 2003 esce anche mensilmente «Stirato», fanzine realizzata dai grafici romani Sebastiano Barcaroli e Siriana Flavia Valenti: si presenta come un poster ripiegato (il formato A3, 29,7 × 42,0 cm2, recentemente si è ingrandito in A1, 59,4 × 84,1 cm2), dove da un lato sono presenti notizie e interviste su grafica, arte, fotografia, fumetto, design, e dall’altro trova spazio il lavoro di un artista sul tema del numero. È possibile anche scaricare il numero in formato pdf dal sito (www.stirato.net). Nel 2008 è nato «Territorial pissing», anche esso un contenitore, affidato alla libera espressione di giovani artisti, creato e autoprodotto da Kitty Hawk Studio (Bruno Savona e Filippo Vernier), che si allontana nettamente dall’immagine amatoriale, e viene prodotto in 500 esemplari numerati. Anche in questo caso il progetto grafico si limita al titolo, il resto è affidato interamente all’espressione degli autori invitati. Sempre originata da una fanzine legata a uno studio grafico (Bellissimo di Luca Ballarini, Carlo Miano e Roberto Maria Clemente) è la rivista «Label», lanciata nel 1998 come esperimento attorno al quale si raccoglieva una comunità di giovani uniti, tra l’altro, dalla passione per la musica techno. Dopo il lancio come trimestrale internazionale nel 2001, «Label» è divenuta una vera e propria rivista di lifestyle. Fenomeno simile, anche se più vicino alla moda, è «PIG» (People In the Groove): nata a Milano nel 2002, da un’idea di Daniel e Simon Beckerman, come formato tascabile di cultura musicale e distribuito nella discoteche, è cresciuta come periodico indipendente di moda, musica e cultura urbana, con un suo network di sito (www.pigmag.com), blog ed emittente radiofonica. Ancora nell’ambito della cultura giovanile nei contenuti, ma con uno stile meno convenzionale, quasi di ispirazione punk, anche nella grafica, è «Rockit mag», disegnato dallo studio Domenica mattina (Stefano Bottura, Elena Giavaldi).
Anche in Italia si sono diffuse negli ultimi dieci anni alcune testate di free press formato tabloid come «Urban» e «Rodeo», legate alla cultura metropolitana con una forte componente di lifestyle e, sempre gratuite, ma più specialistiche, quali «Mousse», rivista di arte contemporanea fondata nel 2006 da Edoardo Bonaspetti e Alessio Ascari, dalla grafica molto asciutta e curata di Francesco Valtolina; e «Nero», fondata nel 2004 come contenitore di musica, arte e cultura contemporanea, con il progetto grafico di Nicola Pecoraro/Maison du crac, che si è evoluto, da una versione in bianco e nero, al colore mantenendo sempre uno stile vicino alle fanzines.
Tra le riviste di arte si distingue «Uovo» fondata nel 2003 e disegnata dallo studio Boletsfernando: l’impostazione generale è molto sobria, mentre ogni numero è caratterizzato in modo differente dai contenuti; è stata premiata con una segnalazione di merito agli European design awards 2008.
Spesso in Italia il successo delle riviste è legato alla presenza di art director di fama internazionale: il caso più interessante e longevo è sicuramente «Colors», la rivista fondata nel 1991 da Luciano Benetton e Oliviero Toscani che, dopo il fortunato esordio con l’art direction di Tibor Kalman, è passata a F. Gutiérrez nel 1993 e poi al giovane cubano Erik Ravelo.
Nel corso dell’ultimo decennio, va rilevato e sottolineato il successo di alcuni settimanali allegati ai quotidiani italiani: tra i più influenti sicuramente si deve citare «D – La Repubblica delle donne», dal 2003 affidato all’art direction di Joel Berg, anch’esso designer di fama internazionale con grandissima esperienza nel settore delle riviste di moda, ex collaboratore di Fabien Baron a New York.
I libri
Nella produzione libraria dell’ultimo decennio si possono individuare alcuni elementi di novità strutturali legati al libro come oggetto di produzione di massa: come nel caso delle riviste, si sta consolidando in questi anni la consapevolezza che il prodotto cartaceo non sia destinato a scomparire e, per fronteggiare la riduzione delle vendite, si cercano modi alternativi per comunicare e promuovere. Mai come in questo periodo si registra un grande interesse per il dibattito intorno all’oggetto libro, come dimostra il successo, anche popolare, delle numerose fiere e pubblicazioni sull’argomento. Cresce enormemente il numero di testi per la vendita in edicola: nuove collane (con la grafica ridisegnata ad hoc) vengono stampate dalle case editrici per essere vendute in abbinamento a settimanali e quotidiani. Si tratta di pubblicazioni di tutti i generi, dalla narrativa contemporanea ai classici della letteratura mondiale, dai dizionari enciclopedici alle opere divulgative di storia, scienza e arte. E anche in questo caso, per competere con tali nuove modalità di vendita, le case editrici (spesso accorpate in grandi gruppi editoriali) di più ampie vedute investono sulla grafica per dare un impulso alle vendite in libreria. I più pessimisti lamentano una perdita qualitativa di questo tipo di lavoro grafico, troppo legato al marketing, all’effetto scenografico della copertina, vista come superficiale packaging del volume che mira soltanto a colpire visivamente e spesso a veicolare il nome di un autore divenuto un brand da vendere. Accanto a questo fenomeno però, soprattutto negli ultimi anni, sono emersi esempi di interessanti lavori di progettazione grafica legati al mondo dell’editoria di massa: si ritiene che anche il libro, come gli altri oggetti di consumo, debba diventare un prodotto ‘perfetto’, progettato in ogni sua parte con la massima attenzione, in cui la grafica, la scelta dei materiali, la qualità di stampa rendano giustizia al contenuto, per rivolgersi adeguatamente a un pubblico evoluto e attento al design di qualità.
