GRAFFITO (o sgraffito)
Nell'uso moderno, con questo termine s'indicano, in linea generale, tutti i segni scalfiti su una qualsiasi superficie mediante una punta acuminata: il nome deriva dal γραϕις o γραϕεῖον (lat. graphium, ma anche stilus), sottile asticciola acuminata metallica (o di avorio, o di osso) della quale gli antichi si servivano per scrivere o disegnare a secco.
Arte antica. - La pratica del graffito, data la sua estrema semplicità, è diffusa in ogni epoca e risale ai primordî della civiltà, adottata per istinto dall'uomo quando ha tentato per la prima volta di fissare, riproducendola, un'immagine, o ha comunque sentito il bisogno di esprimere una sua impressione visiva: infatti le grotte abitate nella remota età della pietra ci serbano in gran copia i documenti di questa più semplice attività artistica, disegni di animali tracciati con una punta di selce sulla rupe o su frammenti di roccia. Successivamente e fino alle età più tarde le genti colte hanno continuato a graffire sulle pareti intonacate i contorni delle figure, anche quando si trattava di rappresentazioni evolute, rese con i mezzi tecnici dell'arte matura: in ambiente classico lo schizzo preliminare è tracciato a punta secca solo di rado nelle pitture murali egeo-micenee, generalmente invece in quelle etrusche; in quelle ellenistico-romane il disegno degli elementi decorativi è graffito, mentre il contorno dei soggetti figurati è abbozzato col colore.
Per altro la tecnica dell'incidere è specifica della lavorazione dei metalli, industria che fin dal più alto arcaismo fiorisce sul continente greco e nelle isole; ma per il graffito basti qui menzionare taluni specchi greci ed etruschi, e le ciste in bronzo, le cui rappresentazioni figurate e decorazioni più spesso esorbitano per la loro esecuzione dal genere di cui parliamo. Ispirandosi appunto alla metallotecnica, della quale erano ben esperti, pare che i Corinzî abbiano introdotto nella ceramografia il procedimento dell'incisione, poiché i più antichi prodotti delle officine ioniche attestano l'uso del solo pennello anche per lo schizzo preliminare; ma, quale che ne sia stata l'origine, il metodo prevalse e fu generalizzato durante tutto il fiorire della tecnica a figure nere, poiché queste si profilavano come grevi ombre opache prive di risalto e di particolari interni, che i ritocchi a vernice d'altro colore non erano sufficienti a rendere, e che solo mediante il graffito, che faceva ricomparire il fondo chiaro, potevano essere precisati.
Questa tecnica, che implicava minuziosa precisione e paziente cura, consisteva nel tracciare i singoli tratti sulla vernice nera delle figure e degli accessorî gia compiutamente dipinti, asportandola in modo da indicare con le scalfitture tutti i particolari così dell'anatomia come dei vestiii (pieghe del panneggio, ricami delle stoffe) o delle armature. E la tecnica si evolse fino a raggiungere la massima perfezione nella ceramica attica del secondo terzo del sec. VI: valgano come esempî per tutti il celebre vaso François nel R. Museo Archeologico di Firenze e quelli firmati dal pittore Exechia, specie l'anfora con Achille e Aiace nel Museo Etrusco-Gregoriano in Vaticano. In seguito, quando cioè fu invertito il rapporto cromatico tra fondo e figure, sicché queste furon "risparmiate" nella vernice nera e potevano perciò esser completate col pennello, il graffito fu usato soltanto, e con scarsa frequenza, per lo schizzo preparatorio dei contorni.
D'altro canto è da notarsi l'uso del graffito anche sulla pietra: a voler prescindere da altri monumenti, come le stele beotiche, che non possono essere qui descritti, ne siano menzionati due affatto tipici, l'uno d'arte etrusca arcaica (sec. VII a. C.), greco l'altro (inizî del sec. V a. C.): e cioè la stele funeraria di Aule Pheluske nel Museo Archeologico di Firenze, dove è rappresentato a graffito il defunto guerriero armato di elmo, scudo e bipenne, entro una rozza cornice con iscrizione pure graffita; e il busto femminile graffito su pietra grigiastra, scoperto presso l'Ereo di Samo.