Come già accennato, nell’ultimo decennio si è arricchito il panorama delle piccole case editrici indipendenti che pubblicano per un mercato ‘di nicchia’, spaziando dalla narrativa all’arte. In questo campo si trova molta sperimentazione sul progetto grafico, sul formato, sull’uso dei materiali: uno degli ambiti di ricerca più avanzati per le nuove possibilità tecnologiche (taglio al laser, uso di materiali riciclati) e per le innovazioni legate alla stampa. Molta sperimentazione viene fatta all’interno delle autoproduzioni degli studi grafici oltre che, come è sempre avvenuto, sulle edizioni limitate dei volumi d’artista.
La Gran Bretagna è anche in questo settore uno tra i Paesi più vitali: nel 2002 la mostra The book corner (presentata in anteprima a Milano durante il Salone del mobile) promossa dal British council e curata da Emily King (con l’allestimento di Martino Gamper e la grafica di Ǻbäke), attraverso 250 volumi di provenienza britannica si proponeva come testimonianza della fiorente produzione libraria nell’epoca della videotecnologia, con particolare attenzione proprio alla progettazione del libro, alle tecniche e ai materiali. L’esposizione mirava a dimostrare che, se il revival della stampa artigianale di metà Ottocento promosso da William Morris era nato per contrastare la bassa qualità del libro di massa, oggi la produzione di massa non esclude il design di qualità. In Gran Bretagna, ciò è provato in modo evidente da Penguin books, lo storico editore che, dopo i fasti protrattisi dagli anni Trenta ai Sessanta (anche grazie all’art direction di Germano Facetti) e un periodo di crisi nel quale stava perdendo la sua forte identità, nel 2000 ha iniziato una politica di rilancio del marchio attraverso nuovi progetti editoriali con l’art direction di Jim Stoddart e il design di David Pearson. La collana più innovativa è forse Great ideas, che ha ospitato inizialmente venti titoli di scrittori radicali ritenuti rivoluzionari per il loro pensiero. Le copertine bianche sono invase dai caratteri in rilievo che riportano titolo, nome dell’autore e una citazione del testo con uno straordinario impatto visivo e tattile, e una tendenza all’usura veloce, anch’essa ritenuta interessante da un punto di vista emozionale. Le vendite hanno superato il milione di copie. È del 2006 l’esperimento più provocatorio: My penguin, sei classici ristampati con la copertina completamente bianca che invitano il lettore a disegnare la propria copertina e a inviarla a una galleria on-line. Numerose altre collane sono state ridisegnate da Pearson: nel 2007 gli economici Popular classics che con la copertina a tinta unita verde e i caratteri bianchi si staccano dalle altre numerose edizioni correnti; la serie Great journeys, riedizione di romanzi di avventura e ambientazione esotica, con le copertine monocolore illustrate a tema da Victoria Sawdown. Più preziose le sperimentazioni legate alla collana Great loves imperniate su tecniche di stampa alternativa per ottenere immagini di elementi naturali con vari livelli di textures sovrapposte che generano una forte impressione tattile. E ancora, la serie Penguin designer classics, edizioni limitate di titoli classici, ciascuna ridisegnata da un grande nome del design internazionale. Pearson ha disegnato (2007-08) anche la collana di narrativa delle Éditions Zulma: in questo caso la scelta è stata quella di usare dei motivi astratti per lasciare all’immaginazione del lettore i possibili riferimenti ai titoli; la stampa è su una carta che assorbe e attenua il colore, con un triangolo bianco che contiene il titolo leggermente in rilievo.
Tra i designer inglesi più attivi nell’editoria vi è Nick Bell, l’autore della collana Tate modern art series, dedicata alle opere fondamentali di artisti selezionati: le copertine sono caratterizzate dalle iniziali ingigantite degli artisti in bianco verniciato che si sovrappongono a un’immagine di dettaglio di un’opera ritenuta esemplificativa.
Matt Willey e Zoë Bather (con Matt Curtis, Studio8 design) hanno lavorato con i caratteri tipografici anche per il progetto delle guide NB pulse, realizzato nel 2006: in copertina a fondo bianco solo il nome del luogo, espresso con un gioco di lettering basato sulle dimensioni dei caratteri, e una banda di base colorata che identifica il volume; la stessa enfasi sull’uso del carattere si ritrova all’interno, nei titoli delle sezioni. Nello stesso anno Willey e Bather hanno disegnato il volume At this rate, prodotto da Rainforest action network per sensibilizzare sulla distruzione della foresta dell’Amazzonia: tutto in bianco e nero, la grafica è giocata sull’impatto visivo dei numeri e della trama sempre più esigua di foglie che comunicano i dati.
Ancora in Gran Bretagna va menzionato il lavoro di Jeremy Leslie, autore del volume magCulture. New magazine design (2003), curatore del più noto sito sulla cultura editoriale, promotore di Colophon, il simposio annuale dedicato alle riviste (e progettista del volume We love magazines, 2007, che ne raccoglie i risultati) e art director della casa editrice John Brown. Con il volume Pick me up (ed. D. Kindersley, 2006), fornisce un interessante esempio di grafica applicata a questa particolare pubblicazione per bambini e famiglie realizzando su carta una sequenza narrativa simile al procedimento di navigazione del web.
Con impatto visuale opposto è la ricerca di Sea, studio londinese attivo nell’editoria con una particolare attenzione all’uso della tipografia, che predilige una riduzione dell’elemento grafico ed è orientata verso la semplificazione di stampo modernista: il volume Surface seduction (2006), per il produttore di carta GF Smith, rappresenta uno straordinario esperimento sulla resa fotografica (le foto sono di Rankin) attraverso differenti tecniche di stampa e finiture. Jonathan Ellery, cofondatore dello studio grafico Browns e della casa editrice omonima, oltre alla progettazione (e alla pubblicazione) di libri per artisti e fotografi come Martin Parr e John Ross, compie esperimenti artistici sul tema del libro come oggetto d’arte concettuale: 87 (2006) è un libro sul valore visivo dei numeri attraverso l’utilizzo di 87 diversi caratteri.
In Germania l’interesse per la ricerca sul tema del libro è tenuto vivo, oltre che da una produzione di alto livello, anche da un lavoro di ricerca internazionale, confluito nel volume Fully booked (2008) curato e disegnato da Matthias Hübner (studio Onlab): un libro sui libri che sceglie la strada di un percorso visivo dove i volumi sono accostati (nelle due sezioni, copertine e libri interi, stampate in maniera speculare come la doppia copertina, con gli apparati rilegati al centro del volume) secondo affinità di trattamento tipografico, di illustrazione, di ricerca su formati, materiali, creando una vera e propria galleria di esempi.
Tra gli studi tedeschi particolarmente attivi nel campo editoriale si segnala L2M3 che ha realizzato, tra l’altro, il volume Best design German books 2007 (2008), sviluppato come un percorso lungo una ferrovia dove il paesaggio è composto dai libri (il viaggiatore cambia treno per passare da un genere all’altro), orchestrando un’esperienza sensoriale attraverso il progetto grafico. Lo studio Node, con sede a Berlino e a Oslo, in Høvikodden live 1968-2007 (2007), volume sulla storia del Henie Onstad Art Centre di Oslo, ha compiuto un esperimento usando la PenJet, una normale stampante a getto con una penna sulla testina che disegna il movimento della stampante. Il berlinese Manuel Reader, oltre a collaborare con numerosi artisti, istituzioni e gallerie (tra l’altro, ha progettato il catalogo e la comunicazione di ABC Art Berlin Contemporary, e ha ideato A for alibi, 2007, un libro facente parte dell’installazione della Uqbar foundation ad Amsterdam) lavora sul tema del libro al limite della performance: nel 2003, per una mostra sulle riviste al Marres Centre for Contemporary Culture di Maastricht, ha realizzato Doorstopper, un fermaporta che unisce i numeri delle maggiori riviste di arte private della copertina così da formare un libro; da qualche anno realizza il progetto Brand new second hand partendo dalla scansione di un’agenda dell’anno precedente, dove le vecchie annotazioni vengono coperte con rettangoli bianchi. Anche Barbara Hahn e Christine Zimmermann, dello studio Von B und C, lavorano sul libro come oggetto di sperimentazione artistica: nel volume Von B und C. Datenvisualisierung jenseits von Kuchen- und Balkendiagrammen (2008) hanno utilizzato un sistema di legatura giapponese dove le pagine ripiegate all’esterno contengono i testi e all’interno le immagini; le pagine perforate si possono inoltre comporre come un poster.
In Svizzera l’annuale premio patrocinato dall’Ufficio federale della cultura, con relativa pubblicazione, Die schönsten Schweizer Bücher/I più bei libri svizzeri, restituisce un’immagine (anche se non del tutto completa e filtrata da una visione un po’ conservatrice) della produzione nazionale ancora dominata da un legame forte con le regole dell’eredità classica della scuola tipografica modernista. Gli sviluppi di quest’ultima sono indubbiamente di alto livello e in alcuni casi, come per Prill & Vieceli, portano a esiti innovativi: nel volume Hot Love. Swiss punk & wave 1976-1980 (2006), lo spirito anarchico della cultura punk è espresso attraverso il progetto grafico con un collage di reperti, saggi e interviste. L’eredità della scuola svizzera è giunta a una perfetta e intellettualistica ridefinizione con il lavoro di Norm, studio di Zurigo fondato da Dimitri Bruni e Manuel Krebs, che porta avanti ricerche sperimentali sulla tipografia giocando con la tecnologia: Sign-generator è la macchina creata per generare nuovi alfabeti combinando segni elementari (la si può provare sul sito www.norm.to). Sullo stesso filone lavorano Aude Lehmann e Marie Lusa; mentre la ricerca tipografica è sviluppata e diffusa, anche a livello internazionale, da Optimo, il gruppo indipendente che crea e distribuisce caratteri tipografici attraverso il sito (oltre a collaborare con case editrici come Ringier). Una nuova generazione di grafici svizzeri molto interessati all’editoria proviene soprattutto dalla scuola di Losanna (ECAL, École Cantonale d’Art de Lausanne): lo studio Fageta (Adeline Mollard e Philippe Egger) approfondisce il tema della costruzione del libro giungendo a risultati come About (2006), volume frutto di un workshop dell’ECAL (tenuto da Kai Bernau) composto da singole esercitazioni di gruppo, ciascuna su una componente del libro (introduzione, layout, navigazione, illustrazione, copertina ecc.). Tra gli altri giovani provenienti dalle scuole di Zurigo, vanno menzionati Fabian e Jonas Voegeli (ossia lo studio VoegeliVoegeli) in particolare per il loro volume del 2007 Archäologie der Zukunft (curato da R. Egloff, G. Folkers e M. Michel), dove il design rappresenta la risposta al contenuto dal punto di vista tipografico e tecnico in quanto unisce la tradizione del libro allo sviluppo attuale delle tecnologie. L’edizione speciale elettronicamente avanzata ha una superficie termocromatica che reagisce alla temperatura (con il Sole o con il contatto della mano), ai movimenti e ai segnali acustici in una continua interazione simbolica con il contenuto, fatto di articoli, interviste, recensioni di film, immagini di scenari sul tema delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale.