Infine, intendendosi per disegno graffito qualunque schizzo tracciato con una punta, ben s'immagina che l'intonaco delle pareti era la superficie più adatta per tali lavori, e che sui muri antichi abbondano perciò saggi innumerevoli, scalfiti da oziosi d'ogni tempo, sì che gli esempî potrebbero moltiplicarsi all'infinito.
Epigrafia. - Sotto la comune denominazione di graffiti vanno anche considerati numerosissimi testi epigrafici antichi, quasi sempre brevissimi, dettati da oziosi e sfaccendati, e ispirati dalle contingenze del momento e dai moti dello spirito più disparati e subitanei. Contenuto e argomento dei graffiti non hanno limiti. Data la peculiarità del fatto al quale soggiacque, è sempre Pompei - ma ora anche Ercolano - la città antica che offre la messe più ricca e varia di graffiti nelle lingue osca, greca e latina (spesso in forme dialettali e, calligraficamente parlando, di difficile lettura), e qualcuno, come recentemente è sembrato, anche in aramaico. Numerosissimi i graffiti stesi a Pompei sugli edifici pubblici abitualmente frequentati dagli oziosi, specialmente la Basilica e il Teatro. Ivi non meno di tre volte si è trovato ripetuto, ora più ora meno completo, il distico ben noto, sicuro indice ed efficace commento insieme della diffusa costumanza di scribacchiare sulle pareti: Admiror, paries, te non cecidisse ruinis - Qui tot scriptorum taedia sustineas (Corp. Inscr. Lat., IV, 1904, 2461 e 2487).
Arte medievale e moderna. - La tecnica del graffito seguitò a essere in uso anche nel Medioevo nell'arte vascolare, nelle lapidi funerarie, nella decorazione dei pavimenti marmorei (come nel duomo di Siena) ove nei solchi incisi è colata una pasta nera, ecc.
In seguito, se non mancarono esempî di graffiti nel senso ora indicato, la parola passò più particolarmente a designare una speciale maniera di abbellire le facciate usata soprattutto nei secoli XV e XVI e di cui il processo è semplice: si stende sopra il muro uno strato di calcina, colorata con erbe bruciate o con sostanze d'intonazione cupa o nerastra. Asciutto il primo strato, se ne stende sopra un altro, di calcina bianca distribuita uniformemente su cui si appoggiano i cartoni col disegno da riprodurre, bucherellati in modo che, passandovi sopra polvere di carbone, si abbia un accenno diretto sulla parete: con un punteruolo acuminato (sgraffio) si segue poi sul muro il disegno, togliendo la calce bianca in modo da lasciar scoperto il sottostante strato bruno. Si può ritoccare quindi con i colori che s'usano per l'affresco e dare così le ombreggiature.
Tale processo, che offre una certa resistenza agli agenti atmosferici, ebbe voga grandissima specialmente a Firenze, e poi si sparse soprattutto per l'Italia centrale e in particolar modo a Roma. Col graffito si cominciò prima a simulare un lavoro a pietre squadrate; poi s'introdussero ornati che finirono per stendersi sull'intiera facciata; e finalmente si rappresentarono con tal processo scene e figure, eco degli affreschi che si usavano nell'interno della casa. Agli elementi geometrici primitivi, molto semplici, si sostituirono le grottesche (v.), usatissime nel sec. XV e nel XVI.