Questo tipo di contaminazione tecnologica si ritrova anche in alcuni lavori del gruppo olandese Underware. Il volume Read naked (2002) è un’autoproduzione per presentare l’applicazione del nuovo carattere tipografico Sauna: per fare questo è stato realizzato un libro, da leggere, all’interno di una sauna, in grado di resistere al vapore fino a 120°, addirittura con parti leggibili solo al di sopra degli 80°. Sempre dai Paesi Bassi provengono interessanti sperimentazioni concettuali sul tema del libro. Alfons Hooikaas, attraverso alcune autoproduzioni, lavora sul rapporto tra la cultura codificata (e il libro come veicolo di essa) e la sua rielaborazione individuale: Read the design (2004) è una raccolta di articoli, scritti da cinque diversi autori dopo aver letto il manoscritto originale sul tema design e linguaggio, dove i termini fondamentali usati nel testo sono estrapolati e collocati al loro posto nel testo originario su una colonna laterale. Hooikaas ha collaborato anche con Peter Greenaway per la realizzazione del volume Fort Asperen ark (2007) in occasione della mostra sull’impatto dell’innalzamento degli oceani nei Paesi Bassi, concepito come diario di Noè illustrato con disegni a mano libera e come parte della mostra.
Luna Maurer invece compie un’originale ricerca applicando al mezzo cartaceo un metodo di lavoro che appartiene all’ambito degli strumenti digitali. Il volume Grijsblok (2007), sviluppato con il sistema Grey movie, visualizza il concetto di ‘pensare in modo rizomatico’, secondo la filosofia di Gilles Deleuze. Maurer fa riferimento a questo pensiero attraverso il concetto di grigio che si diffonde regolando i punti bianchi e neri; spostando leggermente i punti emerge un disegno ma il valore del grigio rimane lo stesso. Tra gli studi olandesi attivi nella grafica editoriale è da citare anche Lust, che collabora con importanti musei e istituzioni culturali come la Mondriaan foundation, per la quale ha sviluppato l’annuario nel 2004 attraverso un sistema tipografico che separa differenti livelli di informazione: ogni copia è stampata su fogli colorati, in ciascuna di esse l’ordine di stampa è diverso. Molto interessante risulta il lavoro di Erik Kessel (studio KesselKramer) che realizza libri fotografici utilizzando foto-ricordo amatoriali: la serie In almost every picture (6 voll., 2002-2008) consiste in sequenze fotografiche che riassemblano scatti presi da album di famiglia, riaccostati con sorprendenti effetti narrativi. Strangers in my photoalbum (2007) impagina sezioni di fotografie, estrapolate da foto personali, dove appaiono accidentalmente alcuni sconosciuti. Il volume 2 kilo of KesselKramer (2005), che raccoglie il lavoro dello studio, ironizza infine sull’oggetto libro attraverso la quantificazione del suo peso. Con base ad Amsterdam, la designer Irma Boom è nota in tutto il mondo per aver progettato centinaia di libri con un approccio quasi artigianale del quale lei stessa sottolinea la ‘grossolanità’, la presenza di piccoli errori, parti non definite: le sue sperimentazioni puntano all’enfatizzazione del libro come oggetto sensoriale, fino a scelte estreme come la stampa su carta per filtro da caffè, l’utilizzo di legature profumate, il taglio delle pagine con la sega circolare.
Un’altra star internazionale del design editoriale è lo studio americano Sagmeister inc. (Stefan Sagmeister con Sarah Noellenheidt e Matthias Ernstberger). La sua ricerca spazia su vari generi (dai libri aziendali, ai rapporti scientifici fino ai libri d’arte) con una continua sperimentazione sulla terza dimensione della pagina: il catalogo The Hugo Boss prize 2004 ha la copertina realizzata con foglio a specchio tagliato al laser; il Worldchanging book del 2006, sui mutamenti positivi che cambieranno il mondo, è stampato su carta riciclata e la custodia del volume è forata in modo da far passare la luce che farà ingiallire la copertina. Di grande rilievo è anche il lavoro dello statunitense Chip (Charles) Kidd, da molti anni art director della casa editrice Knopf, che ha realizzato decine di copertine di narrativa (di recente ha scritto anche dei romanzi) profondamente ispirate ai contenuti, nella convinzione che sia un libro di successo a generare una copertina di successo. Di origine canadese, con sede a Toronto e a Chicago, Bruce Mau è un’altra figura di rilievo della grafica mondiale. Il suo lavoro editoriale è spesso legato all’attività di grandi architetti con i quali ha condiviso le ricerche sfociate poi in volumi fondamentali (come il progetto grafico del catalogo della mostra Frank O. Gehry architect, 2001; e con Rem Koolhaas, S, M, L, XL, 1995). Da vent’anni è legato alla casa editrice Zone books, per la quale è responsabile della grafica, dell’immagine e anche delle scelte editoriali: continue sono le sue sperimentazioni sui materiali, sulle tecniche di stampa, sull’uso dell’immagine e del colore.
Paul Sahre, con studio a New York dal 1997, collaboratore del «New York times», è autore di copertine di libri e nel 2009 ha pubblicato il volume A de-signer and his problems, una sorta di autoanalisi dove il progettista cerca la via della convivenza con i propri dubbi professionali.
Negli Stati Uniti lavora anche il trentenne Nicholas Feltron che ha fatto della statistica la sua cifra progettuale: ogni anno pubblica il Feltron annual report, piccolo volume stampabile anche attraverso il sito (feltron.com), che raccoglie e racconta, con una sofisticata elaborazione grafica fatta di diagrammi, elenchi e schemi, tutta la sua vita durante l’anno attraverso la quantificazione e la descrizione dei più vari argomenti: la musica, il cibo, i viaggi, le letture e così via.
Molto attivo nella progettazione di libri è anche lo studio australiano Frost design, fondato dal londinese Vince Frost. Nel volume Frost* (sorry trees), catalogo della prima mostra del 2006 a Sidney, i progetti dello studio sono mostrati sopra una base di fotografie che creano un sottofondo narrativo: un uso della fotografia come parte integrante della comunicazione e della narrazione che spesso distingue il lavoro dello studio. In How I write. The secret lives of authors (ed. D. Crowe, Ph. Oltermann, 2007), sono le immagini degli oggetti (per es., lettere, foto, disegni, elenchi telefonici) appartenenti a scrittori come Jonathan Franzen, Joyce Carol Oates, Nicole Krauss a rivelare le vite segrete degli autori.
Londra e l’Australia sono anche i due poli operativi di Tomato, collettivo di grafici fondato nel 1991 e attivo in molti settori tra cui l’editoria. Fra i loro lavori vanno ricordati il catalogo dell’artista australiano Mike Parr (Perfomances 1971-2008, 2008), che documenta una performance di 36 ore, e alcuni dei lavori per la Tasmanian Art Gallery. Nel 2004 è uscito The floating world. Ukiyo-e di John Warwicker (uno dei fondatori del gruppo), un volume-documento sull’esperienza creativa che esplora attraverso la voce diretta del designer tutti i riferimenti della sua cultura progettuale e in cui ogni pagina è un’opera d’arte costruita su più livelli attraverso l’uso combinato della tipografia e dell’immagine.
Anche in Italia il cambiamento di secolo ha coinciso con una nuova stagione grafica per alcune delle più importanti case editrici, tutte più o meno soggette in questi anni a mutamenti dell’assetto societario e ad accorpamenti in grandi poli editoriali. Dal 1997, la grafica dei libri Mondadori è coordinata da Giacomo Callo che, nel corso dell’ultimo decennio, ha rivisto il progetto di quasi tutte le collane (da I miti poesia a Scrittori italiani e stranieri), aggiornando sostanzialmente l’immagine della casa editrice, e ha affidato la realizzazione delle copertine a diversi grafici, sia interni sia esterni. Di recente ha avviato collaborazioni anche con studi emergenti come Domenica Mattina (Stefano Bottura ed Elena Giavaldi), creatore di copertine di grande impatto come quella del romanzo La solitudine dei numeri primi (2008) di Paolo Giordano, quelle di numerosi altri volumi della collana Strade blu, caratterizzate dall’illustrazione con il riquadro in sovrapposizione che riporta autore e titolo, o quelle della collana Argomenti (dedicata a temi di politica e attualità), identificabili dalla fascia bianca in sommità e dall’assenza dell’immagine, che lascia il posto al lettering sempre diverso della titolazione.
Nella stessa ottica di attualizzare l’immagine dell’editore e di investire sulla qualità grafica anche per le collane a basso costo, la casa editrice RCS ha inaugurato nel 2001 la collaborazione con lo studio newyorkese Mucca design, guidato da Matteo Bologna. Dal disegno di alcune copertine di romanzi Rizzoli, si è passati a una vera e propria direzione artistica che ha incluso il ridisegno del logo e del coordinamento di tutte le collane Rizzoli e dei tascabili BUR. Anche in questo caso lo studio Mucca lavora in collaborazione con altri grafici e illustratori (per le edizioni dei volumi di Iris Murdoch le illustrazioni sono di Dennis Clouse, la collana Rizzoli miti è illustrata da Jeffrey Fisher). Alcune importanti collane come Scrittori contemporanei, Classici moderni, Futuro passato (quest’ultima, dedicata ai saggi politici, è forse la più innovativa, ispirata alle titolazioni a grossi caratteri tipografici dei tabloid americani), sono state progettate ex novo, dando così un’immagine organica a tutto il marchio editoriale.