Se pure il graffito offre una resistenza maggiore che l'affresco agli agenti atmosferici, tuttavia dopo qualche tempo si sgretola, rigonfia e cade. E così si son perdute molte facciate istoriate delle quali parlano gli antichi scrittori; e quindi quasi tutta la produzione di artisti che s'erano specializzati in tale genere. Perciò più che altro solo da vecchie incisioni ci vien dato di sapere quale fosse lo stile di Maturino e di Polidoro da Caravaggio nel decorare a Roma facciate a figure e trofei d'ispirazione classica (un frammento è sopra una casa in Via del Campanile). Così i palazzi dipinti dal Feltrini a Firenze sono oggi in parte privi degli antichi ornati; i quali spesso, se restano, son poi molto ritoccati e restaurati. A Roma sussistono ancora alcune facciate a graffito, di cui le più importanti sono quelle dei palazzi Ricci-Paracciani e Massimo "di Pirro", i quali dànno una chiara idea del genere delle decorazioni romane, sonanti e d'ispirazione classica, a grandi figure e a trofei. Più sobrie invece le facciate a graffito in Firenze, dove si cerca di seguire l'architettura con ornati più che altro d'ispirazione vegetale, snodati in fastoso ma quieto accompagnamento dell'edilizia. Così nel palazzetto Sertini in via dei Corsi, nel palazzo Guadagni in piazza S. Spirito, nel cortile del palazzo Medici-Riccardi, nel palazzo Spinelli in borgo S. Croce, nel palazzo Ramirez de Montalvo in Borgo degli Albizzi, ecc.
Il graffito fu ripreso nel secolo scorso, specialmente in Germania e in Svizzera, e anche in Italia, ispirandosi alle forme rinascimentali. Oggi è quasi totalmente decaduto.
Bibl.: Per l'età preistorica: J. Déchelette, Manuel d'archéologie préhist., I, Parigi 1908; per il disegno preliminare nelle pitture murali v. bibl. s. v. affresco e Jan de Wit, Die Vorritzungen d. etruskischen Grabmalerei, in Archaeol. Jahrbuch, XLIV (1929), p. 31 segg.; per l'incisione in bronzo e avorio: E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung d. Griechen, Monaco 1923, paragrafi 132, 155, 784 segg.; per la ceramografia: G. Perrot e C. Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, IX, Parigi 1911, pp. 344, 436, 445, 594 segg. (cfr. pp. 234 segg., 238, 250), e E. Pfuhl, op. cit., I, paragrafi 132, 158 ecc.; III, fig. 217 il vaso François e 229 l'anfora di Exechia summenzionati.
Per l'arte medievale e moderna: G. Vasari, Le Vite, ed. Milanesi, I, Firenze 1878, p. 192 segg.; V, Firenze 1880, p. 141 segg.; F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell'arte del disegno, Firenze 1681, p. 151; G. B. Armenini, De' veri precetti della pittura, Venezia 1678, p. 120 segg.; Quatremère de Quincy, Diz. stor. di architettura, Mantova 1850, II, p. 451; E. Müntz, Histoire de l'art pendant la Renaissance, Parigi 1889 e 1895; L. S. Maclehose e G. Baldwin Brown, Vasari on technique, Londra 1907, pp. 19, 243, 298; A. Schiaparelli, La Casa Fiorentina e i suoi arredi, Firenze 1908, pp. 29 seg., 32 segg.; Inventario dei monumenti di Roma, I, Roma 1908-12; W. Limburger, Die Gebäude von Florenz, Lipsia 1910; L. Càllari, I palazzi di Roma, Roma s. a.
Epigrafia: Per studî e scritti varî sui graffiti pompeiani anteriori al 1909, v. Corp. Inscr. Lat., IV, nei suoi tre fascicoli: 1871, 1898 e 1909. Antologie divulgative, più o meno vaste e variamente ordinate dell'abbondantissima materia, composero E. Diehl, Pomp. Wandinschriften, Bonn 1910, cfr. H. Gummerus, dai muri di P., in Atene e Roma, 1913, ed. E. Magaldi, Le iscrizioni parietarie pomp., in Atti della R. Accad. di Napoli, IX (1928), parte 2ª.