Anche la casa editrice Bompiani, appartenente allo stesso gruppo RCS, nel 1999 ha affidato la direzione artistica a Polystudio di Francesco Messina che, nel 2001, ha ricevuto la selezione del Compasso d’oro per il progetto di immagine.
Più recente è la collaborazione tra Einaudi e lo studio 46xy di Mario Piazza, incaricato di ridisegnare la collana dei Tascabili: in questo caso il risultato è un felice compromesso tra la volontà dell’editore di mantenere un riferimento alla tradizione (l’utilizzo del fondo bianco) e la creazione di una sottolineatura forte attraverso l’uso del monogramma ET che dalla copertina risvolta sul dorso del volume fornendo una possibilità di lettura immediata del marchio e dell’articolazione delle diverse collane.
Tra le collaborazioni più interessanti nell’ambito dell’editoria di massa, è da segnalare quella tra la casa editrice Guanda e il grafico e illustratore Guido Scarabattolo che dal 2002 ha progettato quasi l’intera produzione editoriale, illustrando anche molte copertine con il suo segno inconfondibile.
Attivo in quest’ambito editoriale è anche lo studio milanese Segnoruvido (Martino Gasparini, Marco Zung) che collabora con Feltrinelli, Bompiani (collana diretta da Giovanni Reale), Fabbri, Kowalski, Rizzoli (collana Il corriere racconta), Sperling & Kupfer. Mentre Annalisa Gatto (dal 2008 costituisce Studiofluo con Gaetano Cassini) collabora con diverse case editrici: per Bollati Boringhieri nel 2005 ha progettato la collana di saggistica tascabile Incipit dove la copertina si basa sull’impaginazione dell’incipit del saggio in nero su fondo bianco, con il solo accento di colore del logo; per la Utet, nel 2006, ha realizzato progetto e art direction della collana Classici tascabili, in cui prevale ancora il bianco e nero intervallato da piccoli elementi colorati.
Tra le altre collaborazioni recenti di giovani grafici ed editori è da segnalare quella di Permezzografico (Lele Villari, Andrea Acquani) con l’editore Lupetti per la progettazione della collana di saggistica Crocevia: l’idea della frammentazione e della contaminazione tra i saperi di differenti discipline è espressa nel progetto grafico attraverso il trattamento dell’immagine di copertina che si scompone a generare una texture dove si perdono i confini della figura.
Da ricordare il lavoro del già citato studio CODEsign (Tassinari, Vetta e Leonardo Sonnoli) con la casa editrice Electa, e dello Studio tapiro (Enrico Camplani e Gianluigi Pescolderung) che ha curato, tra l’altro, dal 2006 la grafica del progetto editoriale dell’Università IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia) con la casa editrice Marsilio.
Sono numerose inoltre le piccole e piccolissime case editrici che compiono un interessante lavoro sulla progettazione di libri e collane, come Edizioni d’if (poesia contemporanea) con la collana I miosotís, piccoli volumi con la copertina rossa progettati dallo Studio Guida di Napoli; le edizioni La lontra con il progetto editoriale di racconti illustrati Nero +, pensato nel 2006 da Artiva design di Genova.
A questo proposito sono da citare editori come Corraini, con numerose collane e volumi singoli, anche recenti, dedicati al design e alla grafica, nonché il lavoro di Giovanni Lussu che, con Marcello Baraghini, editore di Stampa alternativa (e ideatore della collana Millelire), dal 1996 ha dato vita alla collana Scritture: ognuno dei ventuno volumi pubblicati fino al 2009 è consegnato ‘chiavi in mano’ dall’autore che ne cura i contenuti e la grafica.
Mentre Fausta Orecchio, designer grafica particolarmente attiva nel campo editoriale (negli ultimi anni ha collaborato con Editori Laterza per il ridisegno del logotipo, dell’immagine coordinata e della grafica di alcune collane; con l’Istituto della Enciclopedia Italiana per il progetto dell’Enciclopedia dei ragazzi; con Gambero rosso, disegnando l’immagine coordinata di guide e ricettari), dal 2001 ha fondato la casa editrice Orecchio acerbo con la quale sperimenta nuovi linguaggi grafici applicati alla letteratura per l’infanzia: ogni volume è un progetto a sé stante, illustrato da un disegnatore sempre diverso, con caratteri tipografici a volte rivisitati, spesso ispirati al carattere dei personaggi del racconto che divengono parte integrante della narrazione.
Rimanendo nell’ambito delle iniziative editoriali ‘di nicchia’, anche se su tutt’altro fronte, va ricordata la recente iniziativa Chiarelettere, editore che fa riferimento ad associazioni culturali impegnate nel dare voce a movimenti di protesta civile, e che si distingue per la grafica di David Pearson (mentre l’identità visiva è curata da Pietro Palladino).
Come si è già accennato, se è vero che la grafica editoriale italiana fatica a inserirsi in modo autorevole nel dibattito internazionale, è anche da sottolineare che negli ultimi anni diverse iniziative editoriali hanno cercato di rimediare a questa condizione, raccogliendo e pubblicando alcuni dei migliori risultati della produzione. Promossi da Aiap – Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva – sono stati pubblicati Italic 1.0 (2002) e Italic 2.0 (2008) progettati da Silvia Sfligiotti con lo studio Alizarina. Lo stesso studio ha anche curato la grafica di 030 illus-trators (2007), selezione di illustratori italiani under 30. Nel 2004 Giorgio Camuffo ha realizzato e prodotto Red, wine and green. 24 Italian graphic designers, un libro che delinea la situazione della grafica in Italia offrendo una panoramica di autori selezionati dal grafico veneziano, molto attivo sia sul fronte della professione sia su quello della didattica. Nel 2008 è uscito invece Spaghetti grafica, un’istantanea del progetto visivo italiano che raccoglie i lavori selezionati dai curatori del festival Attraversamenti, organizzato da Ministero della grafica (un promotore culturale che si muove nell’ambito delle comunicazioni visive).
I giornali e il web
Anche se l’esistenza dei quotidiani sembra avere i giorni contati (Philip Meyer, docente di giornalismo alla University of North Carolina, ha addirittura individuato il 2043 come l’anno in cui l’ultimo anziano lettore acquisterà l’ultima copia del «New York times»; Sabadin 2007), mai come in questo decennio la grafica dei giornali è stata al centro di una costante ricerca, riconosciuta come l’elemento portante di un nuovo modo di comunicare i contenuti e quindi di una possibile sopravvivenza della carta stampata. I capisaldi di questa nuova stagione della grafica dei quotidiani sono di derivazione anglosassone e si possono riassumere in alcuni elementi di novità comuni a tutte le testate: uso del colore, incremento della infografica, attenzione al disegno grafico dell’impaginato e all’identità tipografica, riduzione del formato. Se questi elementi già caratterizzavano negli anni Ottanta alcuni quotidiani americani come «USA today», con l’intento di avvicinare il giornale alla comunicazione televisiva, dopo la diffusione di Internet la necessità di riavvicinare il lettore alla notizia sulla carta è diventata un’urgenza diffusa che ha portato ad approfondire i temi della leggibilità, dell’identità della testata e di nuovi modi di comunicare i contenuti che presuppone un lavoro di stretta collaborazione tra giornalisti e grafici. Punto di riferimento internazionale, l’inglese «The guardian», prima ridisegnato nel 1999 da S. Esterson, nel 2005 ha subito un ulteriore rinnovamento con l’art direction di Mark Porter, coinciso con il passaggio al formato ridotto (dal classico broadsheet al berliner di derivazione tedesca, un poco più grande del tabloid) e all’introduzione della stampa full color: il carattere tipografico è stato creato ad hoc da Christian Schwartz, tutte le sezioni sono state ridisegnate e, grazie a una scansione grafica chiara e molto identificata, il quotidiano ha puntato sempre di più all’approfondimento, all’analisi delle conseguenze della notizia, alla definizione di una linea di opinione, usando persino la prima pagina per approfondire temi che possono interessare il lettore contemporaneo, già saturo di notizie. «The guardian» rispecchia un nuovo modo di comunicare le informazioni, attento in maniera flessibile alla duplice esigenza del lettore: da un lato offre la possibilità di una lettura rapida che fornisca velocemente le notizie principali; dall’altro propone l’approfondimento e l’analisi dettagliata scarsamente soddisfatti da Internet e dalla free press.
«The independent», nel 2003, è stato il primo a sperimentare il formato ridotto, uscendo per un periodo in entrambi i formati, per poi abbandonare quello vecchio; sono seguiti «The times», nel 2005 (con il nuovo progetto di N. Brody), e le edizioni europee del «Wall Street journal», trasformate in tabloid a colori con il nuovo progetto grafico di Mario García. Questi quotidiani hanno poi condizionato il formato di altri come «Le monde» o «Le figaro».
La crescente necessità di rinnovare la grafica dei giornali ha così fatto emergere alcune figure professionali di grafici specializzati nel settore che lavorano a livello internazionale: si pensi, per es., alla canadese Lucie Lacava, molto attiva anche negli Stati Uniti e in Europa, allo statunitense Roger Black, allo spagnolo Antoni Cases, che ha quasi monopolizzato la grafica dei quotidiani italiani, essendo chiamato nell’ultimo quinquennio a curare i progetti del «Corriere della sera», «Il sole 24ore» e «La stampa».
Persino i quotidiani italiani quindi, seppur con un po’ di ritardo, hanno intrapreso una strada di rinnovamento. A trainare il cambiamento è stata «la Repubblica», il giornale italiano a grande tiratura più giovane per fondazione e più innovativo per tradizione (nasce con un formato compatto, tipo berliner), che nel 1996 è passato dalla direzione del fondatore Eugenio Scalfari a quella di Ezio Mauro il quale, con l’art director Angelo Rinaldi, ha guidato i molteplici mutamenti del giornale fino a oggi. Se fino ai primi anni 2000 le vendite sono state rilanciate soprattutto attraverso le numerose iniziative editoriali collaterali (il settimanale femminile «D», le varie collane di narrativa, CD, videocassette e DVD), dal 2004 il giornale ha affrontato una serie di trasformazioni grafiche graduali, come l’inserimento del colore in tutte le pagine (che ha spinto in pochi anni anche il «Corriere della sera» ad adottare il colore per tutta la fogliazione). Dal 2007 il nuovo progetto grafico ha portato allo sdoppiamento in due giornali: «la Repubblica», dedicato alle notizie, e R2, una grande sezione interna dedicata agli approfondimenti e alle inchieste sui temi di attualità, con una forte ripercussione anche sul layout della prima pagina che presenta una doppia testata dove, nella parte più alta, compaiono i rimandi ai contenuti presenti in R2.
Responsabile del recente rinnovamento grafico del «Corriere della sera» è stato l’art director Gianluigi Colin: nel 2005 il giornale ha ridotto il formato e contemporaneamente è passato al full color (con la consulenza di Cases); nel 2007 il progetto grafico si è arricchito con il nuovo carattere tipografico Solferino text, progettato appositamente dallo studio milanese Leftloft con Luciano Perondi di Molotro, e con un nuovo sistema infografico, anch’esso disegnato da Leftloft.
Anche «La stampa», nel 2006, ha adottato il formato ridotto e il colore accompagnati da un restyling operato da Cases in linea con l’identità del giornale, che ha infatti una tradizione grafica di ottimo livello grazie alla lunga art direction di Piergiorgio Maoloni (attivo negli scorsi decenni anche per «L’unità», «Paese sera» e varie evoluzioni de «Il manifesto»). Maoloni aveva infatti introdotto, già nel decennio precedente e sul modello americano del «New York times», l’uso avanzato della infografica, che è oggi divenuta, con l’aggiunta del colore, uno degli strumenti più innovativi dei quotidiani, in quanto è in grado di cambiare la struttura dei contenuti, dando in questo modo la possibilità di comunicare visivamente e in maniera immediata le informazioni tecniche che possono essere così eliminate dagli articoli.
Quasi contemporaneamente ai vari tentativi di rilancio dei quotidiani, è andato affermandosi un diverso atteggiamento nei confronti dell’editoria sul web. Nuovi equilibri si sono formati in seguito all’accettazione di Internet come principale fonte di reperimento delle notizie (in Italia, il sito di «la Repubblica», nato nel 1997, risulta essere il principale, con oltre dieci milioni di utenti) e, dopo avere investito sulla nuova impostazione grafica e contenutistica della carta stampata, l’attenzione si sta spostando verso le reali possibilità dei nuovi media che ancora soffrono, al di là delle ovvie caratteristiche di velocità ed economicità, di un mancato approfondimento sulle loro potenzialità e sul modo più corretto per sfruttarle. Sul tema della grafica editoriale applicata alla rete gli esperti ancora si interrogano su come si possa uscire dall’utilizzo di Internet come semplice veicolo di supporto alla stampa su carta, su come evitare i frequenti errori progettuali riscontrabili sugli e-journals. Un termine, secondo Michael Schmitz (a capo dell’area digital media del gruppo editoriale Burda Yukom), la cui identità sfuma dal semplice documento pdf da sfogliare on-line fino all’oggetto animato (Editorial design on the net, «Novum», 2009, 2, p. 23) arricchito con audio e video. Sempre secondo Schmitz, il giornale on-line dovrebbe essere uno strumento per invogliare il lettore a una versione più estesa dell’informazione, dovrebbe fornire un’anteprima degli argomenti che verranno approfonditi nella versione cartacea del giornale, cercando di ribaltare l’attuale tendenza che fa apparire sulla carta rimandi al sito Internet solo per mostrare l’esistenza di un network. Per uscire dalla realtà nella quale l’e-journal è ancora un ibrido, è necessario allontanarsi dal terreno già percorso dal design della carta stampata utilizzando gli strumenti e l’esperienza maturata dai web designers.
Bibliografia
Ch. Foges, Magazine design, Crans-près-Céligny 1999.
Italic 1.0. Il disegno di caratteri contemporaneo in Italia, a cura di P. Lenarduzzi, M. Piazza, S. Sfligiotti, Novara 2002.
D. Baroni, M. Vitta, Storia del design grafico, Milano 2003.
Ch. Fiell, P. Fiell, Graphic design now, Köln 2005.
Il libro. Avvertenze per l’uso, a cura di M. Accardi, Palermo 2006.
V. Sabadin, L’ultima copia del «New York Times». Il futuro dei giornali di carta, Roma 2007.
AGI. Graphic design since 1950, ed. B. Bos, E. Bos, London 2007 (trad. it. Milano 2008).
Book-art. Innovation in book design, ed. Ch. Rivers, Hove 2007.
The 10 influential creators for magazine design, ed. Y. Fujimoto, Tokyo 2007.
We love magazines, ed. A. Losowsky, Luxembourg-London 2007.
Fully booked. Cover art & design for books, ed. R. Klanten, M. Hübner, Berlin 2008.
Grafica editoriale in UK, Modena 2008.
Italic 2.0. Il disegno di caratteri contemporaneo in Italia, a cura di M. Bernstein, L. Perondi, S. Sfligiotti, Novara 2008.
Spaghetti grafica. Contemporary italian graphic design, a cura di Ministero della grafica, Novara 2008.
Webgrafia
Aiap – Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva: http://www.aiap.it.
Aiga (the professional association for design): http://www. aigany.org.
Colophon 2011: http://blog.colophon2011.com.
CR (Creative Review) blog: http://www.creativereview.co.uk/cr-blog.
Designing magazines blog: http://www.designingmagazines.com.
ED (European Design awards): http://www.ed-awards.com.
Eye, international review of graphic design: http://www. eyemagazine.com/home.php.
Magculture: http://magculture.com.
Socialdesignzine: http://sdz.aiap.it/home.php.
SPD (Society of Publication Design): http://www.spd.org.
The book cover archive: http://www.bookcoverarchive.com.
The book design review: http://nytimesbooks.blogspot.com.